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Consigliamo Stirare o non stirare, questo il problema!
2008 In un momento in cui la mia coscienza era sita in Siena e residente a casa del caro Emilio, ad un orario imprecisato della sera, durante una delle mie consuete passeggiate serali, da buon anziano ante litteram (ma c’era ben poco da fare quando il circolo di scacchi chiudeva le porte…)
Toc, toc, toc, clop, clop clop…
Ma che è? Ci sono dei cavalli dietro di me?
Toc, toc, toc, clop, clop clop… Voci di donne si sovrappongono ad uno scalpiccio degno dell’armata rossa in parata. …Ah ah ah! Si, andiamo in quel locale. Solo bello…
Toc, toc, toc, clop, clop clop…
Ero ancora in quel di Siena, dove sentire degli zoccoli di cavalli battere sul selciato o sulla pietra che pavimenta gran parte della città interna alle mura, non era una cosa così implausibile come potrebbe sembrare. Sicché, quando ancora le voci erano lontane, non era così inverosimile credere che ci fossero davvero dei cavalli. Invece no. Si trattava di giovani donne in dirittura d’arrivo per uno dei (pochi) bar (alla moda giovanile) di Siena. Quando le vidi arrivare, sembravano appunto dei cavalli, che incedevano con un passo (mal)fermo, ma sicuro allo stesso tempo. Il loro essere cavallino si evinceva, oltre che da un rumore sorprendente, anche dalle loro zampe, irrigidite dallo zoccolo alto che dovevano montare: come i muscoli del cavallo si tendono per muovere le possenti zampe, sopra cui infiniti eserciti sono saliti e scesi, così l’apparato motorio delle suddette giovani sembrava rievocare quelli dei possenti destrieri medioevali che ancora si fronteggiano nella piazza del Campo, inesorabilmente, da secoli.
2015 Un salto temporale di ormai otto anni: eh, il tempo passa, cari miei. Una volta dissi a mia nonna che era molto vecchia. Lei, beffarda, mi rispose: “ti auguro di poter arrivare alla mia età. Perché anche tu invecchierai”. Aveva ragione. Mi aggiravo nei pressi di un’università per mie faccende. Purtroppo, da uomo del XXI secolo legato ai ragionamenti di logica formale, è mia abitudine incedere con la faccia rivolta verso terra perché i miei pensieri vagano più facilmente. Perdendomi, così, altri degni spettacoli, certo ma non le caviglie delle giovani che stavano, guarda caso, marciando di fronte a me.
Ho usato la parola “marciare” perché, in effetti, è la seconda cosa che ho pensato quando le ho viste affiancate, sincronizzate e convinte di quell’affiancamento e di quella sincronizzazione. La prima cosa che ho notato, invece, era un’altra: le caviglie traballavano in modo pericoloso, ricordandomi le giunture delle lego che non riuscivano a sopportare il peso eccessivo delle mie torri e finivano per cedere, dopo essersi piegate e spezzate. Sicché era cosa alquanto curiosa il fatto che, da un lato, queste ragazze incedevano con passo fermo e sicuro, sincronizzate l’un con l’altra, ma con le caviglie che ondeggiavano sotto la superficie.
Ammetto che il moto di Joseph Conrad mi è sempre piaciuto: nulla che sia umano è a me alieno. Sicché questo articolo nasce da due necessità. La prima è che si tratta di un mio personale divertimento, non lo nego. La seconda necessità è che ogni cosa che non riesco a capire mi solletica la mente a tal punto che finché non me la spiego, non demordo. Facciamo un altro salto temporale.
2012 Ad una festa in Milano, dove l’alcol davvero scorre a fiumi e tante altre cose non possono essere riportate in un blog di filosofia come questo. Come al solito, mi stavo annoiando mortalmente perché tutto può darsi, ma se non si conosce nessuno e nessuno sembra aver voglia di parlare, il range delle possibilità di star bene decresce in modo drastico. Cosa tipica, per altro, di simili raduni. Vengo attirato da un discorso divertente:
“Hai visto quelle donne africane? Poveracce… si sottopongono a cose barbare pur di apparire, secondo loro, più belle”.
