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1984 – George Orwell


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1984 è un romanzo di fantascienza distopica dell’autore inglese George Orwell, edito nel 1948. Si tratta di uno dei romanzi più celebri della seconda metà del XX secolo, tra quelli che ha senz’altro segnato l’immaginario percettivo collettivo, per quanto oggi sembra portare un messaggio inattuale. Ma ciò solo apparentemente e vedremo il motivo. Erroneamente accostato a Fahrenheit 451 e La svastica sul sole1984  rimane a sé nel panorama della storia della fantascienza.

1984 è ambientato nell’Inghilterra urbana post-guerra atomica, a Londra. Il protagonista Winston Smith vive in Oceania, superpotenza che non va scambiata con la nostra “Oceania”: la superpotenza mondiale è costituita dall’unione di una parte dell’Europa con l’America e parte dell’Africa. Ma esistono anche altri due stati: l’Eurasia (tutto l’ex blocco Sovietico e altre parti asiatiche) e l’Estasia (Cina, Indocina e Giappone). Le tre superpotenze sono in continua guerra tra loro e i civili sanno solamente di essere continuamente in guerra con una delle due e alleati della terza. Data la struttura sociale della società (gestita dal ministero della verità, cioè il ministero della propaganda), i cittadini di una delle superpotenze sono sempre capaci di indicare il loro nemico e alleato, anche se, in realtà, hanno cambiato nemico e cambiato alleato.

Winston è un cittadino dell’Oceania del partito ma non del primo ordine di gerarchia, che spettava ai veri e propri dirigenti. Egli era parte della cerchia dei servizi. La gerarchia in Oceania (ma anche nelle altre superpotenze) era suddivisa in tre parti, in cui la prima e di vertice era quella che controllava le altre due ed era anche quella con il minor numero di personale. Essa era il primo ordine del partito, da cui seguiva il secondo ordine. In fine, vi erano i prolet, cioè la massa generale di diseredati, segregati in enormi case popolari, quartieri ghetto.

I prolet avevano come unico scopo apparente quello di riprodursi identici a se stessi per millenni, offrendo carne da cannone e ricostruzione. Non avevano apparenti ideali o principi saldi, se non quelli di un animale che ha concesso all’evoluzione ben poco in più, se non l’uso della parola nei bar ad essi dedicati e circoscritti.

Il secondo ordine della gerarchia del partito prevedeva la presenza di addetti agli infiniti compiti burocratici e organizzativi di una simile superpotenza. Vi erano diversi ministeri, quattro:

Essi facevano parere così microscopiche tutte le altre case, che dal tetto degli Appartamenti della Vittoria avreste potuto abbracciarli tutt’e quattro con la stessa occhiata. Erano le sedi dei quattro Ministeri nei quali era divisa tutta l’organizzazione governativa. Il Ministero della Verità che si occupava della stampa, dei divertimenti, delle scuole e delle arti. Il Ministero della Pace, che si occupava della guerra. Il ministero dell’Amore che manteneva l’ordine e faceva rispettare la legge. E il Ministero dell’Abbondanza che era responsabile dei problemi economici. Ecco i loro nomi in neolingua: Miniver, Minipax, Minamor, Minabbon.[1]

La neolingua era il linguaggio semiartificiale adoperato dal partito per redigere gli atti ufficiali e alcuni artefatti culturali da divulgare al pubblico. Si trattava, come detto, di una lingua semiartificiale perché non adoperava un linguaggio simbolico formale (forse se Orwell fosse stato un logico matematico o un filosofo della logica, sarebbe arrivato a comporne uno), ma allo stesso tempo non era del tutto naturale perché utilizzava dei neologismi costruiti destrutturando la lingua naturale. Per quanto nessuno di fatto potesse adoperare la neolingua per comunicare quotidianamente, il partito si avvaleva dello strumento linguistico per i suoi propri testi, quelli che poi andavano a far parte degli atti.

