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L’importanza delle variazioni nella musica classica
Le “variazioni sul tema di Handel” sono un insieme di 25 variazioni di Johannes Brahms (1833-1897) su un tema di George Friederic Handel. Handel (1685-1759) fu un compositore di quella che oggi chiamiamo “musica barocca” ed è considerato uno dei fondatori della musica moderna insieme a Antonio Vivaldi e Johan Sebastian Bach. Ognuno ha il suo personale maestro di riferimento, l’esempio umano a quale si spera sempre di tendere, pur nella piena consapevolezza di non poterlo mai raggiungere. Ludwig Van Beethoven (1770-1827) era un conoscitore approfondito del suo personale maestro, Handel, di cui pare avesse anche un busto posato sopra il pianoforte. Handel, infatti, come poi anche Beethoven, era particolarmente abile a sfruttare una sorta di accumulazione di intensità mediante momenti di adagio seguiti a grandi esplosioni musicali. Di questo si ritrova ampiamente traccia nelle “Variazioni sul tema di Handel”. Dunque, è lecito iniziare dall’ascolto della suite n. 1 in Si-bemolle maggiore, HWV 434. Senza anticipare molto al lettore, la Suite risulterà abbastanza distante da quella che sarà la fruizione dell’opera di Brahms, che è il nostro oggetto principale. Tuttavia, merita la pena perché tra la composizione di Brahms (1861) e quella di Handel passa più di un centinaio di anni di musica e tra i due compositori sono state intraprese delle profonde ricerche musicali, a partire dai grandi che hanno cambiato non soltanto la musica in senso lato (Haydn, Mozart e Beethoven) ma anche nel senso più stretto delle composizioni per tastiera (Scarlatti, Mozart, Clementi, Beethoven).
Le venticinque variazioni sul tema di Handel di Brahms (op.24) sono un capolavoro giovanile del compositore, il quale è uno dei grandi rifondatori del pensiero musicale nel momento di passaggio tra il romanticismo e il periodo precedente alle avanguardie novecentesche e, poi, alla rivoluzione musicale del XX secolo. Queste variazioni, considerate da alcuni tra le opere più degne di questo genere, accostabili alle variazioni sul tema di Diabelli di Beethoven (da ascoltare, naturalmente), segnano un particolare momento che vale sia in quanto specifico di Brahms, sia della musica classica in generale. Infatti, da un lato Brahms riparte da uno dei nuclei della nostra musica per ripercorrerlo e rileggerlo in modo autonomo, da un altro lato egli costruisce una musica tipicamente moderna, rispetto all’opera di Handel (inevitabilmente). Il risultato è una perfetta armonizzazione tra l’elemento fondante (il barocco), ritrovabile sin dal tema, e il moderno (il sempre più post-romanticismo). In questo senso, Brahms si colloca in un momento di svolta tra il periodo propriamente romantico e un suo progressivo differenziamento tra correnti neoilluministiche-positivistiche e propriamente decadenti. Brahms è sicuramente, per quanto neo-romantico, uno dei compositori più equilibrati del suo periodo e questo si nota sin da queste variazioni. Come detto, dunque, le variazioni colpiscono non soltanto per la capacità di rinnovare un tema di un compositore barocco, non soltanto per la loro capacità di emulare lo stile del maestro, ma anche per la loro forza espressiva e creatività intrinseca, che lo stesso Brahms aveva riscontrato concentrandosi sulla loro elaborazione. In fine, vale la pena di sapere che queste variazioni furono suonate da Clara Schumann, moglie del compositore e nota eccellente pianista e in grande amicizia con Brahms. Quindi adesso è venuto il momento dell’ascolto dell’opera.
La fecondità di queste variazioni, non soltanto da un punto di vista del fruitore inesperto quale posso essere io, è testimoniata dalla grande quantità di pianisti che hanno prestato la loro attenzione a queste variazioni. Personalmente, la mia interpretazione prediletta è quella del grande virtuoso Sviatoslav Richter e per questo l’ho direttamente inserita sopra, ma consiglio anche l’ascolto delle variazioni nell’interpretazione di Grigory Sokolov (finissimo pianista) e di Murray Peraia. Sia Sokolov che Peraia riescono a mettere in luce tonalità e anche uno spirito leggermente diverso, che merita davvero la pena ascoltare per un sano confronto di vedute tra simili maestri. Infatti queste variazioni sono interessanti anche perché offrono davvero una differenza tra interpretazioni non soltanto notevoli, ma anche molteplici: sono davvero in tanti ad essersi cimentati nell’interpretazione di una simile opera. E infatti le interpretazioni che vi ho proposto sono soltanto alcune delle interpretazioni dell’opera, ma quasi tutti i grandi pianisti hanno dedicato un po’ di tempo per prestare la loro arte alle variazioni di Brahms.
Ma la storia di queste variazioni non è finita con Brahms. Esse sono state così celebrate ed apprezzate che un compositore inglese del novecento, Edmund Rubbra (1901-1986), apprezzò a tal punto le variazioni sul tema di Handel che decise di scrivere una trasposizione per orchestra. La trasposizione di un’opera, in genere da un lavoro sinfonico ad una riduzione a pianoforte (si pensi ai lavori di Lizst e alle sinfonie di Beethoven – su cui penso di tornare prima o poi ma nel frattempo vi consiglio assolutamente questa riduzione della sesta sinfonia di Beethoven), è il sintomo di un grande interesse o della grande popolarità dell’opera trasposta. E in questo caso testimonia probabilmente entrambe. Il risultato non può certo paragonarsi all’opera originale, né in senso stretto né in senso largo: la qualità delle variazioni scritte da Brahms per pianoforte è davvero eccedente e non commensurabile rispetto alla loro trasposizione. E’ vero che si conserva gran parte della struttura e dell'”idea” delle variazioni, ma la qualità complessiva di tale riduzione lascia davvero il tempo che trova. Anche se può sembrare paradossale, vale la pena ascoltare le variazioni nella trasposizione di Edmund Rubbra perché, come uno specchio deformante, consente di rivalutare o scoprire degli aspetti dell’opera originale delle variazioni di Brahms che, altrimenti, non sarebbero né chiare né evidenti. E, almeno in questo senso, non si può che essere grati a Rubbra del suo lavoro.
Segnalo che Arturo Toscanini ha diretto forse la prima della trasposizione delle variazioni. Ma ammetto che la qualità non eccezionale del video, il mio sempre diffidente amore verso il grande Toscanini e la sua interpretazione (decisamente rampante, che mette in luce quasi tutti i difetti della trasposizione), non me la fanno preferire all’interpretazione più sobria ma anche più consona (a mio modestissimo giudizio) di Ashkenazy. Ma vale la pena di ascoltarle entrambe proprio per avere un raffronto critico.
Le variazioni sul tema di Handel iniziano la loro storia nel 1700, vengono pensate, elaborate, scritte e suonate nella prima metà dell’800. Esse godono del favore del pensiero musicale sia pubblico che tecnico fino al novecento, momento in cui vengono addirittura trasposte per orchestra nel 1938, alle soglie della seconda guerra mondiale e nel pieno del rinnovamento culturale e musicale del XX secolo. Questa è la testimonianza che la musica si evolve ma si conserva, sa capire il mondo e se stessa, si interpreta e reinterpreta di continuo grazie ai grandi pianisti che ancora ritornano sulle tracce delle variazioni che legano Handel ai giorni nostri, così che la nostra storia è accompagnata da un meraviglioso quanto mai mobile spettro e sottofondo musicale.
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