“Ah, si. Sono buffe. Ma il mondo è bello perché è vario”.
Mi intromisi. Cazzata.
“Scusate, ma che differenza c’è con le ragazze che mettono i tacchi a spillo? Anche loro modificano la loro naturale postura e sacrificano la comodità per un fine, penso, simile…”
“Ma che cosa c’entrano i tacchi a spillo? I tacchi sono belli…”
Come avrete immaginato, la discussione degenerò presto. Tanto più quando feci notare al ragazzo di fronte a me, che lui aveva un paio di pantaloni con il cavallo all’altezza dei ginocchi, i quali, oltre ad essere visibilmente scomodi in senso generale, lo vincolavano addirittura nel movimento. Che è il massimo sacrificio che si possa chiedere alla natura, un tema torturistico esportato in certe sevizie che i servizi cinesi conoscono bene (ti lasciano vivo, ma ti legano in posizioni così innaturali da essere insopportabili).
Avrete, insomma, capito dove voglio andare a parere. Sono anni che ci penso, sono anni che penso di scrivere un articoletto, ma poi mi domando se ne valga la pena. Alla fine, penso che ne valga la pena.
Veniamo, dunque, alla questione. Non ho mai capito i tacchi a spillo e il motivo per cui le donne le indossano. Non li capisco, sicché devo ragionare come se ci fosse qualche ragione che possa giustificare il loro uso, sia esso cosciente o incosciente. Infatti, mi basterebbe che ci fosse una ragione solida, anche soltanto una, per il loro utilizzo per placare la mia curiosità. Perché di questo si tratta: curiosità e argomentazione logica. La questione è questa: io sono disposto a mettermi un vestito, a tre condizioni:
(1) L’abito deve essere comodo,
(2) L’abito deve rispondere al mio personale gusto,
(3) Devo poter usare l’abito in qualsiasi tipo di contesto.
Sembra trattarsi del classico caso in cui basta supporre che l’abito ci piaccia per rendere razionale il suo uso, a prescindere, da ogni tipo di considerazione di (buono o cattivo) gusto. Ma le cose non stanno così. Ed è proprio questo il punto. Soltanto la condizione (2) è sostanzialmente soggettiva e, diciamo, poco sindacabile. C’è una condizione soggettiva, certo. Ma il fatto è che un abito è un oggetto, con caratteristiche indipendenti dalla nostra volontà. In particolare, la prima caratteristica dipende dall’oggetto (l’abito è comodo, diciamo, quando ci consente di muoverci il più liberamente possibile. Tanto è vero che le pubblicità di assorbenti sponsorizzano i loro prodotti proprio sul fatto che “non si sentono” come “un abito che indossi”). Quindi la comodità dell’abito non solo non è soggettiva, ma è indotta dall’oggetto.
In secondo luogo, anche l’utilizzabilità multipla è importante e non è soggettiva ma obiettiva, cioè non è nell’oggetto né esclusivamente in un solo soggetto, ma è una proprietà condivisa dal contesto sociale e, quindi, indipendente dalla volontà dei singoli. Anche l’utilizzabilità multipla è importante perché un abito che posso usare soltanto in un contesto specifico è sostanzialmente vincolato all’unico uso di un’unica situazione. Ora, mi domando, se io fossi una donna, ed evidentemente non lo sono, per quale ragione mi sentirei di dover utilizzare i tacchi? C’è un ulteriore problema: io credo che nessuno vorrebbe, se fosse libero, usare abiti che mettono a repentaglio la propria salute. Infatti, se già i rischi connessi alla vita sono quelli che sono, non è molto razionale usare un abito, cioè qualche cosa che dovrebbe preservare la nostra incolumità, che aumenta la probabilità di una propria lesione. Che è il caso dei tacchi, che mettono in difficoltà sia le caviglie che la postura.