Winston era un addetto del ministero della Verità, un discreto conoscitore della neolingua, qualità che era sempre ben apprezzabile, perché in base alla sua padronanza si poteva essere giudicati dai quadri dirigenti. In realtà, vi erano solo tre regole generali scritte e fondative del pensiero dominante in Oceania: “La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è forza”. Il pensiero dominante era chiamato in neolingua bispensiero perché consisteva nel riuscire ad accettare di volta in volta un’opinione quale che fosse, purché fosse imposta dal partito:

Sapere e non sapere. Essere cosciente della suprema verità nel mentre che si dicono ben architettate menzogne, condividere contemporaneamente due opinioni che si annullano a vicenda, sapere che esse sono contraddittorie e credere in entrambe. Usare la logica contro la logica, ripudiare la morale nel mentre che la si adotta, credere che la democrazia è impossibile e che il Partito è il custode della democrazia. Dimenticare tutto quel che era necessario dimenticare, e quindi richiamarlo alla memoria nel momento in cui sarebbe stato necessario, e quindi, con prontezza, dimenticarlo da capo: e soprattutto applicare lo stesso processo al processo stesso. Questa era l’ultima raffinatezza: assumere coscientemente l’incoscienza, e quindi, da capo, divenire inconscio dell’azione ipnotica or ora compiuta. Anche per capire il significato della parola “bispensiero” bisognava mettere, appunto, in opera il medesimo.[2]

Se il partito aveva cambiato alleanza, allora bisognava considerare immediatamente il vecchio alleato come il nuovo nemico e il vecchio nemico come alleato. La capacità di oscillare continuamente da una credenza all’altra, da un’opinione all’altra era un prerequisito indispensabile per far parte del partito. Infatti, i prolet, incapaci ed ignoranti e abbandonati a se stessi così da poterli controllare con ancora maggiore efficienza, non erano sostanzialmente in grado di mantenere memoria delle cose, sicché bastava variare le informazioni alla televisione (teleschermo) per far mutare di parere o di cognizione la folla. Essi riuscivano a farsi bastare la Lotteria come fonte di interesse permanente e permanente distrazione:

Parlavano evidentemente, della Lotteria. Winston, come fu andato avanti d’una trentina di passi, diede una guadata indietro. Stavano ancora litigando, con certe facce accese e appassionate. La Lotteria, con i suoi vistosi premi settimanali, era l’unico avvenimento pubblico a cui i prolet s’interessassero. Era più che probabile che la Lotteria fosse la ragione principale, se non la sola, per cui milioni di prolet avevano ancora un qualche attaccamento alla vita. Era la loro maggior fonte di piacere, il loro margine di follia, teneva il posto di stupefacente. Di stimolante intellettuale.[3]

La trama di 1984 si impernia su Winston Smith, il quale da principio si scopre profondamente insoddisfatto della sua vita, sostanzialmente squallida ed infruttuosa: con un matrimonio fallito alle spalle, con un lavoro annichilente sul piano intellettuale, con un’esperienza di sesso castrante e con una vita sociale imposta e programmata in base alle esigenze del partito, egli scopre di avere necessità di scoprire la realtà del passato. Non quella imposta dal partito, ma quella vera, reale. Sebbene il partito avesse una intera compagine del ministero della Verità che riscrivesse continuamente il passato, sebbene i singoli individui non potessero comunicare liberamente, Winston aveva avuto due prove dell’esistenza reale del passato (la nozione di “realtà del passato” è centrale perché ad essa si contrappone la nozione “soggettiva del passato”): era stato testimone diretto della vista di tre antagonisti del partito prima reintegrati e poi eliminati; e aveva posseduto un pezzo di carta ormai perduto, su cui poteva basare la sua memoria.

Sebbene in Oceania non esistesse alcuna legge scritta, perché non ce n’era bisogno, di fatto era un mondo totalmente dominato dalla coercizione e dal controllo sistematico tanto nella veglia che nel sonno. A parte i prolet, che comunque non abbisognavano di una simile sorveglianza, i membri della gerarchia del partito erano tutti continuamente monitorati dal teleschermo, anch’esso spegnibile ma non senza di fatto violare una di quelle leggi non scritte che facevano la differenza tra la vita e la morte. L’assenza di leggi scritte non rendeva le regole meno vincolanti. Anzi, proprio per il fatto di non potersi appellare ad una legge esplicita, rimaneva sempre vago il campo di applicazione e, così, bisognava tanto più monitorare le proprie azioni. In questo senso, la dilatazione delle leggi non scritte aveva determinato l’obsolescenza delle leggi scritte. Le leggi sociali erano diventate norme legali, ma con lo stesso grado di forza coercitiva ma con in più l’aleatorietà della loro applicazione.

