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Alice nel paese delle meraviglie – Lewis Carroll

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Alice nel paese delle meraviglie è un classico della narrativa anglosassone ed europea edito nel 1865, scritto da Lewis Carroll, autore celebre noto sia al grande pubblico, sia ai filosofi per i suoi giochi linguistici con feconde implicazioni filosofiche. In particolare i logici hanno sempre trovato molte ragioni di soddisfazione nei libri di Carroll e, in particolare, in Alice. Va detto che tutti i più grandi logici erano amanti delle fiabe, da Turing a Gödel. Mentre su Russell non ho informazioni precise a riguardo. Lo stesso Lewis Carroll ha elaborato un celebre paradosso logico.

Detto questo, nonostante tutto, va detto che tutte le connessioni che passano normalmente sotto il cielo delle meraviglie, tra il romanzo e la logica, potrebbero non apparire al lettore ordinario. Né potrebbero apparire a qualunque genere di lettore. D’altra parte, si tratta di una fiaba. Lewis Carroll, infatti, amava il mondo dell’infanzia ed è certo che Alice fosse un racconto fiabesco ad uso e consumo dei più giovani. Ma è proprio così?


La trama del libro si riassume in una serie sconclusionata, ma non del tutto illogica, di vicende che vede protagonista Alice. Costei segue il bianco coniglio, dotato di basette e orologio, nella sua presunta tana. In realtà si rivelerà il passaggio per giungere al mondo delle meraviglie (Wonderland). Dopo essere riuscita ad oltrepassare una stanza chiusa con una porta troppo piccola per farla passare, dopo essersi allungata e ristretta diverse volte, Alice si ritrova a ballare una strana danza con degli animali parlanti, piuttosto buffi e scontrosi. Passando per il cappellaio matto e la lepre marzolina, facendo la conoscenza della duchessa e del gatto del Cheshire (in italiano nel film stregatto), Alice alla fine viene invischiata prima in una partita di croquet e poi in un processo dove la regina di cuori vuole tagliare la testa un po’ a tutti. La fine è nota: Alice si sveglia da un lungo sogno e racconta alla sorella maggiore il suo viaggio nelle meraviglie. Il libro si chiude con una chiosa della sorella di Alice su se stessa e sul valore dell’infanzia:

Lastly, she pictured to herself how this same little sister of hers would, in the after-time, be herself a grown woman; and how she would keep, through all her riper years, the simple and loving heart of her childhood; and how she would gather about her other little children, and make their eyes bright and eager with many a strange tale, perhaps even with the dream of Wonderland of long ago; and how she would feel with all their simple sorrows, and find a pleasure in all their simple joys, remembering her own child-life, and the happy summer days.[1]

Questa non soltanto è la chiosa finale del libro, la cui conoscenza è, tutto sommato, assolutamente ininfluente per il lettore che voglia cimentarsi nella lettura diretta dell’opera, ma si tratta dell’unica occasione in cui il linguaggio è quello ordinario, cioè che riflette i pensieri di un adulto nella forma e nella sostanza. Soltanto un adulto può ripensare alla propria infanzia, viverla attraverso l’immagine riflessa da parte di altri bambini. E in questa chiosa finale si ritrova anche la chiave di lettura per l’interpretazione che andremo a proporre.

Tutti si prodigano a dimostrare che il libro sia una fiaba, magari costruita su paradossi logici e semantici (per chi ce li vuole vedere). Il che sembra un fatto triviale, ma in realtà non lo è. Il libro, in realtà, è almeno in un certo senso realista, se con realista non ci si vuole limitare alla pedissequa corrispondenza tra fatti esterni alla mente umana e la mente umana. Ci può essere anche un’altra forma di realismo, che è quella che si sforza di ricostruire i modi di pensare della mente senza passare dallo sguardo di una mente verso un’altra. Cioè abbandonando la visione in terza persona. E allora si comprendere quale sia il realismo di Alice: è la ricostruzione del modo di vedere dei bambini attraverso la vista di un bambino (Alice), almeno nel momento onirico. Non è un mistero per nessuno che gli anni del strem of consciousness stessero per arrivare, da Virginia Woolf a James Joyce, sicché con Carroll, di fatto, avremmo forse un precursore ma non un unicum.

Anche se non ci fosse la chiosa finale, ci sono molti elementi che sembrano lasciare intendere che questa possa essere una linea interpretativa che finalmente prenda sul serio l’idea che Alice non sia che un modo di rivedere l’infanzia per l’adulto. Infatti il bambino non può vivere l’infanzia mediatamente: egli è già nell’infanzia e al massimo fatica a capire il mondo degli adulti. Sicché questo libro non può essere rivolto direttamente ai bambini, nel senso che essi non fanno altro che vivere il sogno di un altro, ma non ne traggono altro. Il bambino è digiuno di realtà, non di sogni.