Intanto, sono solo le donne ad usare i tacchi. Nulla lo prescrive a priori. Infatti, nel settecento piccoli tacchi erano usati anche dagli uomini e qualche tempo fa un mio amico poco meno bassottino di me lamentava proprio il fatto che è ingiusto che i tacchi siano appannaggio solo delle donne. Anche se, a me, sembrava piuttosto avvalorare il contrario, nel senso che, forse, è più semplice che ci si rinunci tutti. Ma ad ogni modo… Solo le donne utilizzano scarpe con i tacchi. La cosa divertente è che se a ognuna di loro si chiede perché usano i tacchi, tutte rispondono grossomodo allo stesso modo: perché le piace. Una risposta tipicamente molto informativa! Tutte quante credono di essere uniche, ma la loro risposta è esattamente la stessa. Se, poi, non si irritano dalla vostra insistenza, sul perché piaccia loro così, la risposta è che “le slanciano” o che “altezza mezza bellezza”: due ragioni che non c’entrano niente con il loro piacere, ma con quelli che le guardano. O, per essere più precisi, si tratta di una scommessa: esse sono disposte a puntare sul fatto che il loro apparire più alte le faccia più piacevoli agli occhi degli altri. Si faccia caso che questo è esattamente il contrario di quanto si era detto prima: da principio, si era detto che indossavano i tacchi perché piaceva a loro, mentre ora si è arrivati a dimostrare che esse suppongono di avere maggiore probabilità (sotto assunzione di credenza) che piacciano di più agli altri! Infatti a parte quando scelgono l’abito, le persone non si guardano nel momento in cui vivono: tu sai che hai le scarpe coi tacchi, ma non passi il tuo tempo guardandoti con le scarpe coi tacchi.
Ora, per quanto popolari possano essere quelle due risposte, va detto che l’altezza di una donna non varia con il variare dei tacchi, ma c’è chiaramente un senso sul fatto che appaiono più alte. Mentre la parola “slanciata” non mi è mai stata del tutto chiara. Ma su questo ci torniamo. Entrambe le diciture, però, suppongono la loro non-solitudine dell’indossatrice. Se fossero sole, non potrebbero apparire a nessuno né alte né slanciate. Quindi, se fossero sole, li userebbero? Forse no. Forse le donne non usano i tacchi quando sono a casa, quando vivono in un contesto isolato. Non lo so. Forse io ho conosciuto troppe poche donne, nessuna delle quali usava i tacchi (a parte una, una tantum). Forse sono io che ho una conoscenza di un campione troppo ristretto. Presumo ma forse sono io che mi sbaglio.
Secondo me, non è solo una questione di altezza. Infatti, noi stiamo molto poco fermi durante una giornata, a meno di fare un lavoro di ufficio. Che è il classico momento in cui poche donne usano i tacchi, utilizzati in genere in contesti, diremmo, più mondani. Ma perché si usano molto meno i tacchi in contesti ordinari? Forse perché sono, appunto, scomodi: non è una mia opinione, ma quella di quasi tutte le ragazze a cui ho chiesto esplicitamente di dirmi se trovano i tacchi comodi. E oltre ad essere scomodi nel momento immediato presente, devono perlomeno essere scomodi anche nel movimento, giacché costringono il corpo a posture molto innaturali (basta farci caso). A voi non è mai capitato di immaginarvi camminando in punta di piedi per delle ore? A me è capitato spesso quando qualche ragazza con tacco assai importante si affianca a me (e immediatamente mi chiedo quanto sia “alto” il suo bluff). Sento l’irresistibile tentazione di mettermi sulle punte e conversare con lei in tono cordiale e cortese sull’ultima moda del momento. Poi desisto e non lo faccio, non solo per non mettermi in ridicolo, ma anche perché dopo pochi minuti ricadrei a terra stremato.
Sicché, insomma, non è comodità. Ci sono molte scarpe più comode. Sicché non è neppure per l’utilizzabilità multipla. E’ evidente che i contesti in cui si possono usare le scarpe con i tacchi sono inferiori rispetto ai contesti che prevedono l’uso anche di altre scarpe (sicché le scarpe possono essere usate sempre, mentre quelle con i tacchi non sempre: sicché le scarpe con i tacchi sono un sottoinsieme proprio dell’utilizzabilità delle scarpe senza tacchi. Un fatto logico inoppugnabile). Non solo i tacchi si usano in meno contesti perché sono più scomodi, ma anche perché le pavimentazioni possono non consentirlo.
