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Un cartesianesimo naturalizzato sulle intuizioni?

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L’articolo di George Rey ha alcuni obiettivi congiunti: (1) chiarire la plausibilità delle tesi di chi ha sostenuto o difeso il ruolo delle intuizioni o dell’introspezione da un punto di vista neocartesiano; (2) delucidare le alternative e le critiche rivolte a chi ha difeso posizioni neocartesiane e (3) difendere indirettamente la plausibilità di un neocartesianesimo naturalizzato circa le intuizioni e l’introspezione (in particolare riguardo la teoria delle TAG che Rey aveva già presentato e difeso).

In generale, poste due tesi t1 e t2, si può stabilire una preferenza tra t1 e t2 in base a ragioni di natura esplicativa: è razionale prediligere tra t1 e t2 quella teoria che è maggiormente esplicativa. Si noti che in questa dichiarazione di selezione sulla base di questa tipologia di preferenza, si esclude sia la possibilità di trovare argomentazioni puramente a priori o considerare queste ultime come decisive, ma anche, all’estremo opposto, la possibilità di contare esclusivamente su evidenze empiriche. Infatti, per fornire la migliore esplicazione di un certo evento e non sarà semplicemente sufficiente descriverlo in termini empirici, ma è indispensabile darne una caratterizzazione almeno in parte normativa: non a caso, l’articolo di Rey presenta tanto argomentazioni filosofiche su basi empiriche che su basi propriamente a priori.

Da un punto di vista propriamente contenutistico, Rey intende difendere una posizione filosofica che considera le intuizioni e l’introspezione come fonti plausibili di conoscenza sui propri stati mentali (introspezione) piuttosto che sulla competenza linguistica (intuizione). A differenza di Cartesio (secondo Rey) e dei neocarteisani, Rey non intende abbracciare una tesi non naturalistica delle intuizioni e dell’introspezione (come Bealer (1998), BonJour (1998) e Plantinga (2000)). Una tesi non naturalistica delle intuizioni e dell’introspezione considera la possibilità che le intuizioni e l’introspezione siano delle fonti di conoscenza che il soggetto dispone ma che non sono riducibili a proprietà studiabili dalla scienza. Rey, invece, cerca di difendere la plausibilità di disporre di intuizioni e dell’introspezione come fonti di conoscenza ma reinterpretate alla luce di assunzioni naturalizzate, vale a dire in cui si considerano quelle fonti di conoscenza come descrivibili, spiegabili e caratterizzabili dalla scienza empirica: “All I’m defending here is the serious possibility of some special intuitive knowledge of material in some specific domains and some introspective knowledge of some propositional attitude states”.[1]

La caratterizzazione generale delle intuizioni e dell’introspezione che Rey assume è estratta dalle condizioni comuni fornite da vari filosofi neocartesiani per quanto riguarda il ruolo delle intuizioni:

(a) La conoscenza per intuizione è diretta o immediata,

(b) non discorsiva,

(c) intellettuale,

Viene considerata anche una seconda versione del neocartesianesimo sulle intuizioni:

(I) La nostra conoscenza degli stati mentali è in qualche modo privilegiata,

(II) essa arriva in un modo speciale che non può essere accessibile agli altri,

(III) le nostre credenze prodotte via intuizione o via introspezione sono certe.

Per quanto riguarda specificamente l’ambito semantico, la conoscenza di p via intuizione o introspezione si fonda sulla sola capacità di comprensione del contenuto proposizionale di p in se stessa. In altre parole, se S sa che p via intuizione, allora p è conosciuta esclusivamente sulla base del contenuto semantico di p. I neocarteisani non considerano plausibile considerare le intuizioni come se fossero studiabili dalla scienza empirica, e quindi difendono una posizione non naturalizzata: il motivo di questa tesi consiste nel fatto che le intuizioni e l’introspezione sono categorie filosofiche a priori. Un argomento portato dai neocartesiani a difesa delle intuizioni attiene alla conoscenza delle nozioni modali: data la natura dei concetti modali (necessità, possibilità…), essi non sembrano emergere da alcuna condizione studiabile o analizzabile nei termini scientifici, sicché se ne conclude che la loro conoscenza dipende in modo eminente dalle intuizioni fondamentali che abbiamo su di essi.