E infatti i romanzi migliori per i bambini sono quelli in cui la realtà si mischia con la fantasia, non quelli in cui la realtà è sostituita con la fantasia. L’isola del tesoro è un libro molto più capace di ancorare un bambino di quanto non lo sia Alice proprio perché ad un bambino il mondo di Alice è già noto o comunque troppo affine: non ha nulla da scoprire. Mentre il mondo che appare vero (anche se non lo è) è il mondo della vera avventura, di quella che dopo diventerà la realtà che non ci piace (ma da bambini noi non lo sapevamo). Ma vista dagli occhi del bambino è la realtà che affascina, è la realtà che è ʽpiena di fantasiaʼ che funziona nonostante le sue fantasie ma egli non sa minimamente il perché.

Il problema didattico dell’adulto è che vuole dare al bambino ciò che il bambino ha già: la sua fantasia. Che è molto più potente di quella dell’adulto, per altro, che deve continuamente passare attraverso l’uso del suo intelletto e, quindi, è meno genuina di quella istintiva del fanciullo. Mentre il bambino vuole diventare adulto, senza averne la responsabilità. Vuole essere forte come il padre, buono come la madre, generoso come il fratello, intelligente come gli insegnanti… La sua fantasia viaggia su queste linee, si trasporta lontano su quello che egli non è ancora ma che potrebbe diventare. Il bambino non vuole infrangere le regole del mondo, egli le vuole scoprire. E’ l’adulto che vorrebbe infrangere le leggi di natura perché ha imparato la dura legge della realtà. Il bambino no. Il bambino non ancora.

In questo senso Alice si mostra come una ricostruzione a posteriori e razionale (intesa alla Quine) del mondo del bambino da parte dell’adulto che ri-scopre quello che è stato e irrimediabilmente non sarà mai più. Per questo la chiosa finale del libro si chiude proprio ricordando a tutti i lettori (adulti) di quanto bello era quel mondo misto di fantasia e realtà proprio dei migliori giorni dell’estate nell’infanzia.

Ma il mondo dell’infanzia è profondamente castrante. Questo è mostrato proprio pienamente da Alice. Almeno due elementi sono continui e reiterati costantemente. In primo luogo, Alice si ritrova sempre in mezzo a personaggi che sanno più di lei, sia come comportarsi che come funziona il mondo. Ovviamente come funziona il mondo non rispecchia la nostra realtà perché è un mondo in cui la realtà fluttua, cioè non rispetta delle regole rigide e universali e necessarie. Ma in realtà non c’è niente di così magico, non c’è niente di equiparabile alla magia di un fantasy nel mondo di Alice. Il bambino non nasce superstizioso perché non ha nemmeno idea di cosa potersi aspettare. Questo perché il bambino vive nella sua mente un mondo che si sta tarando verso il mondo reale, dove le leggi di natura sono eterne, non variano e valgono qui e sempre. Ma nel frattempo il corpo si allunga e si rimpicciolisce (d’altronde il corpo del bambino cresce ad una grande rapidità e il bambino lo avverte, ma avverte anche continuamente quanto sia più piccolo di quello dell’adulto… ancora una volta nulla di veramente magico).

Il mondo di Alice è, dunque, tanto poco magico quanto Alice è tanto meno vogliosa di essere trattata da bambina. Alice continuamente si mette alla prova, mostra la sua preparazione scolastica, la sua educazione. Ma sbaglia sempre. Quindi cosa se ne trae? Che Alice si sta addestrando e l’addestramento è fatto di premi e punizioni. Lei risulta sempre inappropriata, come il bambino che non riesce ancora a distinguere i contesti di uso delle parole e dei comportamenti, che dice cose che non capisce per vedere la reazione degli adulti e quindi impararla. C’è quindi un senso in cui il bambino vuole essere punito: egli vuole sapere davvero se sta facendo bene o no. Ed è sincero in questo. Alice è, infatti, bramosa di sapere e di mettersi alla prova. Ma il mondo è severo. E’, soprattutto, rigido. Quindi lei compie continuamente errori, non sa usare le parole nel modo giusto e appropriato. Fa molta tenerezza Alice quando parla con i personaggi del proprio gatto, personaggi che sono volatili… Lei stava soltanto mimando una conversazione ordinaria, in cui si dimostra di essere parte della borghesia con una buona educazione e un po’ di soldi. E invece in quel caso mette scompiglio perché alla sola parola ʽgattoʼ i personaggi finiscono per andare nel panico. Quindi Alice si sente triste, avrebbe voluto essere adeguata, sentirsi parte di una compagnia di adulti. E invece è quella bambina che è.

Un altro fatto a testimonianza di questa tesi è il fatto che Alice si dimentica continuamente delle nozioni che avrebbe dovuto apprendere a scuola. A parte i casi di quelle informazioni assurde delle maestrine che riescono a inculcare ai bambini lezioni di storia (ad esempio) che loro stesse ignorano e mandano giù come mantra, Alice riesce a dimenticare quasi tutto ma non tutto. Inizia bene e poi lentamente ricostruisce le storie in modo sempre diverso. Lei se ne rende conto, se ne accorge e ne è consapevole. Ma non sa cosa fare e invece di fermarsi costruisce sempre nuove storie, alternative plausibili di quella che si sarebbe dovuta ricordare. Anche in questo caso c’è la volontà del bambino di essere bravo e esperto come l’adulto ma fallisce miseramente alla prova dei fatti. Ed è lui per primo ben consapevole del fatto di aver sbagliato clamorosamente. Di aver fallito la prova. Ma il bambino è caparbio. Il bambino non è facile alla resa perché non sa quale può essere il prezzo della sconfitta. Di fatto per lui tutto è un gioco, un gioco estremamente serio, ma pur sempre un gioco. E il gioco è qualcosa che si può sempre ricominciare.