Dopo che Winston cerca di scoprire (del tutto inutilmente) qualche traccia del passato da qualche prolet anziano, dopo aver iniziato la stesura di un diario personale (altamente pericoloso a tal punto da costituire uno psicoreato), egli conosce una donna: Julia. La storia d’amore tra Winston e Julia costituisce la seconda parte del romanzo (costruito in tre parti). L’amore libero in Oceania era stato bandito. C’erano leghe antisesso e l’unione libera era possibile (come tutto) ma di fatto oggetto di restrizioni severissime. Si potevano anche avere rapporti sessuali, ma solo all’interno del matrimonio e con il solo scopo di procreare (per donare i propri figli al partito). Anche se di fatto la prostituzione e la pornografia erano tollerate, rimaneva che per infrangere la legge (non scritta) bisognasse accollarsi rischi per poi riuscire in risultati oltretutto annichilenti. La vita matrimoniale di Winston era stata un inferno: sua moglie era incapace di amare liberamente e si concedeva solamente ad un giorno prestabilito della settimana e senza alcuna partecipazione attiva. Per Winston era stato terribile ed avevano poi divorziato. Con Julia era tutt’un’altra cosa.

L’amore abbatte ogni barriera di censo, ceto e classe. Per questo era tanto più pericoloso. Inoltre era intrinsecamente un fatto privato, quindi individuale. Ed era, per di più, capace di essere uno scopo intrinseco della vita degli uomini così da oscurare l’importanza del partito stesso. Per questo era un affare delicato e su cui gravavano molte attenzioni da parte del ministero dell’Amore (un gioco di parole qui particolarmente fortunato). La storia di Winston e Julia carnale e spirituale allo stesso tempo. L’elemento sessuale puramente sensibile ha una valenza liberatoria per Winston, che abbisogna, come tutti, di ritrovarsi unito non solo nell’anima ma anche ad un altro corpo che è così tramite anch’esso di un significato umano. Non era riproduzione, ma era amore nella sua forma più primordiale e più naturale.

Winston aveva avuto a suo tempo l’intuizione che O’Brien, un suo collega di maggiore importanza, fosse anche lui dominato dal suo stesso odio e rifiuto della struttura sociale dell’Oceania. Per questo, quando O’Brien chiese a lui e a Julia di entrare a far parte dell’organizzazione clandestina della fratellanza, Winston giurò di farne parte a qualsiasi costo. La permanenza di Winston nella fratellanza fu comunque di breve durata, ma sufficiente a fargli conoscere qualche brandello della vera storia delle tre superpotenze. Egli, infatti, venne dotato di un libro in cui era spiegata interamente non soltanto la storia ma anche lo scopo delle società totalitarie del pianeta e del perché esse avrebbero potuto replicarsi indefinitamente nel tempo identiche a se stesse.

La terza parte del romanzo racconta della rieducazione di Winston. Scoperto dalla psicopolizia viene brutalizzato, privato del cibo, picchiato. Egli, in una parola, fu umiliato fisicamente. Dalla distruzione sistematica del corpo la rieducazione passa attraverso una analisi delle sue incapacità e deficienze da un punto di vista psicologico, così da costruire su di lui una nuova idea e un ritrovato senso di appartenenza al partito. Lo scopo della rieducazione non era semplicemente quello di umiliare l’individuo, ma di riuscire a fargli amare il partito. In altre parole, non si trattava solo di far seguire le leggi non scritte al reietto per via impositiva e coercitiva, ma al contrario di fargliele seguire per l’accettazione del loro senso.

La brutalizzazione di Winston passa da una serie interminabile di torture sempre più sofisticate, tenute proprio da quell’O’Brien, che altri non era se non il massimo custode delle verità del partito. Ma O’Brien era anche un maestro del bispensiero e della didattica di esso. Così, lentamente conduce Winston alla scoperta di ciò che egli non avrebbe potuto negoziare senza distruggere se stesso. Ma una volta distrutto se stesso non sarebbe rimasto altro che l’accettazione piena e totale della dottrina del partito. Lentamente ma inesorabilmente Winston finisce per accettare tutte le regole del bispensiero, ma non riesce ancora ad abbandonare il suo rispetto per l’amore per Julia. Ma di fronte all’ultima e più terribile tortura anche Winston deve crollare e finirà anch’egli per amare il Grande Fratello, ovvero quel partito immortale che si staglia di fronte ad ogni senso e ogni umanità.

