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Un articolo sull’arte della guerra romana? Publio Flavio Vegezio Renato
Dopo La grande strategia dell’impero romano Edward Luttwak, noto analista ed esperto di strategia, ritorna a riflettere sulla storia romana. Questa volta, in La grande strategia dell’impero bizantino, l’obiettivo consiste nell’indagare la storia dell’impero bizantino, sotto l’angolatura strategica. Si tratta di un testo di analisi storico-strategica di grande respiro e di grande rilevanza, sia per gli studi strategici, sia per gli studi storico-politici: un’opera la cui lettura arricchisce chiunque sia disponibile a dedicarci il tempo dovuto, nella misura in cui si tratta pur sempre dell’analisi di una delle più sottovalutate civiltà della storia occidentale. E in questo il libro di Luttwak riesce pienamente nell’intento: nel mostrare la profondità del pensiero politico, diplomatico e strategico dell’impero bizantino, almeno nel periodo precedente alla crociata del 1204, data unanime della fine dell’impero, che si trasforma in grossa città stato (Bisanzio).
L’impero bizantino trae il suo nome dalla sua capitale, Bisanzio, precedentemente nota come Costantinopoli (oggi Istanbul). Bisanzio è la sede del potere imperiale, centro della chiesa che diverrà poi ortodossa, città fortificata sia rispetto alla penetrazione da terra che da mare, porto di importanti dimensioni, sede dell’arsenale imperiale e luogo di elaborazione di dottrine militari fondamentali, come quelle dell’imperatore Maurizio, lungamente analizzata da Luttwak. Non si può sottostimare l’importanza e la centralità di Bisanzio sia in relazione all’elaborazione di una diplomazia fondata sul prestigio, sulla religione e su una potenza militare da utilizzare principalmente come forma di deterrenza e solo se necessario come arma vera e propria. Infatti, uno dei punti più importanti dell’analisi di Luttwak verte proprio su questo: la perenne minaccia dell’impero bizantino a potenze esterne più potenti o, perlomeno, potenti abbastanza da non poter mai potersi sentire del tutto sicuri.
Il contesto geografico-politico dell’impero bizantino spinge questi ultimi a incentrarsi su una diplomazia permanente, su una forza militare estremamente addestrata e competente e su un intelligence altamente sviluppato. Come detto, la diplomazia dell’impero si muoveva sul doppio contesto di imposizione di un riconoscimento e prestigio a chiunque fosse raggiungibile dall’impero, con l’obiettivo di imporre reverenza: i pomposi cerimoniali imperiali non erano fini a se stessi, ma servivano a mostrare la magnificenza dell’imperatore e della sua corte. Il prestigio serve a dissuadere e a persuadere. Al prestigio laico si univa quello sacrale, in quanto l’impero bizantino sfruttava ampiamente la sua importanza sul piano religioso, sia da un punto di vista dottrinale che morale. Oltre, dunque, alla costruzione di un’imponente apparato di riti e “miti”, laici e religiosi, si univa una permanente veglia militare sia dal punto di vista dell’intelligence, sia dal punto di vista delle dottrine militari e dell’esercito in quanto tale.
L’intelligence bizantina era particolarmente sviluppata, ed è ancora oggi la fonte di importanti notizie storiche su popoli che, altrimenti, sarebbero sostanzialmente sconosciuti. L’intelligence era fondamentale sia per elaborare le linee strategiche a lungo termine, ma soprattutto per salvare la giornata da popoli aggressivi e confinanti. L’intelligence, infatti, non soltanto consentiva di riconoscere il nemico, i suoi stili di combattimento e i suoi obiettivi, ma era la base grazie alla quale poter sapere in anticipo a quali popoli potersi alleare, all’occorrenza. Stringere alleanze, mantenere buoni rapporti, pagare il vicino per combattere per procura erano tra le armi diplomatiche più efficienti di Bisanzio. Tanto più che Luttwak sottolinea continuamente il problema dell’impero bizantino, e cioè che non poteva sconfiggere mai il proprio nemico: prima di tutto perché ad un nemico debole probabilmente ne sarebbe giunto uno più forte, in secondo luogo perché le armate imperiali erano eccezionalmente addestrate, un addestramento lungo e difficile e costoso che rendeva la vita dei militi imperiali estremamente preziosa. Se l’impero romano poteva permettersi il lusso di una continua guerra di logoramento, fintanto che il nemico non veniva ipso facto cancellato, l’impero bizantino doveva accontentarsi di salvare la giornata per continuare a sopravvivere. E grazie all’oculatezza estrema, Bisanzio sopravvisse ben oltre l’impero romano d’occidente.
