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Consigliamo Thomas Hobbes – Vita e Opere e Percorso di filosofia moderna di G. Pili
L’individuo è indirizzato ad una soddisfazione dei suoi desideri. Secondo Hobbes, l’egoismo individuale è universale e necessario e, di per sé, illimitato. Universale perché è comune a tutti gli uomini, necessario perché è determinato dalla nostra sola esistenza.
La libertà è la risultante delle forze resistenti alla possibilità di ciascuno. Essa è l’attività possibile, il potere dell’uomo di operare all’interno della realtà. Nella condizione di natura, l’uomo tende ad esercitare le proprie possibilità anche a scapito degli altri, qualora ciò sia necessario per la soddisfazione dell’istinto soggettivo. Dunque, lo scopo di ogni individuo è la ricerca del proprio bene, un bene che non ha nulla di astratto (morale cristiana) o determinato mediante una regola intersoggettiva (morale kantiana) né attraverso la conoscenza (morale platonico/socratica). Il bene è un oggetto capace di migliorare la condizione di un soggetto, dunque è qualcosa di concreto e, allo stesso tempo, di soggettivo che non si conquista a partire da una riflessione ma da un’azione pratica posta da un’intenzione non-razionale. Hobbes, prima di Locke e Hume, teorizza l’impossibilità della ragione nel determinare intenzioni, esse determinano la ragion-pratica, non viceversa.
Il diritto alla vita e alla proprietà si costruiscono sul concetto di libertà: sono una sua estensione. Il diritto è una particolare libertà d’agire e di determinarsi in base ad una qualche inclinazione soggettiva senza opposizione di resistenza da parte della società. Non siamo di fronte al libero arbitrio giacché l’individuo non è in grado di determinarsi senza influenze di sorta. Non c’è libera scelta nel senso di determinazione di due possibilità equivalenti indipendentemente dalle cause, influenze, credenze passate. Il soggetto è concretamente determinato a pensare e scegliere.
La legge è una prescrizione a fare o non fare qualcosa la cui infrazione determina delle conseguenze reali a partire dalle forze sociali. Le “conseguenze” sono dei fatti determinati casualmente in relazione all’azione dell’individuo: l’infrazione alla legge che vieta di uccidere implica la reclusione. L’azione del “recludere” è conseguenza diretta dell’infrazione alla legge. Gli individui godono di diritti già nello stato di natura, sebbene nella condizione naturale, essi sono estesi indefinitamente né vengono tutelati sugli interessi del più forte. Per Hobbes, lo stato di natura non equivale all’assenza di diritto, perché il diritto si fonda sulla proprietà e, dunque, essa, interpretata come azione-soggettiva non cessa colla società. Però, nello stato di natura la libertà dell’individuo non ha forze opposte se non quelle di ciascuno. Vale a dire che vige il diritto del più forte. Ma la condizione animale, descritta da Darwin e riassunta nella famosa “selezione naturale”, balza agli occhi che sia del tutto “iniqua” nel senso che non v’è “parità di diritto”. Russell rispose così alla domanda di uno sciocco: “Non vedo nulla di armonioso o bello nella natura, ma solo una grande lotta per la sopravvivenza.” E Woody Allen in “Amore e guerra” osservò che “la natura è un grande supermercato” intendendo dire che in essa il più forte ha, per così dire, il diritto di sopraffare il più debole. Tutto ciò non deve avvenire e, di fatto, non avviene in società non nel senso che nel suo seno non si staglia la grande lotta per la sopravvivenza, ma perché almeno i diritti fondamentali sono tutelati mediante azioni contrastanti rispetto alla volontà di ciascuno di affermare se stesso, cioè la propria libertà/diritto, su tutti gli altri.
