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Consigliamo Libertà, causalità e legge morale e Causalità di David Lewis
Iniziamo la nostra analisi a partire dagli assiomi fondamentali della causalità per Spinoza.
3) Da una data causa determinata segue necessariamente un effetto e , al contrario, se non si dà alcuna causa determinata è impossibile che segua un effetto.
4) La conoscenza dell’effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica.
5) Le cose che non hanno tra loro nulla in comune non possono neppure essere comprese l’una per mezzo dell’altra, ossia il concetto dell’una non implica il concetto dell’altra.
Si tenga conto dell’ultima proposizione della prima parte dell’etica, la proposizione 36:
- Nulla esiste dalla cui natura non segua un effetto.
Il terzo assioma stabilisce che dato un qualunque evento, definito come causa, non può non seguire un secondo evento, detto effetto. Per qualunque azione in natura esiste una causa precedente ed un effetto susseguente. La catena di eventi non s’interrompe in un punto qualunque, al contrario non esiste alcun evento che non sia inserito nel mezzo tra le sue cause e i suoi effetti.
La concezione della causalità in Spinoza prevede una connessione tra due fatti definiti dagli stessi attributi. Due eventi totalmente distinti, non possono essere legati tra loro mediante un nesso causale. “Le cose che non hanno tra loro nulla in comune non possono neppure essere comprese l’una per mezzo dell’altra, ossia il concetto dell’una non implica il concetto dell’altra”. L’assioma quinto non stabilisce semplicemente il fatto che tra la causa e l’effetto esiste una relazione “reale”, definita secondo gli attributi dell’uno e dell’altro, ma che l’evento causante è necessario per conoscere l’evento causato.
Nella teoria di Spinoza esiste un parallelismo tra estensione e pensiero. Pensiero ed estensione sono due attributi infiniti dell’unica sostanza infinita, il Dio/Natura spinoziano. Il Dio/Natura di Spinoza è assolutamente infinito, cioè ha proprietà di numero infinito così come le singole proprietà hanno in sé un insieme di eventi non limitato. L’uomo può conoscere esclusivamente due degli infiniti attributi di Dio, vale a dire il pensiero e l’estensione.
La nostra conoscenza si fonda all’interno dei due attributi di cui facciamo parte. Allo stesso modo, noi dobbiamo concepire la causalità. Da un punto di vista “ontologico” la causalità va interpretata secondo un duplice schema: da un lato l’insieme degli eventi fisici che si svolgono nell’estensione; da un altro lato l’insieme dei pensieri che procedono in modo parallelo agli eventi dell’estensione.
Pensiero e estensione sono due delle infinite proprietà della Natura assolutamente infinita per qualità e quantità. Come abbiamo detto, per ciascun evento esiste una causa anteriore e un effetto successivo. Dunque, qualunque cosa accada nella realtà dei fatti, esiste un evento che lo precede e uno che lo segue.
Tuttavia, un evento nel pensiero è definito esclusivamente dalle proprietà di tale attributo, allo stesso modo vale per la descrizione degli eventi fisici. In questo senso, i due attributi sono due “linguaggi” in tutto distinti e irriducibili l’uno all’altro, un po’ come nella teoria della mente funzionalista.
Il problema sorge da sé: se il pensiero e l’estensione sono due proprietà tra le infinite di Dio, se esse sono tra loro irriducibili tanto che un pensiero non limita né causa un evento nell’estensione e viceversa, allora su cosa si può fondare la nostra conoscenza del mondo, visto e considerato che essa si situa all’interno della res cogitans? La risposta di Spinoza prevede il concetto di parallelismo: se pensiero e estensione sono due proprietà dell’unica sostanza assolutamente infinita allora lo svolgimento dell’unica sostanza implica (causa) qualunque evento sia al livello mentale che fisico. In questo senso, l’attributo del pensiero e quello dell’estensione procedono in modo contemporaneo, cioè sono entrambi posti dalla medesima causa e si svolgono senza interferire. Il procedimento parallelo implica che se conosco un dato evento nell’attributo del pensiero allora automaticamente deve esistere un qualche altro evento nell’attributo dell’estensione giacché non esiste alcun fatto nella mente a cui non sia connesso in parallelo un altro nell’altro attributo. La connessione non è di genere causale, ma essa è garantita dalla medesima causa comune.