In fine, c’è un’altra caratteristica che rende il libro realista. Nei sogni è fatto ordinario che l’uso di una parola o la presenza di una certa immagine faccia cambiare radicalmente il cotesto in cui ci si trova. Ad esempio, quando uno sogna di star scrivendo al computer potrebbe aver poi sognato di dire ʽAnna, portami un piatto di pastaʼ e come si gira si trova in cucina con Anna che gli parla nel mentre che gli porta il piatto di pasta. Basta una parola che cambia il contesto, basta una persona conosciuta che cambia l’insieme dei fatti. Oppure basta cambiare volontà per cambiare tutto il resto dello scenario. Quindi i sogni sono fatti di snodi in cui il presente segue da un unico dettaglio del passato, mentre il resto è totalmente sostituito da altro. Nel nostro esempio, è rimasta l’idea del piatto di pasta ma niente del computer! Alice è costruito continuamente in questo modo, dove i passaggi da un capitolo all’altro sono tali per cui il passato è quasi del tutto scomparso e sostituito con un nuovo scenario, a parte il dettaglio conservato. Questa non è fantasia, in un certo senso ma è come funzionano i sogni.

In sostanza, dunque, il libro Alice’s Adventures in Wonderland è una ricostruzione razionale del modo di vedere il mondo del bambino: senza regole di natura universali e necessarie, animato dalla continua volontà di mettersi alla prova, di giocare seriamente, prendendo a cuore il fatto di imparare a stare al mondo, ma fallendo continuamente la sfida lanciata dalle circostanze. Il bambino principalmente gioca a fare l’adulto, che lo faccia simulando la vita del soldato (egli non è un soldato!) piuttosto che la vita della padrona di casa (lei non possiede nulla!, visto che è possesso diretto dei genitori). Il bambino vuole scoprire il mondo, vuole diventarne il padrone, vuole essere parte di quelli che non si spaventano, di quelli che non vengono sgridati perché sanno quello che fanno. Loro ci provano continuamente, loro si sforzano di essere adulti. Ma sono i primi a ʽrimpicciolirsiʼ. Sono i primi a provare a spostare pesi enormi e a scoprire che loro fanno fatica a sollevare la piccola sedia su cui sono soliti accomodarsi per mangiare a pranzo.

Il mondo del bambino è un mondo poco magico perché la magia la vedono nel mondo. Loro vogliono imparare, vogliono capire, vogliono sapere, vogliono crescere. E quindi Alice è un romanzo che non mostra quello che l’adulto pensa che voglia il bambino, ma cerca di riscoprire il mondo del bambino per quello che è. Che non differisce dal mondo dell’adulto se non perché egli lo ricostruisce con la sua fantasia: perché non ha nient’altro per capire le cose. Il bambino non sa molto e allora si arrangia come può e ci aggiunge continuamente qualcosa di suo. E infatti gli adulti non pienamente maturi spesso si trovano a che fare con futuri immaginari totalmente illusori perché stanno cercando di razionalizzare qualcosa che non comprendono. Esattamente come i bambini.

Sicché Lewis Carroll non fa l’errore della maggioranza, cioè di pensare al mondo dei bambini come se lo immagina l’adulto senza mettersi al posto del piccolo. L’adulto pensa al bambino come ad un adulto in miniatura, con molte informazioni in più, con molta conoscenza in più. Perché la maggioranza delle persone non ha l’intelligenza sufficiente per pensarsi con la testa di qualcun altro, mettersi al posto di qualcun altro non con le sue informazioni ma con quelle dell’altro. Quindi così molti adulti invece di soddisfare la genuina brama di sapere del bambino, dandogli la verità, gli consegna un mondo totalmente falso che il bambino in realtà non vuole. E Lewis Carroll, allora, dimostra molta più maturità di tutti quelli che inventano al bambino una fiaba al posto della realtà. E’ l’adulto che ha bisogno di fiabe per tirare avanti, al bambino basta e avanza la realtà che immagina ricca di avventure e forze che vorrebbe dominare. Per questo Alice è un libro adulto, per adulti pensato da un adulto che amava profondamente i bambini… per quello che sono.

Una piccola nota sullo stile: il libro è godibilissimo in lingua inglese, in cui si trovano giochi di parole non traducibili. Ma tutto considerato, a differenza di altri lavori, si tratta di un romanzo che si può apprezzare anche in buone traduzioni perché in questo caso è la sostanza del libro più che la forma a fare la differenza, almeno a nostro avviso.


Alice3Lewis Carroll

Alice’S Adventure in Wonderland

Giunti

Pagine: 112.

Euro: 5,00.


[1] Carroll L., (1865), Alice’s Adventure in Wonderland, Giunti, Milano, pp.111-112.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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