Il castello di Otranto, di Horace Wolpole, viene considerato l’iniziatore della narrativa gotica. Pubblicato nel 1746, il romanzo si distingueva dagli altri precursori della narrativa gotica, in quanto caratterizzato da un’ariosità ed una leggerezza in grado di renderlo, rispetto ai romanzi che usciranno in seguito sotto l’etichetta di gotico, quasi una fiaba.
Il castello di Otranto si presenta come un revival delle antiche tradizioni letterarie, soprattutto dello stile romance, che si diffuse ampiamente nell’Alto Medioevo. Il romance ebbe grande successo e si impose sia in ambito aristocratico, sia in ambito popolare. Gli autori del genere portarono in Europa storie di ambientazione cavalleresca. Esse raccontavano di cavalieri erranti che, generalmente, partono per un viaggio, con la volontà di compiere gesta eroiche. Spesso riprendevano temi delle favole o delle leggende, raccontando, in una nuova veste, di eroi che fossero graditi ai gusti del pubblico e dei lettori dell’epoca.
In ambito popolare, il genere assunse alcune tinte ironiche o satiriche e vide la sua scomparsa nel 1600. Miguel de Cervantes ne riprese gli aspetti satirici nel suo Don Chisciotte.
Wolpole fece confluire questi aspetti ne Il castello di Otranto, mostrando come le conversazioni fra eroi, il sentimentalismo, le damigelle in fuga, fossero elementi non del tutto estinti, ma da riportare in vita, proprio quando si pensava che il romance fosse oramai scomparso e avesse lasciato il posto al romanzo moderno che, con uno stile molto più realistico, si basava su racconti di vita quotidiana[1].
Nella prefazione alla prima edizione, l’autore, celando la propria identità con lo pseudonimo di William Marshal, presenta il libro come un racconto tratto da un’opera scritta a Napoli. Tale opera, anche se viene riproposta con i nomi dei personaggi alterati, sembra appartenere ad un periodo che va dalla prima all’ultima crociata (1095-1243) [2]. La dichiarazione di Wolpole si rivela, però, una falsità, visto che nell’introduzione alla seconda edizione l’autore si scusa con i propri lettori per la sua trovata di aver nascosto la paternità dell’opera.
Tuttavia, il libro richiedeva, secondo l’autore, notevole cautela, visto che si presentava come intenzionato a riassumere sia gli elementi rappresentativi della vita quotidiana, sia quelli puramente immaginari[3].
Il castello di Otranto è ambientato ad Otranto, in Italia, e quindi nella regione Puglia, ma nelle fattezze riprende la propria architettura dal castello di Strawberry Hill, di proprietà dello stesso Wolpole, che oltre ad essere l’autore del libro, si rivelò essere un magnate molto interessato al Medioevo, tanto da farsi costruire un castello di sua proprietà.
La storia è tutta raccontata intorno o all’interno del castello di Otranto. Proprio sul castello vige una profezia, secondo la quale “il castello e la signoria d’Otranto sarebbero venuti a mancare all’attuale famiglia, quando l’autentico possessore fosse diventato troppo grande per abitarvi”. Manfredi, il signore del castello, ha due figli: Matilda e Corrado, che è il suo preferito.
Proprio il giorno delle nozze fra Corrado e Isabella, figlia del marchese di Vicenza, Corrado viene schiacciato da un elmo identico a quello della statua di Alfonso, un precedente principe della signoria d’Otranto[4].
La stessa sera Manfredi propone a Isabella di sposarlo. Egli infatti desidera avere un figlio maschio, che purtroppo, a causa della sterilità della moglie Ippolita, non può avere. Isabella si rifiuta, inorridita da tale proposta, e decide di scappare dal castello. Manfredi cerca di inseguirla, ma viene trattenuto dallo spettro di un suo antenato, il quale si stacca da un dipinto e lo distrae dall’inseguimento[5].
Isabella raggiunge, quindi, un passaggio segreto che congiunge il castello con la chiesa di San Nicola e, con l’aiuto di un contadino di nome Teodoro riesce a fuggire nel convento. Intanto, dei servitori avvisano Manfredi che nel salone principale hanno visto un piede e una gamba di un gigante[6].