Dunque, per conoscere un evento bisogna conoscerne la causa in quanto essa è causa dell’essenza e dell’esistenza dell’effetto. La “causa dell’essenza” definisce le proprietà essenziali di una cosa, vale a dire tutte quelle caratteristiche che, se negate, negano l’oggetto. Se dico che una palla è mossa dal calcio, allora l’azione del movimento sarà definito nei termini delle forze che descriveranno interamente il moto della palla. Se nego le forze antecedenti, le loro proprietà, arrivo anche a negare la descrizione del moto della palla. Altrimenti, se una casa è posta da una serie di materiali secondo uno schema, allora se nego le proprietà geometriche di quest’ultimo e le caratteristiche materiali degli utensili da costruzione “demolisco” la casa stessa. Mentre per “causa dell’esistenza” si deve intendere la cagione per cui una cosa è venuta ad esistere: se esiste un figlio è perché egli è stato generato dai genitori. I genitori sono la causa dell’esistenza del figlio.
Spinoza mette in guardia: bisogna procedere dalle cause agli effetti, non viceversa. La relazione di causalità è intransitiva giacché essa procede in un solo senso nel tempo. Qualora si procedesse dalla conoscenza degli effetti verso la conoscenza delle cause potremmo non comprendere chiaramente quali sono le reali proprietà di un evento e per quale ragione è venuto ad essere. Prendiamo l’esempio del figlio: se non sapessi che egli è nato da una “coppia” di individui, potrei pensare che egli è venuto ad essere dalla sola madre, essendo questa una come è uno il figlio. Ciò per quanto riguarda l’errore di concezione della causa dell’esistenza. Ma prendiamo il caso della palla: se considero esclusivamente l’effetto, potrei pensare che essa sia stata scagliata da un cannone, anziché da un calcio.
In realtà, accade assai spesso di considerare gli effetti per cause e le cause per effetti. Questa è il fondamento di ogni pregiudizio, secondo Spinoza. Ed in effetti, le superstizioni nascono proprio in virtù di una misconoscenza dei nessi causali e l’inversione di cause con effetti. Per tale ragione, Spinoza insiste molto su questo punto.
Si può osservare che Spinoza non chiarisca abbastanza come vada intesa la causalità: Hume, ad esempio, da dei criteri molto precisi per concepire il nesso di causa ed effetto. Per ciò, scendiamo nello specifico.
Spinoza interpreta il nesso causale nei termini dell’implicazione logica espressa in un linguaggio naturale nei termini di un periodo ipotetico del tipo “se questo allora questo” dove “questo e questo” sono due proposizioni che esprimono fatti. Il periodo ipotetico si costruisce su una principale, “…allora…” e una protasi, “se…”. La causa sarà espressa dalla principale mentre l’effetto dalla protasi: “Se la palla si muove, allora le è stato dato un calcio”. Secondo l’interpretazione della logica classica, i criteri di verità dell’implicazione sono i seguenti: la proposizione “se…allora…” sarà vera, se è vera la principale indipendentemente dalla protasi, viceversa, sarà falsa se la principale è falsa a meno che lo sia anche la protasi.
La sostanza assolutamente infinita, cioè la Natura o Dio, è, sul piano dell’estensione, un susseguirsi continuo ed infinito di cause ed effetti. In questo senso, è impossibile esaurire l’analisi delle cause, se considerate nella loro totalità: “Se la palla si muove allora è stato dato un calcio, se le è stato dato un calcio allora un piede si è mosso, se un piede si è mosso allora…” e così via. Secondo Spinoza non c’è stato un equivalente del Big Bang ma il mondo è infinito negli eventi tanto nel passato quanto nel futuro. Il tempo non è altro che la successione stessa delle cause ed essendo la causa di tutto ciò che esiste in sé ed è definito per sé, vale a dire il Dio/Natura, allora i singoli eventi sono infiniti perché seguono da una causa assolutamente infinita. Solo Dio è eterno giacché non ha causa ed è causa di tutto.
Si possono muovere delle obiezioni da tale dottrina tuttavia, in questa sede, ci interessa osservarne soprattutto i punti di forza. Poi elencheremo i pensatori che si sono opposti a tale concezione e con quali risultati. L’idea di Spinoza è molto forte:
(1) non esiste fatto che non abbia una causa,
(2) per conoscere la natura dell’effetto bisogna conoscere la natura della causa, vale a dire che le proprietà essenziali di una causa implicano le proprietà essenziali dell’effetto,
(3) la causa è determina l’esistenza dell’effetto e l’effetto non esisterebbe senza causa.