Gli eserciti bizantini erano efficienti, ben addestrati e compositi, ma fondati sull’arciere a cavallo che si trasformava in lancere. Questo soldato unisce la forza della cavalleria delle steppe (arciere a cavallo) con quella della cavalleria armata semi-pesantemente. L’impero romano d’oriente (romani si considerarono sino all’ultimo) si mantenne grazie ad una rivoluzione degli affari militari: dalla legione classica imperiale romana si passa a un esercito altamente mobile, fondato sull’utilizzo dell’arco composito di estrazione orientale. A differenza che l’impero romano d’occidente, l’impero romano d’oriente aveva imparato a combattere sulla base delle novità fondamentali avvenute in sede tattica ed operativa, a seguito delle invasioni di popoli quali gli unni e gli avari. E se l’esercito era fondato, dunque, su unità altamente addestrate, a livello delle alte gerarchie dell’esercito lo studio dei classici e dei nuovi testi era fondamentale. In questi, a differenza che in un tardo autore come Vegezio, si ritrovano novità e ripensamenti profondi delle dottrine militari, indispensabili per condurre guerra e mantenere l’esercito e la civiltà bizantina intatta. Infatti, nessuno come i bizantini doveva tentare di vincere senza combattere, come avrebbe consigliato Sun Tzu.
L’esercito imperiale e la stessa capitale traevano le sostanze da una base fiscale estremamente ampia ed importante. Il sistema fiscale dell’impero, ereditato dalla migliore tradizione romana e mantenuto attivo durante tutto l’impero, è il fiore all’occhiello della civiltà bizantina, come ha più volte sottolineato l’Autore. Infatti, il prelievo fiscale era modellato in modo da garantire un riciclo del denaro prelevato al fine di mantenere elevata la produzione stessa. L’idea è che tale sistema di prelievo doveva garantire il ritorno in circolo del capitale all’interno dell’economia, fonte del prelievo fiscale stesso. Questo circolo virtuoso consentì all’impero di mantenere un esercito addestrato e pronto all’occorrenza.
Luttwak, dunque, considera la storia dell’impero bizantino come ad un modello virtuoso di una civiltà che aveva compreso che non si può vincere il nemico semplicemente abbattendolo. Questo può anche capitare, ma è un caso che va ben ponderato, onde non correre rischi inutili. La storia dell’impero bizantino, presentataci da Luttwak, era tutta incentrata sulla possibilità di evitare un inutile dissipazione di risorse fisiche e capitale umano. E il risultato è stato che, nonostante una lunga difficile guerra, l’impero sconfisse anche il suo sempiterno nemico, cioè l’impero persiano.
La grande strategia dell’impero bizantino è un testo scritto in modo estremamente godibile (si consiglia la lettura in inglese per la qualità della prosa), minuzioso sotto il profilo storico e strategico, frutto di una lunghissima gestazione, come lo stesso Luttwak ci dice. E questa lunga gestazione ha partorito un libro di grande attualità, non soltanto perché riesce nel sempre difficile intento di mostrare la storia come lezione di vita, ma anche perché uno stile estremamente piacevole si unisce ad una conoscenza estremamente vasta dell’argomento. Un libro che interessa tutti gli storici di professione, gli analisti, gli strateghi e i semplici curiosi: un risultato raro, quanto rimarchevole. Per una dotta introduzione al libro, una bella intervista stessa dell’autore stesso (si veda sotto).
Edward Luttwak
La grande strategia dell’impero bizantino.
Rizzoli
Pagine: 540.
Euro: 12,50.
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