Il mattino seguente, Padre Girolamo, cercando una riconciliazione fra i due e facendo invece scaturire l’ira di Manfredi che condanna a morte Teodoro, il quale era da sempre innamorato di Matilda, avverte lo stesso Manfredi che la fuggitiva si trova nella chiesa di San Nicola. Prima di morire, il contadino decide di confessarsi, ma durante la confessione Padre Girolamo riconosce che Teodoro è suo figlio. Per questa ragione, Girolamo se vuole salvare la vita del proprio figlio deve riportare Isabella al castello[7].
Il giorno seguente arriva Federico, marchese di Vicenza, che vuole ricondurre a casa la figlia Isabella e avere la signoria d’Otranto, ritenendo di essere il legittimo erede di Alfonso. Poco prima del suo arrivo, le piume sull’elmo dell’armatura di Alfonso iniziano a svolazzare per aria, come se avessero vita propria.
Manfredi accoglie Federico nel castello, mentre Isabella scappa dal convento, cosicché tutti si mettono alla sua ricerca[8].
Matilda, intanto, ne approfitta per liberare Teodoro, incarcerato per volontà di Manfredi, e per indicargli la via di fuga. Uscito dalla prigione, egli incontra Isabella nel bosco, e intenzionato a portarla al sicuro, nell’atto di proteggerla, colpisce per errore Federico.
Quest’ultimo viene portato al castello e lì racconta che ha trovato la spada compagna dell’elmo, la quale ha predetto che sua figlia si trovava in pericolo. Manfredi propone a Federico la mano di Matilda in cambio di quella di Isabella e costui, affascinato da Matilda, acconsente; tuttavia cambierà idea a causa dell’apparizione di uno scheletro che glielo impedisce. Nel salone, intanto, appare di nuovo la mano di un gigante.
Manfredi vede Teodoro con una donna e, credendo che sia Isabella, la accoltella, non riconoscendo che, invece, si tratta di Matilda. Dopo la morte di Matilda, un boato fa crollare il castello e la figura di Alfonso appare al centro delle rovine, portando la storia al suo epilogo. «Ecco Teodoro, il vero erede di Alfonso!» esclama la visione che ascende al cielo, dove le nuvole rivelano la figura di San Nicola.
Manfredi svela, allora, l’usurpazione di suo nonno e Girolamo racconta le vicende degli antenati di Teodoro. Infine, Manfredi abdica, Ippolita si ritira in convento e Teodoro sposa Isabella[9].
Come possiamo vedere la storia è un miscuglio di fantasia e realismo, tanto da risultare, a coloro che si dedicano alla sua lettura, un insieme di assurdità, ma allo stesso tempo rappresenta un’importante ripresa del romance: un signore tirannico e le sue macchinazioni, rivelazioni imbarazzanti sulla paternità, apparizioni soprannaturali, nonché una damigella in fuga.
Gli elementi soprannaturali erano già apparsi, prima dell’uscita del castello di Otranto, ma mai nessuno si era spinto ad utilizzarli in modo così spudorato come Wolpole. Non solo grazie al soprannaturale le classiche convenzioni realistiche erano state spazzate via, erano state cambiate perfino le descrizioni degli ambienti e dei personaggi, ridotti a semplici marionette in mano all’autore.
Le solite linee di demarcazione vengono completamente abbattute in tutta l’opera: non vi è una netta distinzione fra personaggi seri o buffoni, descritti in alcuni casi con stile rigoroso ed eccessivamente ricercato, mentre in altri si nasconde una vena ironica fra le righe; così come non è presente una distinzione nei caratteri e nei comportamenti fra servi e signori (si pensi all’odio di Manfredi verso Teodoro, presentato come un odio sfrenato e senza motivazioni da parte del signore di Otranto, quando Teodoro, invece, pur essendo un contadino, cerca sempre di comportarsi in modo giusto e leale) [10].
Il soprannaturale, invece, non si presenta, principalmente, per terrorizzare il lettore. L’elemento viene introdotto all’interno della storia per incuriosire e, allo stesso tempo, far divertire. Scene di spettri o di piume di elmi che volano per indicare nefasti presagi, in realtà, nelle varie descrizioni, non hanno granché di nefasto. Sono piuttosto spettri che possono strapparci un sorriso, come in una delle scene iniziali, nella quale Isabella cerca di fuggire al signore di Otranto Manfredi, annoiato dalla propria vita con la moglie Ippolita. La scena viene descritta prima con un turbinio di piume, poi con la comparsa di uno spettro da un quadro che cade nella sala. Lo spettro sembra, però, farsi beffa del signore, quando lo invita a seguirlo con un gesto per poi nascondersi in una stanza, chiudendone la porta e lasciando Manfredi, fra paura e curiosità, alla ricerca di un modo per aprirla[11].