Il Grande Fratello è l’immagine del leader dell’Oceania, che guarda sempre e ovunque. Ed è l’immagine del controllo che la società esercita su se stessa. Implacabilmente, inesorabilmente tutti sono sorvegliati. E chi non lo è, non lo è perché non ce n’è neppure bisogno. La società di 1984 è segnata dall’abbruttimento umano generale in nome dell’ordine costituito, rappresentato dal partito. Per questo, il libro è stato tanto amato dalle generazioni che potevano vedere un immediato affiancamento della società del Grande Fratello ai grandi totalitarismi del XX secolo. Eppure è impossibile non fare un’osservazione. Ed è per questo che oggi il libro, forse, passa relativamente inosservato. Al massimo si è giunti ad un atto di bispensiero sovrano dando il nome di Grande Fratello proprio ad un evento mediatico di dubbia qualità. Ma oggi sembra che 1984 sia una reliquia del passato. Ma non è così.

Un giorno Wittgenstein guardò il sole e pensò che la terra gli gira intorno, ma sarebbe apparso allo stesso modo se fosse stato vero il contrario. Quello che c’è di più attuale di 1984 non è il fatto che esso funziona perché sussiste un solo partito che imposta le direttive non scritte, ma che esso funziona perché ogni società verticale funziona esattamente come il Grande Fratello. In altre parole, se la catena del potere è impostata, quale che sia il suo scopo, essa funziona come il Grande Fratello. C’è sempre un sistema di sorveglianza capillare, coercitivo e violento che non si fonda (esclusivamente) su leggi scritte, ma su quella congerie di leggi non scritte che in tutte le organizzazioni sono quelle che contano veramente. Quale che sia l’organizzazione di cui fate parte, sia essa pubblica o privata, anch’essa funziona come sistema di continua sorveglianza, tanto più se questa organizzazione ha scopi che non sono direttamente impegnati nella produzione di utili manifesti.

E allora la democrazia può generare una struttura identica al Grande Fratello se soltanto si imposta come una organizzazione gerarchica in cui la catena di comando prevede alcuni che definiscono le regole e che valutano il comportamento dei sottoposti e sono in grado di punirli e giudicarli addirittura sulla sola base delle intenzioni. Ma non vale il viceversa: la gerarchia non è suscettibile di valutazione anche dal basso. Perché questo è il punto.

Quello che insegna Orwell è che la burocrazia non è altro che uno strumento per inventare storie credibili che reggano sulla carta alla lettura di altri burocrati. Allora la coerenza diventa un concetto sfumato e impalpabile perché ciò che deve tenere è quel che c’è scritto sul pezzo di carta, indipendentemente dalla realtà. Così, allora, si capisce perché in molte manifestazioni ufficiali si legga un titolo e poi si ascolti tutt’altro: perché ci si deve far tornare i conti sul piano burocratico. Quando darò da leggere il mio curriculum a terzi, guarda caso mi serve che questo terzo finisca per credere che ho fatto altro (ma qualcosa devo averla pur fatta, altrimenti come scrivere del niente?). Il parossismo arriva nell’infinita interpretabilità dei curricula: se dovrai essere selezionato o eliminato lo sarà sulla base dello stesso curriculum. Così, in 1984 non c’è una ragione precisa per cui uno viene punito, se non il fatto che non si ama il partito, cioè l’ordine costituito.

Ed è in questo punto che emerge maggiormente l’attualità del percorso di Orwell, che oggi sembra passare attuale solo per la superficie di una società che controlla continuamente se stessa (d’altra parte, oggi i mezzi di controllo a disposizione sono tali da fare inquietare ogni persona che ha anche solo una vaga idea di cosa si può fare con un motore di ricerca per scoprire cosa è una persona e cosa pensa, visto che ormai le persone non si accontentano più di informazioni aspecifiche ma le vogliono emotivamente cariche per trarne maggiore soddisfazione: e le immettono loro stesse senza alcuna costruzione). Si tratta di un modello di società che è assolutamente indipendente dalla forma di governo. Non cambia la sostanza del controllo da una dittatura a una democrazia.