Per Spinoza si danno somme di cause cioè non si dà mai un’assimetria tra causa ed effetto: ad esempio, il funzionamento di un’automobile non è riassumibile nei termini del giro della chiave ma ci sono tante cause che si sommano per un unico grande effetto. Egli è esplicito in questo senso. Da questo punto di vista, è interessante osservare che Spinoza non cade mai in contraddizione su questi punti e le debolezze della sua dottrina si fondano sui problemi “ontologici” che egli assume per buoni.
Altro punto di forza della teoria spinoziana della causalità è la sua “logicità” intrinseca precedentemente enunciata. Essa consente di spiegare molto bene cosa si intenda per conoscenza adeguata e pregiudizio. Inoltre, consente di formulare delle frasi falsificabili, anche se Spinoza non avrebbe pensato in termini di verifica e falsificazione, ma queste, d’altra parte, sono idee molto “giovani” nel panorama filosofico.
Prima di procedere nella critica di altri filosofi alla dottrina della causalità, vogliamo precisare alcuni punti fondamentali: in primo luogo, Spinoza pensa al nesso “causa/effetto” nei termini di due o più eventi distinti, connessi da un punto di vista logico/fisico: logico da un punto di vista della conoscenza del nesso nel pensiero, fisico dal punto di vista dell’estensione.
In secondo luogo, la causalità di Spinoza è interamente “deduttiva” nel senso che una volta conosciuta la causa si procede a conoscere l’effetto esattamente negli stessi termini della deduzione in logica. Infatti, si può conoscere adeguatamente il mondo indipendentemente dall’esperienza, in particolare Spinoza concepisce la deduzione dell’esistenza dell’effetto dall’esistenza della causa. Se un mattone esiste allora esiste la terra cotta. Cioè dati certi presupposti, non è possibile che non seguano determinati effetti.
In fine, per tale ragione, la conoscenza adeguata del mondo non segue dall’esperienza, che essa è l’ultimo risvolto di una causalità nei termini di tempo, ma, viceversa è essa stessa da spiegare nei termini di nessi causali ben definiti. La luce del sole non mi mostra il sole, ma, viceversa, è il sole che mi mostra la luce. Se credessi che la luce è la causa allora dovrei inferire che è il sole l’effetto. Ma ciò è chiaramente erroneo. Spinoza in questo modo arriva a criticare l’empirismo sostenendo che esso scambia di continuo cause con effetti.
Riassumiamo la teoria della causalità deduttiva di Spinoza:
i. Ogni (x) evento (x), esiste (y) evento (y) e (x diverso da y) tale che x→y.
ii. La causa implica le proprietà essenziali dell’effetto.
iii. La causa implica l’esistenza dell’effetto.
iv. La conoscenza della causa implica la conoscenza dell’effetto.
Il primo a criticare tale visione della causalità fu John Locke nel Saggio dell’intelletto umano. Egli reinterpreta il nesso causale all’interno della concezione empirista: il nesso causale non è altro che un’idea della mente di un particolare evento fisico che avviene al di fuori. La causalità non ha nulla a che fare con l’implicazione logica giacché essa, appunto, prevede che da premesse vere non possa in alcun modo seguire il falso. Tuttavia, nel caso della relazione di causa ed effetto, non c’è la possibilità di procedere in questo modo giacché essa si scopre solo all’interno della mente a partire da una certa esperienza: come faccio a sapere che la palla è mossa da un calcio se non vedo il piede che parte? Ciò si può scoprire solo a posteriori. Locke accetta solo la prima assunzione di Spinoza, cioè che per ogni evento ne esista un altro che ne è la causa, tuttavia non accetta nessun’altra assunzione. La seconda critica di Locke a Spinoza è al concetto di sostanza causa di sé e causa di tutto: egli sostiene che l’idea delle sostanza, siano esse finite, come nella concezione di Aristotele, siano esse due, come nella concezione di Cartesio, sia essa solo una, come voleva Spinoza, siano delle idee oscure che non hanno alcun fondamento né nell’esperienza né nella mente e, in ultima analisi, mostrino solo la loro stessa infondatezza. Il Dio/Natura causa di sé e di ogni evento fisico e mentale non sarebbe altro che un concetto scatola, un’idea che implica tutto perché essa è del tutto vuota e inverificabile. Essendo al di là dei fatti, al di là dell’esperienza è anche al di là della nostra stessa conoscenza. Locke attacca Spinoza sul duplice fronte dell’ontologia della causalità che della inferibilità dell’effetto dalla causa.