Come si può vedere, l’autore non si concentra su elaborate pagine, colme di descrizioni e indagini psicologiche, piuttosto si esibisce in una continua ricerca della novità e dell’esotico. Il libro non è, in nessun modo, interessato ad una rappresentazione realistica del Medioevo, quanto a rievocare un’ambientazione del passato.
A dispetto delle sue incongruenze, la storia inventa quello che sarà il tema predominante della narrativa gotica: il ricadere delle colpe dei padri sui figli. Il tema assume un valore particolare all’interno dell’opera. Manfredi, infatti, sembra macchiarsi della colpa di aver ucciso il figlio, a causa della sua prepotenza e arroganza, la sua impazienza di fronte ai costumi usuali, ne mostrano la caricatura di quello che potrebbe essere un barone feudale.
Proprio questa abitudine a non adeguarsi a qualunque tipo di convenzione è un modello che Wolpole ricerca nel passato, un’ansia di ribellione antisociale, che molto probabilmente era vissuta diffusamente anche ai tempi dello stesso autore.
Manfredi è, appunto, il barone che va contro al proprio status sociale, nonché il grande cattivo della storia, privo di scrupoli. Ma il suo andare contro la società è un elemento inserito da Wolpole, in quanto i lettori della fine del Settecento si immaginavano questi aspetti psicologici nell’aristocrazia del passato; il ceto medio aveva enormemente bisogno di leggere storie, ambientate in epoche precedenti, dove fossero presenti sentimenti di tipo antiaristocratico. L’aristocrazia è ne Il castello di Otranto un’aristocrazia in via di atrofizzazione e Wolpole guarda al feudalesimo con un misto fra paura, curiosità e ammirazione.
Insomma, Wolpole inventa un genere nel quale i lettori possono imbattersi in ambientazioni a loro gradite, assieme al tema del soprannaturale, che viene mostrato come una forza pronta ad insorgere contro di noi, sia che si parli del passato come ad un’organizzazione, con tutti i suoi sentimenti contrastanti fra i vari ordini sociali, sia che si parli di passato storico, quello dei signori che si impongono con il loro servi[12].
Sebbene Il castello di Otranto abbia inventato un genere, si dovrà aspettare più di dieci anni prima che appaia un successore. Il vecchio Barone inglese (1777) di Clara Reeve, segue in parte l’esempio di Wolpole, mentre in altre se ne discosta. La Reeve utilizzò i trucchi soprannaturali e le ambientazioni storiche per scrivere un racconto a scopo didattico. Rispetto a Il castello di Otranto l’autrice voleva avvicinarsi ad una storia che, senza sacrificare il soprannaturale, fosse maggiormente verosimile e, allo stesso tempo, non si proponesse come puro divertimento[13]. Nella prefazione alla seconda edizione (1778), la Reeve dichiara che la sua opera è erede de Il castello di Otranto e che, come questi, cerca di riunire il vecchio romance con i romanzi moderni, presentandosi come una storia gotica.
Tuttavia, l’intenzione de Il vecchio Barone inglese è anche di discostarsi da tutte queste tematiche, grazie alla propria originalità[14]. La storia, anche se più vicina alla realtà, non vuole però far perdere al lettore la capacità di meravigliarsi, poiché solo elmi e spade incantate sanno creare stupore[15].
La trama è molto semplice. Un giovane di origine incerta viene accolto in una casa di nobili, dove si guadagna invidia e inimicizia dei figli della famiglia, i quali addossano all’ultimo arrivato varie colpe, ma il giovane riesce, con l’aiuto di amici altolocati, a scoprire il segreto della sua nascita.