In fine, le scarpe con i tacchi non vengono soltanto usate perché piacciono alle stesse indossatrici. Non solo. Non sono usate solamente in funzione dell’idea che si stia come colonne sul piedistallo in marmo. Perché? Perché non stiamo mai così tanto fermi per così tanto tempo. Quindi, l’utilizzo delle scarpe con i tacchi è pensato anche in funzione del movimento, costretto ad essere anch’esso molto innaturale. Conosco pochi esseri sulla Terra che si prendono cura del proprio corpo come le donne: diete, pensieri sulle diete, pensieri sui pensieri delle diete; ginnastica, sport, fitness, cibo naturale, aria aperta, passeggiate, corse… Tutte cose che un maschio medio può gradire, certo, ma non tutte insieme! O, almeno, a giudicare dallo stile di vita in cui un maschio medio si adagia, è difficile che tutte queste cose (che, invero, richiedono sacrifici) siano da lui operate.
Quindi, le donne si prendono molta cura di sé, però, poi molte di loro usano scarpe scomode, che mettono a repentaglio le loro caviglie e la loro postura, utilizzabili in pochi contesti. Perché?
Perché i tacchi sono un segno distintivo. Quando usavo la parola “marciare” non era, in fondo, a caso. Come le uniformi dei soldati sono sempre state un blasone per l’uomo d’arme, così per molte donne essere identificate in qualche modo è un fatto importante. I tacchi vengono messi per lanciare un messaggio. Questo è il punto.
Se su un gruppo di venti persone, due usano i tacchi, di per certo vengono notate. Nel bene o nel male, ma sicuramente si distinguono cioè si possono identificare e riconoscere. Allora è più probabile trovare la volta dopo il numero raddoppiato: da due a quattro, fino a quando non si arriva al limite massimo che è il totale dell’insieme delle persone presenti e interessate a distinguersi meno quelle che non le metterebbero comunque in relazione a ragioni di scomodità, rischio o di gusto personale. Il paradosso, infatti, è il seguente: che la moda funziona proprio così. Un individuo si distingue tra cinque. Quattro lo osservano ma lo copiano in tre, perché al quarto non piace. Ora ad essere distinto è proprio il quarto, anche se, nel momento di massima estensione della moda, il quarto potrebbe venire emarginato o pressato socialmente per adeguarsi alla moda. Ma alla fine, se non demorde o se rimane comunque distinto in senso anche positivo, ecco che ritorna ad essere copiato. Volete una prova più concreta? Qualche anno fa, andavano molto di moda le ballerine, delle scarpe contrarie al tacco tanto sono quasi una pura suola. Ora vanno molto di moda tacchi sempre più alti. Perché? Perché adesso il processo è quello di enfatizzare la distinzione, cioè il tacco. Esso aumenta di altezza fino al massimo concepibile, fino a quando la carica distintiva della moda si esaurisce per rifluire all’indietro. Tutte distinte, tutte coi tacchi: tutte uguali.
Il lettore si ricorderà che io non ho caratterizzato la parola “slanciata”. Adesso è il momento di farlo. Fino a qui abbiamo supposto che le ragioni in difesa dell’uso dei tacchi (quali che siano), dovessero avere a che fare con delle buone motivazioni, cioè delle evidenze a supporto dell’uso dei tacchi. Ma la parola nella frase “i tacchi mi fanno apparire slanciata” indica qualcosa di diverso: non è un fatto (“mi fanno apparire come”…) ma non è neppure un piacere (che piacere è “essere slanciati”? Un piacere può essere condiviso, cioè provato da più persone. Ordinariamente una persona non invita un’altra a “slanciarsi”: “Ma lo sai? Ho provato il piacere dello slanciamento… dovresti provarlo anche tu!” Sono chiaramente frasi senza senso).