Per la posizione neocartesiana si danno almeno due problemi filosoficamente importanti, più uno relativamente problematico da un punto di vista non esclusivamente filosofico: (a) non è chiaro come discriminare i casi di fallimento dai casi di riuscita dell’atto intuitivo, (b) non sembra agevole distinguere le intuizioni da altri sistemi di formazione di credenze sul mondo sospetti da un punto di vista epistemico, (c) il fatto stesso che le intuizioni o l’introspezione non siano analizzabili dalla scienza empirica le rende piuttosto sospette da un punto di vista epistemologico, nella misura in cui essi non possono ammettere difese da un punto di vista empirico ma esclusivamente a priori. Il fatto che simili processi non possano essere caratterizzati da un punto di vista scientifico non li rende ipso facto inaccettabili, ma certamente la loro difesa deve fare a meno dei vantaggi di evidenze di natura non strettamente filosofica. E questa ultima condizione, infatti, è sfruttata dai critici della posizione cartesiana, che si avvalgono di controesempi basati su studi di psicologia (Nisbett & Wilson (1977) mostrano che la nostra comprensione della mente è lungi dall’essere chiara e affidabile, Carruthers porta casi di affabulazione per mostrare come l’introspezione sia spesso fallace e Kahneman & Tversky hanno portato prove a sostegno di posizioni non cartesiane). In fine, i neocartesiani non sembrano portare sufficiente evidenza per difendere le loro tesi.

Una posizione quineana circa le intuizioni ha un limite superiore e uno inferiore: non può ammettere l’esistenza di entità studiabili esclusivamente su basi filosofiche (in quanto è criticata la stessa nozione di “a priori”) e non può neppure rigettare la possibilità che le intuizioni esistano su basi puramente filosofiche. Infatti, se h è l’ipotesi neocartesiana, allora h è rigettabile solo a partire da evidenze empiriche e, tali che sulla base di e h risulta falsa. Infatti, non è dimostrabile che h sia falsa su basi filosofiche, se non in quanto queste si appellano alle e: una dimostrazione a priori (quindi puramente filosofica) è esclusa al quineano che, dunque, non può escludere l’esistenza delle intuizioni e dell’introspezione e deve attendere i risultati di prove empiriche.

Rey, dunque, assume che (a) le intuizioni linguistiche hanno lo stesso status delle esperienze percettive, (b) le intuizioni e i report percettivi si presume che siano causati da rappresentazioni che sono il risultato della facoltà linguistica e del modulo della visione, (c) la facoltà del linguaggio produce descrizioni strutturate (SDs) di vari oggetti sintattici, sicché esse contano come evidenze per le regole rispettate dalla stessa facoltà linguistica e contano come la migliore spiegazione tra le varie.[2]

Devitt, sulla base del fatto che ci sono evidenze empiriche che dimostrano come i soggetti cognitivi non dispongono di un accesso privilegiato ai propri stati mentali, rigetta la posizione neocartesiana sulle intuizioni: “Such intuitive opinions are empirical central-processor responses to linguistic phenomena. They have no special authority: although the speaker’s competence gives her ready access to data it does not give her Cartesian access to truths about the data”.[3]  Sulla base di ciò, Devitt assume che non si possa trovare alcuna “spiegazione cartesiana non standard” del ruolo delle intuizioni nella produzione di evidenza.

Carruthers attacca la posizione dei neocartesiani sulla base del fatto che la nostra capacità di formarci credenze sui nostri stessi stati mentali non è diversa o migliore di quella stessa capacità di formarci credenze sugli stati di credenza degli altri. In questo senso, la capacità di autoatribuzione delle attitudini è basata solo su dati sensoriali, comportamentali e contestuali. Tuttavia, Rey mostra come la critica di Carruthers, che ben può applicarsi ad un neocartesianesimo non naturalizzato, considerato nelle linee principali viste sopra, non si può considerare valido per una versione naturalizzata del cartesianesimo stesso.

