Iscriviti alla Newsletter!
E’ stato scritto che un uomo del Medioevo, che viveva in una società povera di informazioni, ma ricca di principi guida, aveva un senso critico più sviluppato dell’uomo contemporaneo che vive in una società sovrabbondante di informazioni, ma povera o morta di valori: e questo spiega la facilità con cui tanti abboccano ai richiami di maghi, fattucchiere, imbonitori televisivi, venditori di merci assurde o improbabili.[1]
Roberto de Mattei
Intelligence e Scienze Umane è una collettanea di saggi pubblicata da Rubbettino (2016). Gli autori sono tra i massimi esperti del settore e non soltanto: Giorgio Galli, Virgilio Ilari, Mario Caligiuri, Gerardo Iovine, Francesco Sidoti solo per citarne alcuni. La multidisciplinarietà dell’approccio scelto per trattare dei problemi dell’intelligence, in particolare dell’intelligence nel contesto propriamente italiano, è mostrato sia dalla tipologia dei contributi presentati, sia dalla varietà di esperti chiamati a proporre il proprio contributo. Il risultato, dunque, è un’opera utile e affascinante allo stesso tempo.
L’utilità è chiara: il lettore è introdotto ai problemi dell’intelligence dall’interno e dall’esterno, e gli vengono fornite sia nozioni tratte dalle Scienze Umane (giurisprudenza, criminologia, storia, psicologia cognitiva, analisi di sistemi complessi…), sia una cospicua letteratura di riferimento presente in nota e alla fine di ciascun contributo. Il fascino di un simile volume consiste nel riuscire interessante proprio perché avvicina il lettore digiuno di competenze al settore della sicurezza e, in particolare, dell’intelligence. Il libro, dunque, può essere letto utilmente anche da un profano, un neofita o un semplice curioso. Oltre che, naturalmente, da coloro i quali già conoscono le tematiche affrontate.
Sebbene i contributi degli autori siano diversi sia nello stile che nei contenuti, è comunque possibile fare emergere alcuni nuclei comuni della riflessione dei vari autori.
(1) L’intelligence è una scienza umana. Ovvero, si tratta di una disciplina che consente di illuminare le altre scienze umane, ma è anche vero l’inverso: l’intelligence consente di portare contributi critici e analitici, alle altre scienze. Questo è vero tanto per le scienze dell’uomo (per esempio, Spadafora pp. 19-29, per quanto riguarda la pedagogia; Ilari pp. 37-39 per quanto riguarda la storia; Arlacchi pp. 73-77 per quanto riguarda le scienze sociali etc.) che per le scienze hard (per questo si veda, in particolare, il contributo di Iovine, pp. 81-88). Lo spettro della sinergia potenziale ed attuale tra l’intelligence e le altre scienze è ampia e variegata ed è mostrata in lungo e in largo da tutti i contributi del volume.
(2) Sebbene sussista una tensione tra intelligence e la prassi democratica, rimane il fatto che l’intelligence è indispensabile alla democrazia. Questo è vero dal momento che la democrazia senza sicurezza potrebbe essere qualcosa di simile all’anarchia. Che tipicamente non è uno dei risultati desiderati dai cittadini delle democrazie (occidentali) contemporanee. Se la massima si vis pace para bellum potrebbe non essere più così condivisa, rimane il fatto che se vogliamo la pace abbiamo bisogno di preparare una buona intelligence. Questo è vero in relazione al complesso delle relazioni internazionali (come emerge nel contributo di Gori, pp. 65-67), la cui situazione è sempre più imprevedibile, dopo il crollo della geopolitica impostata su rapporti bipolari (USA-URSS) e l’11 settembre e i più recenti attentati terroristici (Madrid, Londra, Parigi…). Ma risulta verificato anche in relazione ai problemi posti dalla criminalità sia essa organizzata che non (per questo problema, Sidoti pp. 103-134). Rimane aperto il problema della legittimità teorica dell’intelligence e del suo inquadramento democratico, come bene viene messo in evidenza da Giorgio Galli:
Ovviamente, la differenza apparentemente insanabile fra le logiche sottese a democrazia e servizi di sicurezza, non significa che i servizi siano altro e ostili rispetto alal democrazia, anzi, nella quotidianità appaiono come indispensabili a garantire la sicurezza dei cittadini e quindi per una piena realizzazione della democrazia. Il problema da affrontare allora è la comprensione in termini politologici di come l’intelligence e democrazia possano coesistere nonostante la diversità delle logiche di partenza: dalla democrazia come casa di vetro alla sicurezza tutelata anche dal segreto. Questo problema, non ha oggi una soluzione teorica. I politologi e filosofi della politica, quando si renderanno conto che concettualmente esiste questo problema, attraverso attente analisi e riflessioni potranno trovare soluzioni teoriche che concilino queste due logiche diverse, ma non in contrapposizione tra loro.[2]
(3) Il quadro complessivo dei problemi della sicurezza, accennati in (2), mostra in modo inequivocabile come sia necessario un intenso studio sull’intelligence, sulla sua metodologia e sulla sua pratica. In altre parole, è necessario sviluppare una cultura di intelligence diffusa e condivisa sul territorio italiano (e probabilmente non solo). Ritornando alla questione della sicurezza, il cittadino che fa parte del contesto democratico deve arrivare a riconoscere l’importanza della selezione dell’informazione. Infatti, nel volume in più circostanze si mette in mostra (a) che la civiltà dell’informazione è sempre più civiltà della “disinformazione” (per esempio, nell’introduzione di Caligiuri: “Quella che viene da più parti definita come società dell’informazione, sembra in realtà andare verso la sua antitesi: la disinformazione, ove il paradosso si completa pensando che «la fonte di pericolo oggi, non è più l’ignoranza ma la conoscenza» (cit., da Beck, La società del rischio)”.[3] (b) Il ruolo dell’educazione di stampo neo-illuminista è in crisi: se durante l’illuminismo il cittadino era concepito come autonomo e capace di costruire un proprio percorso individuale formativo, oggi il cittadino sembra non poter disporre più dei mezzi idonei a raggiungere l’agognata indipendenza epistemica, precondizione indispensabile dell’impostazione illuminista. Cioè il cittadino è privato della capacità di costruirsi dei sistemi cognitivi per via di auto-apprendimento che non siano probabilmente già inficiati da bias cognitivi o da una cattiva informazione. A tutto questo bisogna rispondere con la cultura di intelligence e con la demistificazione dei pregiudizi rivolti alla sua attività.
(4) In fine, l’ultimo grande tema comune consiste nell’idea che la cultura dell’intelligence si debba giovare della ricerca universitaria in vari sensi. Su questo Mario Caligiuri ha speso diverse parole ma in questa sede vale la pena di ricordare il fatto che per avere un’intelligence efficiente, la sinergia con il mondo atto a produrre conoscenza (pur con tutti i suoi problemi) dovrebbe essere sponsorizzato sia dall’università verso l’intelligence, che viceversa. Questo tema era già stato accennato ai punti precedenti, ma vale la pena riproporlo in questo contesto perché si tratta di una scelta importante. In particolare, sforzi in tal senso sono stati operati già dall’Università della Calabria, che ha predisposto un master apposito per gli interessati.
Concludendo, questo volume vuole essere, dunque, un piccolo manuale, come si evince già dal titolo, ma anche un momento di riflessione chiaro e indipendente sull’intelligence e sul suo ruolo imprescindibile all’interno della società della disinformazione-informazione a seconda di come la si voglia vedere. Non rimane, dunque, che condividere l’idea affinché lo spirito di una cultura dell’intelligence possa essere partecipata anche dai cittadini della nostra democrazia.
Mario Caligiuri (a cura di…)
Intelligence e Scienze Sociali
Rubbettino
Pagine: 164.
Euro: 15,00.
[1] Caligiuri M., (a cura di), 2016, Intelligence e Scienze Umane, Rubbettino, Saverio Mannelli.
[2] Ivi., Cit., Galli G., p. 58. Si tratta di un tema estremamente interessante e attuale, che (mi sia concesso) tratterò nella terza parte della tesi di dottorato.
[3] Ivi., Cit., p. 7.
Be First to Comment