E, d’altra parte, una volta che si crea la figura del politico di professione, dato che essi sono sempre gli stessi elezione dopo elezione, che differenza c’è tra un’aristocrazia o una dittatura monopartitica? Quando il potere smette di comunicare con la base significa che esso può essere autonomo dai suoi vincoli e dal suo popolo. Il risultato è il potere si eserciterà in una sola direzione oppure si costituiranno guerra fratricide all’interno delle frange politiche. Se questa seconda opzione è negata in 1984, rimane solo che la gerarchia è unilaterale, vincolante, coercitiva. E arbitraria. Quale che sia la forma di governo che un simile stato decida di adottare.

La verità è che la vita politica è intessuta dalle leggi di Orwell: l’ignoranza è forza (anche per chi comanda), la guerra è pace (come fare senza un nemico che evita la guerra civile?), la libertà è schiavitù (perché non si può vivere senza legge, ma una legge fondata su quella ignoranza che è forza). Ignoranza, schiavitù e guerra sono le tre condizioni imperturbabili della realtà umana, che sopravvivono ad ogni generazione, ad ogni millennio e si rigenerano in forme sempre più capillari e sofisticate. Ignoranza, schiavitù e guerra sono tre parole per un unica categoria: arbitrio. L’arbitrio dell’uno su molti, questa è l’essenza della brutalità. Ma non è un arbitrio scevro da odio, perché l’odio ne è l’aspetto più fondativo.

La realtà è che un simile ordine costituito nasce dal fatto che la media delle persone (tutte e non solo di chi gestisce il potere) è incapace di comprendere anche le più semplici regole dell’umano buon senso: rispetto dell’altro, accettazione della vita e dei problemi della vita. Di fronte alla brutalità, l’umano reagisce generalmente con l’incapacità di capire, con la rabbia di chi non può emulare colui che lo sta brutalizzando.

E allora appena possibile, con lo strumento idoneo, ecco che scopriamo che il brutalizzato diventa esso stesso brutalizzatore: la tortura vicendevole è lo scopo stesso della vita di tutti coloro che vedono nel vicino un pericoloso nemico, capace di quelle nefandezze che noi per primi vorremmo fare. E allora giù a costruire scuse, ad inventare storie. In una parola, burocrazia. Burocrazia che è il vero volto del male del potere bugiardo, ambiguo, ambivalente, oscuro, violento, implacabile e che non paga mai di tasca propria perché non ha un solo volto e una possibilità di essere tracciato. Come senz’altro aveva già compreso Kafka, la burocrazia non solo violenta e fa violenza ma stabilisce ciò che è vero e ciò che è falso. Perché è la burocrazia che non guarda in faccia a nessuno e che sancisce storie per gli altri. La burocrazia è la violenza contro l’Io. Impossibile non pensare a Foucault, quasi che Orwell avesse precognizzato la filosofia del pensatore francese (Sorvegliare e punire è degli anni ’70 del secolo XX).

Se in Orwell troviamo tutto questo, rimane il fatto che lo scrittore inglese sembra ancora molto legato alla sua epoca (la prima metà del XX secolo) e ai suoi propri ideali. Casualmente, infatti, Winston scrive che la salvezza può arrivare solo dai prolet: “Ma se c’era speranza, la speranza doveva trovarsi tra i prolet. Bisognava metterselo bene in testa. Se quest’idea si rivestiva di parole, sembrava davvero un’idea sensata: ma era soltanto allora, quando cioè accadeva di vedere quegli esseri umani che vi camminavano accanto, sul selciato, che essa diventava un atto di fede”.[4]

In altre parole, Orwell non si è reso conto che la struttura del potere è la causa della storia di violenza e coercizione contro ogni singolo (perché questa acuta caratteristica è in 1984 rimarcata con chiarezza: nessuno può evadere dal Grande Fratello, neppure il Grande Fratello… se esistesse). Egli è colui che ha visto i suoi ideali traditi da una frangia di coloro che la pensavano come lui. Così si doveva, forse, esser reso conto di cosa poteva succedere se la giusta forma di governo fosse diventata fine a se stessa (cioè non prendersi cura dei bisogni delle persone, ma della elite di potere).