Rey porta due critiche incisive alla posizione di Carruthers: (1) il fatto che l’introspezione o le nostre intuizioni determinino di quando in quando degli errori non è ancora indice del fatto che tali sistemi di formazione di credenze sui propri stati mentali o elementi semantici siano del tutto inaffidabili, (2) gli errori nell’autoattribuzione non sono sufficienti per supporre che l’introspezione e le intuizioni siano dei sistemi puramente fittizi di formazione di credenze. Allo stesso modo degli errori visivi o nell’interpretazione di dati di senso non si può perciò stesso eliminare la vista dai sistemi cognitivi per formare credenze sul mondo (e pensare che tali sistemi talvolta funzionino), lo stesso ragionamento va replicato per l’introspezione o per l’intuizione.

La tesi di Rey, dunque, si articola nel sostenere che sia possibile pensare ad una forma di neocartesianesimo naturalizzato che consideri le intuizioni o l’introspezione come un sistema cognitivo di natura causale che produce talvolta risultati corretti. La sua posizione (TAG) viene giusto accennata nell’articolo, ma in ogni caso si avvale dell’idea che i soggetti cognitivi siano in grado di costruire categorie generali a cui aggiungono una particolare etichetta (TAG) e che riutilizzano per formulare giudizi su di sé o su elementi linguistici. In questo senso, Rey propone di considerare seriamente la possibilità di un “modesto cartesianesimo” in cui le persone hanno qualche accesso privilegiato alle loro attitudini. Rey si appella, dunque, al principio di selezione per la tesi migliore: la sua tesi di un cartesianesimo moderato e naturalizzato è invocato come migliore spiegazione, anche sulla base del fatto che consente una predizione efficace dei comportamenti dei soggetti al breve termine. In definitiva, dunque, le tesi contrare a quella di Rey risultano comunque manchevoli e non riescono ad eliminare quanto meno la possibilità concreta che in alcuni casi i soggetti cognitivi riescano effettivamente a pervenire a conoscenza dei loro stessi stati mentali e che, dunque, dispongano (nelle giuste condizioni e nelle giuste circostanze) di un accesso privilegiato ai propri stati mentali.

L’obiettivo, a questo punto, è della scienza (anche se questo Rey non lo dice esplicitamente): mostrare quali siano i rapporti causali che rendono possibili l’intuizione e l’introspezione. In altre parole, l’analisi filosofica di Rey ha fatto emergere un nuovo problema: l’indagine della natura causale dei processi cognitivi che chiamiamo “intuizione” e “introspezione”, ora considerati da un punto di vista naturalizzato e quindi disponibili di un’analisi scientifica.


Bibliografia ragionata

Bealer G., (1998), “Intuition and the Autonomy of Philosophy”, in DePaul and Ramsey 1998, 201-40.

BonJour L., (1998), In Defense of Pure Reason, Cambridge: Cambridge University Press. BonJour L., (2001) “Replies”, Philosophy and Phenomenological Research 63(3): 673-98.

Carruthers P., (2011) The Opacity of Mind: An Integrative Theory of Self-Knowledge, Oxford, Oxford University Press.

Devitt M., (1996), Coming to Our Senses, Cambridge, Cambridge University Press.

Devitt M., (1998), “Naturalism and the a Priori”, in A Priori Knowledge, special issue of Philosophical Studies: An International Journal for Philosophy in the Analytic Tradition”, 92(1/2): 45-65.

Nisbett & Wilson (1977), “Telling More Than We Can Know: Verbal Reports on Mental Processes”, Psycological Review 84(3), 231-59.

Kahneman D., (2011), Thinking, Fast and Slow, New York, Farrant, Straus & Giroux.

Plantinga A., (2000), Warranted Christian Belief, Oxford, Oxford University Press.

 


[1] Rey G., (2014), “A naturalistic Cartesianism”, in The Armchair or the Laboratory?, Routledge, London, p. 244.

[2] [L]inguistic intuitions have the same status as standard reports of perceptual experience in vision experiments. Insofar as they are to be taken as evidence of linguistic and perceptual processing, both linguistic intuitions and perceptual reports are presumed to be fairly directly caused by representations that are the output of, respectively, a language faculty and a visual module – just as logical intuitions might, per above, be the causal consequence of a logical competence. In the case of language, the faculty produces structural descriptions (SDs) of various syntactic objects (phrase, sentence), and the intuitions are reliable insofar as those descriptions play a crucial role in the production of the intuitions. They are evidence for the rules obeyed by the faculty insofar as those rules are the best explanation of, inter alia, the SDs.Ivi., Cit., pp. 252-253.

[3] Ivi., Cit., p. 252.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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