La parola “essere slanciata” indica un potere, un potere fittizio, ma non per la mente. Mi ricordo che quando ero un bambino usare un fucile giocattolo mi faceva sentire più potente, per l’illusione di avere uno strumento da guerra (da maschio… a me piacevano i fucili). Un bambino, se non è “lento”, sa benissimo distinguere un fucile giocattolo da un fucile vero. Sa bene che il suo è soltanto un gioco. Così è anche per l’adulto, ma anche all’adulto piace giocare. Ora, io credo che anche da adulti molti provino la stessa sensazione indossando indumenti particolari, utilizzando strumenti personalizzati etc.. Ad esempio, tempo fa, a me faceva piacere usare una penna stilografica solamente perché mi faceva sentire più simile agli antichi (ovviamente non ero né più antico né più simile ad un antico… ma almeno non mi storcevo le mani o la schiena). Ora, io credo che la questione dello slanciamento sia simile. Ovvero: i tacchi inducono l’idea di una maggiore potenza sugli altri da parte delle indossatrici. Esse si sentono “potenziate”, sentono che la loro capacità di determinare gli eventi sia maggiorata.
Ovviamente, le cose non stanno così, non c’è nessuna ragione, lo abbiamo visto, per credere che le cose stiano così. E io, che ho fiducia nel genere femminile almeno quanto nel resto, non ho dubbi che quasi tutte le indossatrici lo sappiano benissimo. Ma il residuo dell’infanzia si conserva nel tempo e fa credere alle persone che particolari tipi di indumenti potenzino la loro forza. Anche i maschi hanno i loro gadget moltiplicatori di potenza fittizia. I tacchi, credo, che potrebbero rientrare in questa categoria di oggetti: moltiplicatori di potenza mentale, senza correlato nello stato di cose, ma sufficiente da motivare chi li indossa a subire anche il fastidio di una postura scomoda. Comunque, che questo effetto di moltiplicatore di potenza tacchiano non sia solamente un fatto che sta nella testa delle indossatrici e non sia una cosa priva di effetti è smentita, in un certo senso, dagli effetti che questa forza mentale induce nelle vendite: non solo esistono una infinita varietà di scarpe, non solo esistono una infinità di siti on-line di vendite di sole scarpe (alcuni con la dicitura “scarpe sexy”… per chi? per chi le indossa o per chi vede chi le indossa?), ma il prezzo in denaro sonante si aggira sugli ottanta euro, scarpe non di grandi marche. Ma se la media è di circa ottanta euro e il fatturato delle aziende di scarpe è inquietante (invito il lettore a compiere ricerche personali in tal senso), non è per altro se non perché i tacchi sono evidenti sintomi di messaggi agli altri e moltiplicatori di potenza in quanto diffusori di messaggi espliciti, segnali, ami…
Chiudo dicendo questo. Per me le persone sono libere di fare del proprio corpo ciò che vogliono e ritengono più opportuno. Il corpo non è mio e fin tanto che non costringono me a fare ciò che non voglio, tutti facciano quel che più gli pare. Sicché, per me, una persona è libera di usare i tacchi per le ragioni più assurde o più disparate, che poi sono sempre le stesse e, fondamentalmente, riducibili a una o due. Esclusa la comodità (salvo in rari contesti, nel tango, per esempio, pare che il tacco aiuti a ruotare la propria figura: ma non si balla a tango più di una o due volte a settimana), esclusa l’utilizzabilità multipla, rimane la propria opinione personale. E cioè che lasciar credere negli altri che si è più alte e con movenze innaturali ma accattivanti è ritenuto un fatto conveniente e moltiplicatore di potenza. Il perché lo lascio giudicare agli altri e a me, in tutta onestà, non mi interessa, ma è chiaro che pur con tutto il nostro femminismo, amorevolmente difeso anche da gente come me, che ha sempre ritenuto la donna libera e bella perché libera e quando tale, credere che anche questa libertà autolesionistica sia davvero una forma di libertà è fin troppo. Insomma, non c’è bisogno di andare in paesi esotici per vedere cose “esotiche”. Poi, il mondo è bello? Mah. Sicuramente è molto vario, sicché a ognuno i sui personali gradini per risalire la scala della vita che, con o senza tacchi, rimane molto impervia…
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