Winston sembra farsi carico delle aspettative e del punto di vista dell’autore, a tal punto che Winston stesso sembra non avere un passato sufficientemente chiaro. Esso è dominato da pochi ricordi, da qualche momento di illuminazione. Ma la realtà è che Winston non è un buon personaggio perché ha poche caratteristiche (specie psicologiche) e può in lui vedersi ciò che si vuole. Egli non è un eroe e questo è anche giustificabile sulla base dell’idea che in Oceania non è possibile avere un Io particolarmente strutturato. Ma al di là di questo cosa leggere a livello simbolico del personaggio di Winston? Ben poco. Come ben poco si può leggere di Julia. Un po’ più di spessore l’ha O’Brien, ma anche di lui si può dire ben poco. Non c’è poi niente, forse, da interpretarsi a livello metastorico, metanarrativo, nel sovrasenso.

Di fatto, Orwell diventa uno scrittore straordinario quando si dimentica della sua personale prospettiva privata (ad esempio ne La fattoria degli animali), cosa che non gli è spontanea. Il che non significa sostenere che 1984 non sia un capolavoro. Lo è, ma per ragioni estrinseche: lo è perché la consistenza e la semplicità del meccanismo narrativo è tale che ognuno può rivedere se stesso nel romanzo nella brutale burocrazia, violenza e spietatezza. Anche un cittadino della monarchia romana avrebbe potuto capire 1984, se solo avesse potuto leggerlo. Ma, a differenza di quanto forse potremmo dire che fosse l’idea di Orwell, la grandezza del romanzo è oltre lo stesso romanzo: e cioè in ciò che lo stesso autore non sembra considerare. E cioè la natura violenta, cieca e coercitiva del potere che non consente di fondare alcuna filosofia della storia che veda nella Storia un senso alcuno.

Ma per Orwell la storia doveva avere pur un senso. Egli aveva lottato nel nome della sinistra (di una certa parte della sinistra) e nel suo 1984 questo si sente. Eppure, è proprio la complessiva riflessione sulla realtà senza colore che il romanzo riesce vincente. E’ nella sua scienza della coercizione che esso riesce addirittura illuminante. E cioè che non c’è potere senza violenza, non c’è potere senza burocrazia, non c’è potere senza odio. O, almeno, questo è il grande risultato della storia, che piaccia o no. Abbiamo bisogno di burocrazia, perché senza giustificazione alla violenza ci si ribella. Abbiamo bisogno della violenza, perché altrimenti quegli esseri umani (così utili) non agiscono come noi vorremmo. Abbiamo bisogno di odio, perché altrimenti come riuscire ad essere così violenti e così capaci di trovare scuse sistematiche per la nostra violenza? Anche qui, si potrebbe dire che Orwell è anticipatore di quello sguardo freddo ed implacabile del Kubrick di Arancia Meccanica in cui si mette in mostra che sia dall’altro che dal basso i rapporti umani sono soltanto rapporti di violenza, in cui la contrattazione delle prestazioni e dell’esistenza intera passa attraverso l’uso più o meno sofisticato della forza sulla volontà di un altro. Che tutto ciò non abbia alcun senso non ha importanza, quanto il fatto che questo è il punto.

1984 fa parte della grande letteratura perché fa parte di noi stessi, della nostra realtà quotidiana, della nostra civiltà e di come noi riusciamo ad intenderla. A tal punto che il lettore fatica a trovare differenze tra la finzione e la sua esperienza mondana. Egli può finire confuso e chiedersi continuamente perché valga la pena di leggere un libro che non aumenta ciò che sappiamo del mondo, quanto magari sprofondarci nell’inconfessabile resa di fronte all’ineluttabile stato di cose. Esso, in fondo, non ci dice niente di più di quanto sappiamo già. Ma appunto per questo merita di essere letto, studiato e riletto e ristudiato: perché non sono molti i libri così franchi sulla natura del potere, quale che sia la sua forma e il suo colore. Perché questa è la grande lezione di 1984: che neppure il Grande Fratello, se esiste, può essere al di fuori del Grande Fratello. E così noi non siamo fuori da 1984 perché 1984 siamo noi.


George Orwell

1984

Mondadori

Pagine: 326.

Euro: 9,00.


[1] Orwell G., (1948), 1984, Mondadori, Milano, p. 8.

[2] Ivi., Cit., p. 39.

[3] Ivi., Cit., p. 91.

[4] Ivi., Cit., p. 91.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

One Comment

  1. Omar Bacis Omar Bacis 9 Maggio, 2017

    Miglior riassunto e commento di 1984 sul web, complimenti

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