Un diritto naturale è un precetto della ragione che prescrive cosa un uomo possa o non possa fare per sopravvivere. L’uomo, essere della natura, ha diritto alla vita e alla propria difesa: il diritto alla vita è fondato sul fatto che noi viviamo, mentre il diritto alla difesa si basa sul diritto alla vita, giacché è nella natura di ogni oggetto quello di avere imporre delle forze resistenti alla loro distruzione. Come si vede, il diritto alla vita e il diritto alla difesa non reclamano uno statuto ulteriore rispetto alla pura realtà fisica e, in ciò, si rintraccia il “razionalismo” hobbesiano: egli, infatti, non rinuncia ad un fondamento non-sociale né soggettivo al diritto.
Se un diritto è una possibilità, se la legge è una prescrizione allora la legge di natura è quel precetto della ragione che definisce un modo per la salvaguardia dell’incolumità individuale. Dunque, tra le leggi di natura, vi è il principio di cessione di alcuni diritti individuali al fine della pace, a patto che la “cessione del diritto” sia volontario e finalizzato alla conservazione della vita.
Il patto è una cessione reciproca di diritti, cioè definisce i termini di un accordo tra gli individui i quali si autovincolano.
I contraenti del patto in Hobbes sono i singoli soggetti del diritto che, in reciproco accordo, decidono di rinunciare ad una loro libertà al fine di raggiungere un qualche bene. Infatti, lo scopo di ogni azione umana è la ricerca di un bene personale ed essi contraggono patti al fine di raggiungere un obbiettivo altrimenti impossibile.
I contraenti del patto, secondo Hobbes, sono solo i soggetti del diritto. Il governo sovrano non si fonda su un patto con i suoi sudditi. L’istituzione si genera dalla costituzione di un ordine imposto con la forza: gli individui nello stato di natura non sarebbero disposti ad un governo giacché è incoercibile la condizione di egoismo individuale in cui essi stanno. Il principio arbitrario di ognuno nello stato di natura rende impossibile superare la barriera dell’immediato, del vantaggio presente e, per ciò, non è possibile osservare alcun guadagno sul lungo periodo. Per questo si rende necessario l’uso della forza.
Lo stato nasce dalla concentrazione e cessione del potere sociale ad una sola persona giuridica, incarnata da uno o più individui. L’istituzione diventa persona unica, posta a difesa dei suoi membri.
Lo stato è una moltitudine di persone indirizzati verso un unico fine, vincolati sotto un’unica figura giuridica. Esso ha in sé ogni potere individuale.
Il governo di uno stato non contrae alcun patto con i sudditi giacché questi hanno ceduto al principio ogni diritto allo stato. I vincoli degli individui sulla istituzione statale sono di cieca obbedienza in quanto il fine dello stato è il benessere e la pace collettivo. In questo senso, l’istituzione statale nasce dalla necessità di difesa del diritto alla vita di ciascuno. Ad essa è consentita qualsiasi azione al fine della salvaguardia del diritto alla vita, sia anche negare quelle libertà non meno fondamentali per altri aspetti, come la libertà di stampa, di parola etc..
Lo stato di Hobbes è autoritario e assoluto, sebbene egli non escluda la possibilità di una democrazia rispetto alla monarchia. Infatti, ciò che è importante per distinguere una società da un’altra non è il modo attraverso cui la società perviene alla definizione del soggetto giuridico a cui è delegato il singolo potere individuale, piuttosto è importante il modo di applicazione del potere sociale. Una democrazia può essere autoritaria e assoluta se il suo potere si estende sino alle libertà fondamentali. Se un capo di stato eletto democraticamente ha il potere di fare le leggi a suo piacimento e di amministrare le contese nate dall’infrazione del diritto o dalla difficoltà di interpretare la legge, non sarà meno potente di un monarca assoluto.
In questa teoria dell’autoritarismo si possono riscontrare sia i segni della grandezza di Hobbes che dei suoi limiti: da un lato, la teoria del diritto naturale apre nuove possibilità, pienamente colte da Locke, verso una maggiore equità nel diritto e una sua liberazione da ogni forma di “dipendenza religiosa”; da un altro lato Hobbes non riesce ad elevarsi sopra il suo proprio tempo (quello delle monarchie assolute) per riuscire a dare anche dei limiti più estesi al potere sovrano. Il diritto alla vita non può essere l’unico limite sul potere sociale dello Stato.
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