Per capire quanto il moto sia stato un argomento centrale in tutta la riflessione dell’uomo occidentale, basta guardare a quella grandiosa forma di conoscenza accumulata sul mondo: la fisica. Questa forma di conoscenza rivaleggia per precisione alle scienze, un tempo chiamate “esatte”, la matematica e la geometria. La fisica infatti, fondata sul metodo e sul rigore matematico, non solo ha avuto la pretesa, ma è anche riuscita ad affermarsi come conoscenza stabile e in progresso.
La fisica, nata in un contesto di revivol platonico e, in generale, della filosofia greca, rielabora a suo modo il problema del moto. Ed è proprio su questo problema che inizia il suo cammino. Il moto è presentato in due modi: prima di tutto come statica, solo successivamente come dinamica. E così ci sono due branche della fisica, la cinematica e la dinamica, che studiano il comportamento dei corpi in moto o in quiete.
Intanto, ed il punto nodale del discorso che ci interessa, il moto è definito in relazione ad un sistema di riferimento. A seconda del sistema di riferimento c’è una precisa definizione del moto. Oggi non utilizziamo più i concetti newtoniana di moto e quiete assoluti, di spazio e tempo assoluti, ma abbiamo imparato a relativizzare i concetti.
Se il moto è inscritto all’interno di uno spazio definito significa che, in realtà, non si sta facendo altro che definire il moto come una relazione di oggetti. Un oggetto si dice in moto solo se si riferisce ad un insieme di oggetti che si prende come parametro di riferimento. Senza un riferimento possibile, non esiste moto.
La classificazione del movimento è fatta a partire dal tipo di moto, la spiegazione dipende dalle cause del moto stesso: si può parlare di moto rettilineo uniformemente accelerato se siamo in presenza di un corpo in un cotesto privo di attriti, dunque, ideale; si può parlare di moto circolare; di moto oscillatorio e così via.
Il corpo in movimento è spiegato, ovvero è definito a partire da una serie finita di principi o regole, a partire da i tre truismi della dinamica: 1) un corpo sottratto a qualsiasi azione esterna, persiste indefinitamente nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. In assenza di attriti, o di forze esterne, non occorre alcuna forma per mantenere il corpo in un moto rettilineo uniforme. 2) definizione quantitativa delle forze che intervengono nella sollecitazione di un corpo. Ovvero un corpo modifica il proprio movimento se e solo se agisce una forza esterna al corpo capace di alterare l’altrimenti normale corso degli eventi. In questo senso, se il vettore della forza ha la stessa direzione e stesso verso del corpo allora questo accelererà, se il vettore della forza impressa al corpo è di stessa direzione ma verso opposto a quello del corpo, allora questo sarà costretto a decelerare o, se la forza è uguale a quella del corpo, a fermarsi. Se invece il vettore della forza ha una direzione diversa il corpo subirà una deviazione rispetto alla linea che sta seguendo. 3) Il terzo principio è detto di azione-reazione: il vettore accelerazione implica una forza che implica una uguale e contraria. Un esempio antologico è quello del rinculo del fucile.
A questo punto, possiamo, per noi, definire il moto secondo la fisica: esso si riferisce ad un corpo rispetto ad un sistema di riferimento. Il corpo si definisce a partire dalle sue coordinate cartesiane nel quale è descritto lo spazio-tempo del corpo e le sue variazioni rispetto a questo. Lo spazio-tempo è definito da una serie di misure attraverso cui noi siamo in grado di quantificare il movimento del corpo. Il corpo nel suo svolgimento segue dei principi e, a seconda di come questi si combinano, il corpo avrà un certo comportamento che ne darà anche una qualificazione rispetto ad altri tipi di movimento.
La scienza ha battuto Zenone oppure no? Cosa rimane dei paradossi di Zenone? La scienza ha semplicemente ignorato il problema di Zenone dando per scontato che esso non prova in alcun modo l’inesistenza del movimento. In un certo senso, ed è questo il punto, anche se Zenone avesse ragione, non importerebbe su un lato pratico.
In secondo luogo, dopo che la scienza ha quantificato la quantità di spazio e la quantità di tempo, rendendola così finita, dopo che si ha dato una descrizione quantitativa dell’essenza del corpo, è possibile prevedere il comportamento del corpo in modo tale che esso arrivi effettivamente ad una destinazione di qualsiasi tipo.
La scienza ha definito in modo rigoroso il corpo e lo spazio-tempo, riconducendo tutto ad una serie di grandezze definite e limitate. Cartesio, con la sua visione della mente-mondo-matematica, è riuscito a dare una chiave di lettura efficace per risolvere il problema. A questo punto, nella misura in cui lo spazio e il tempo, così come il corpo, sono tutte grandezze limitate e definite, il problema di Zenone semplicemente si dissolve: lo spazio-tempo non è assolutamente divisibile all’infinito e così pure il moto del corpo ed ecco che, sia su un piano teorico che su un lato pratico il problema di Zenone è dissolto.
Cosa rimane del problema di Zenone? Prima di tutto che è utile per capire e riflettere, visto che ben pochi al giorno d’oggi sarebbero in grado di dire che è assurdo, a partire da un ragionamento credibile. In secondo luogo, è utile su un piano puramente metafisico, nel vero senso del termine: la fisica, sul lato pratico, ha dimostrato che non è un problema.
Ma interrogarsi sulla realtà dello spazio-tempo è molto importante: prima di tutto perché la scienza si definisce dalla sua metafisica ( ad ogni periodo della scienza si può far benissimo corrispondere una concezione che vien prima della fisica: la definizione della causalità per esempio, o di altre questioni naturalmente preliminari a quello della fisica vera e propria ), in secondo luogo perché aiuta a capire il nostro mondo a partire da noi stessi: interrogarsi su una questione così delicata non può essere tempo perso.
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