Il libro, in realtà, sia nella trama, che ne gli elementi soprannaturali non brilla per originalità. Anche se nel genere gotico la Reeve sa proporre alcune novità. Innanzitutto, l’opera sembra raccontarci, più che di persone appartenenti all’aristocrazia, di un ceto medio borghese, quale era quello di fine Settecento e al quale era rivolto Il castello d’Otranto. Sembra, infatti, che la borghesia sia trasportata indietro nel tempo e rivestita secondo usi e costumi cavallereschi (ne è un esempio una scena nella quale dei cavalieri si siedono ad una tavola per mangiare uova e bacon) [16]. Questo ritornare indietro nel tempo e “trapiantare” un ceto sociale, appartenente ad un’altra epoca, fece storcere il naso ad alcuni critici, che ritennero insolito e poco corretto, da parte della Reeve, estirpare il genere letterario dalla sua ambientazione più consona, ovvero il ceto aristocratico.
Gli stessi spettri non assumono più un ruolo di spiriti in cerca di persone da perseguitare, introdotti per far impaurire i lettori. Essi sono piuttosto sensibili ai nostri stessi sentimenti e formulano gli stessi ragionamenti di uomini in carne e ossa[17]. La volontà della Reeve sta nel demistificare il solito approccio al soprannaturale, offrendo però ben poco di diverso rispetto alla letteratura di fine Settecento. Questo perché mentre Wolpole, con il suo fare ironico e spaccone, metteva all’interno della sua storia il soprannaturale per dare quel tocco di novità ai romanzi del suo periodo, la Reeve, abbandonando le orme del predecessore, porta gli spettri a un livello più umano, poco terrificante, ma, a questo modo, anche poco originale.
Alcuni anni dopo il tentativo della Reeve, Sophia Lee pubblica The recess (1783-1785), una storia nella quale l’autrice mischia lettere e frammenti di un manoscritto in modo molto complesso e originale. La storia è incentrata su le due figlie della regina Maria di Scozia e dei loro amori.
Sebbene si presenti come un romanzo epistolare e storico, in realtà l’opera sarà importante per i successivi romanzi gotici, in quanto introduce l’elemento del terrore che accomuna gran parte dei personaggi e in particolar modo le eroine, un terrore che si propaga anche nell’irrazionale. Il terrore in un romanzo storico rappresentava, all’epoca, qualcosa di veramente innovativo.
Non mi dilungherò su questo libro, visto che, anche se per primo ha introdotto una nuova veste per il sentimento di terrore, il romanzo è solitamente catalogato fra i romanzi storici[18].
Si conclude, quindi la prima parte della nostra rassegna di romanzi gotici. Nel prossimo paragrafo verranno affrontati quelli che sono considerati i classici intramontabili della letteratura gotica, ma per arrivare a tali romanzi dovremo lasciarci alle spalle i primi libri del genere e arrivare agli anni 90 del Settecento.
[1] Cfr. David Punter, Storia della letteratura del terrore, p. 47
[2] Cfr. Horace Wolpole, il castello di Otranto, in I grandi romanzi gotici, a cura di Riccardo Reim, Newton Compton, Roma, 1993, p. 23
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Il_castello_di_Otranto
[4] Riccardo Reim, a cura di, I grandi romanzi gotici, pp. 29-31
[5] Riccardo Reim, a cura di, I grandi romanzi gotici, pp. 33-34
[6] Riccardo Reim, a cura di, I grandi romanzi gotici, pp. 35-39
[7] Riccardo Reim, a cura di, I grandi romanzi gotici, pp. 46-52
[8] Riccardo Reim, a cura di, I grandi romanzi gotici, pp. 53-59
[9] Cfr. Riccardo Reim, a cura di, I grandi romanzi gotici, pp. 60-82
[10] Cfr. David Punter, Storia della letteratura del terrore, pp. 47-48
[11] Cfr. Riccardo Reim, a cura di, I grandi romanzi gotici, pp. 33-34
[12] David Punter, Storia della letteratura del terrore, p. 50
[13] David Punter, Storia della letteratura del terrore, p. 51
[14] http://en.wikipedia.org/wiki/The_Old_English_Baron
[15] Clara Reeve, The old english baron, Progect Gutenberg Literary Archive Foundation (ebook in pdf), 2004, pp. 1-2
[16] Clara Reeve, The old english baron, p. 7
[17] Cfr. David Punter, Storia della letteratura del terrore, p. 52
[18] Cfr. David Punter, Storia della letteratura del terrore, pp. 53-56
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