Berkeley, attraverso il suo principio che l’esistente è l’esperibile, e che la nostra esperienza è prodotta interamente da Dio stesso, giunge all’immaterialismo e alla preminenza della causalità finale rispetto agli altri tipi di causa. Infatti, se tutto è prodotto da Dio e le idee delle sostanze sono inconcepibili perché non sono prodotte dalla percezione, allora la causalità diventa l’espressione delle intenzioni della divinità.
Certamente la posizione di Berkeley, per esser resa interessante, deve essere arricchita da altri criteri per definire il principio di causalità. Oltretutto, l’idea della divinità produttrice delle nostre percezioni è un po’ troppo difficile da accettare.
Locke e Berkeley hanno aperto la strada al più grande critico della causalità deduttiva spinoziana e, in generale, alla validità del principio di causa: David Hume. Hume sostiene l’idea di Berkeley secondo cui l’essere è l’esser-percepito e sottoscrive la critica all’idea di sostanza. Allo stesso tempo, non rinuncia alla definizione della causalità come relazione tra idee negli stessi termini in cui l’aveva concepita Locke. Hume, infatti, ritiene che non si possa in alcun modo dedurre l’esistenza di qualcosa dalle nostre percezioni sin tanto che non abbiamo l’impressione immediata di ciò che esiste. Ciò è reso ancora più evidente dal fatto che l’esistenza non è una proprietà che arricchisce la nostra descrizione di un fatto per ciò non si può nemmeno inferire da premesse non essendo, questa, una proprietà in senso stretto. Essa, semplicemente, attesta una correlazione biunivoca tra una nostra idea e un certo oggetto, ma non esprime in alcun modo una proprietà di tale oggetto. Hume non assume neanche l’idea che ogni evento sia preceduto da una causa: noi non lo sappiamo né lo sapremmo mai. Potrebbero benissimo darsi degli eventi incausati. La validità del principio di causa è limitato alla statistica e non giunge alla necessità: non c’è necessità nel sorgere del sole, ma solo un’altissima probabilità. La causalità è una connessione psicologica irresistibile che nulla ha a che fare con un’implicazione logica. Questa critica è molto forte ed impegnativa giacché costringe a ripensare l’intera conoscenza all’interno di un ambito prettamente indeterminista a priori. Hume non annulla il principio di causalità ma lo indebolisce sino a reinserirlo nell’interiorità del soggetto, privandolo così di ogni sostegno oggettivo.
Kant prende le mosse da Hume nella sua analisi al concetto di causa. Nella Critica della ragion pura, egli sostiene che noi colleghiamo i fenomeni secondo relazioni di causa effetto. La mente, in questo, è in tutto determinata dalla sua organizzazione, ma essa non pensa indipendentemente dall’esperienza. Dunque, la relazione di causa ed effetto si pone solo all’interno della mente ed è impossibile stabilire se esista anche all’esterno, come voleva Spinoza. Tuttavia, Kant non ritiene che il principio di causa sia da indebolire sino alla concezione humeana giacché, così facendo, ci dovremmo accontentare di una conoscenza del solo probabile, ma non del necessario. Immanuel ritiene che la nostra attività mentale ordini il materiale offerto dall’esperienza in modo soggettivo, sì, ma in modo identico a tutti gli altri soggetti: la struttura del soggetto conoscente dotato di ragione è comune a tutti gli altri, per ciò, la causalità è una connessione di fenomeni necessaria e universale. Necessaria perché la nostra mente è strutturata in un unico modo, universale perché se posti nelle stesse condizioni ambientali, giungiamo tutti alle stesse conclusioni. Kant riconosce fondata la critica humeana alla causalità deduttiva di Spinoza, ma ridefinisce il principio di causa in modo tale che esso ritorni ad avere una valenza più forte di una semplice connessione tra idee.
In conclusione, la causalità deduttiva di Spinoza è un’immagine rigorosa e profonda che, sebbene sia stata criticata, conserva tutt’ora una forza irresistibile. La scienza contemporanea preferisce seguire l’immagine humeana o kantiana, ma dopo vari fenomeni di non-località riscontrati nel mondo delle sub-particelle si potrebbe ritornare ancora una volta all’inossidabile teoria deduttiva della causalità, espunta dall’idea dell’inferibilità possibile dell’esistenza degli oggetti. Se anche non fosse così, quale scienza non ha come ambizione l’immagine reticolare della teoria spinoziana?
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