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“Vivo attaccamento per una persona, che ci fa desiderare il suo bene. || Intensa attrazione sentimentale o sessuale per persona di sesso diverso. || Nel pensiero cristiano, l’essenza di Dio che si manifesta anche nella creazione: Amor che muove il sole e l’altre stelle (Dante). || Carità verso il prossimo. || Desiderio, brama L’a. di potere, di denaro. || Attaccamento, vivo interesse per qualcosa: Avere, porre a. allo studio. || Di persona o cosa particolarmente graziosa.||”[1]
Queste definizioni sono prese da un buon dizionario, tuttavia esse sono molto povere di contenuto esplicativo. La parola “amore” è un termine molto vago e, per ciò, contiene dei significati abbastanza diversi, come si può vedere da queste definizioni. Innanzi tutto, non possiamo essere soddisfatti dai concetti del dizionario, se esso è vago o complesso. Dobbiamo cercare di raggiungere una chiarezza maggiore. Cercheremo di rintracciare un nucleo di significati comuni.
Partiamo dalla proposta del dizionario:
- Vivo attaccamento per una persona, che ci fa desiderare il suo bene.
- Intensa attrazione sentimentale o sessuale per persona di sesso diverso.
- Nel pensiero cristiano, l’essenza di Dio che si manifesta anche nella creazione.
- Carità verso il prossimo.
- Attaccamento, vivo interesse per qualcosa.
Evitiamo i vari usi derivati della parola “amore” che ci condurrebbero troppo lontano. Innanzi tutto, discutiamo queste definizioni.
“Vivo attaccamento per una persona, che ci fa desiderare il suo bene” è la definizione di “amore” verso una persona, non verso una cosa. Tuttavia, in questo caso, la parola “persona” dovrebbe essere intesa con un senso più ampio: si può amare un animale, un gatto ad esempio, nello stesso senso in cui si ama una persona.
“Intensa attrazione sentimentale o sessuale per persona di sesso diverso”. Questa definizione non va bene perché c’è una chiara presa di posizione nei confronti del gusto-sessuale che, essendo un gusto, è anche molto soggettivo. Senza entrare in disquisizioni etiche sterili, pregiudiziali ed inutili, è un fatto che si possa “amare” anche una “persona di stesso sesso” e, addirittura, un oggetto o un animale: i feticisti sono dei casi di questo genere ed essendo inscritti nella realtà dei fatti, far finta che non esistano sarebbe anche celare la verità. Inoltre, il caso delle “bambole gonfiabili” è interessante perché esse sono degli “oggetti di forma identica” a quelle di una donna. Propongo questo paradosso: poniamo il caso che esista una bambola gonfiabile dotata di ogni proprietà di una donna, eccezion fatta che per il pensiero. Immaginiamo che una moglie piuttosto burlona decida di sostituire se stessa con la bambola e il marito non si accorga dello scambio e l’amasse. In questo caso, la definizione di “amore” proposta sarebbe ancora valida? Se dico no, considero la bambola da un punto di vista oggettivo, cioè da parte di chi sa che quella è un oggetto. Ma considerando quella dal punto di vista del povero marito, si dovrebbe tener presente ch’egli vorrebbe amare la sua donna e, di fatto, crede di farlo. Al di là di questo interessante caso, è evidente che la parola “amore” va estesa a tutto il campo del desiderio sessuale.
“Nel pensiero cristiano, l’essenza di Dio che si manifesta anche nella creazione”: questa definizione è arbitraria. In primo luogo, bisogna considerare l’uso della parola “amore” come “termine tecnico”, peccato, però che non sia affatto chiaro cosa sia “l’essenza di Dio che si manifesta nella creazione”. Non è chiaro cosa sia la parola “essenza”, “Dio”, “manifestare”, “creazione”. Di tutte, la parola più oscura è proprio quella di “Dio”, non rimandando né ad un fatto, non essendo egli un fatto, né ad una proprietà perché la struttura del sintagma nominale “essenza di Dio” implica che “di Dio” sia sostantivo e non aggettivo e, dunque, non si può considerare “Dio” come una proprietà ma come un oggetto. Ma abbiamo già detto che Dio non è un fatto. Dunque, la parola Dio è usata come “nome” ma non ha un significato, non denotando nulla. Neppure da un punto di vista “internista-operazionista” si può considerare questa parola come sensata: se assumiamo che due persone intendano lo stesso significato quando svolgono le stesse operazioni mentali per capirlo, non abbiamo unità. Esistono troppi “concetti mentali” distinti per quell’unica parola perché si possa intendere il suo significato in maniera chiara. In fine, questa definizione di “amore” è, comunque la si voglia guardare, altamente specifica e non si vede perché bisogna prenderla sul serio, quando il suo uso comune non richiama mai, o quasi, né Dio, né la creazione. E si potrebbe ben discutere sull’amorevolezza di Dio nei confronti delle sue creature.
“Carità verso il prossimo”: questa definizione è del tutto parziale ed è riscrivibile nei termini della prima perché sono caritatevole nei confronti di una persona di cui desidero il bene. Bisogna riconoscere che chi ha curato la voce “amore” del dizionario “Garzanti” era un pochettino indirizzato nel suo pensiero.
“Attaccamento, vivo interesse per qualcosa”: questa definizione è senz’altro adeguata a chiarire un uso della parola.
A questo punto riassumiamo: abbiamo scartato le definizioni “tre” e “quattro” perché inconsistenti. Abbiamo salvato la seconda, dopo modifica. Così, riscriviamo le definizioni della parola:
- Vivo attaccamento per una persona, che ci fa desiderare il suo bene.
- Intensa attrazione sentimentale o sessuale per una persona o cosa.
- Attaccamento, vivo interesse per qualcosa.
La definizione “Attaccamento, vivo interesse per qualcosa” ha un significato diverso di “vivo attaccamento per una persona…” perché, in questo caso, “amore” significa “sentimento di piacere specifico nei confronti di un determinato oggetto”. E’ interessante notare come nella definizione di “amore” proposta dal signore della Garzanti la parola “piacere” non compaia mai, sebbene, ci pare, essa sia indispensabile e sia richiesta da tutti i significati del termine in questione. Evidentemente, Dio non ha provato piacere quando ha creato il mondo, però ha voluto un gran bene a tutto. Cosa significa “voluto gran bene” senza “provare piacere” è tutto da scoprire, ma, in ogni caso, l’amore umano implica in tutti i suoi significati la parola “piacere”. Dobbiamo riscrivere la terza definizione.
3. Vivo piacere per qualcosa oggetto di interesse.
Una buona domanda sarebbe stabilire se esiste un nucleo di significati tali che non siano esprimibili senza la parola “amore”. Ci sono buone ragioni per supporre che queste definizioni esauriscano la questione. Ci resta da vedere se esistano dei casi non riassumibili in queste tre definizioni generali.
“Io ti amo”. Questa frase è ambigua. Può riferirsi a tutti e tre i distinti significati della parola. “Io amo Mara” è una frase vera se e solo se “Io” sta nella relazione “amare” con “Mara”. Ora, la relazione “amare”, in questo caso, è ambigua. Può rimandare sia alla definizione uno che alla due, non, però, alla tre (a meno di essere un chirurgo e considerare la persona “Mara” come il mio oggetto di studio…).
Ed ecco il punto: si parla di impossibilità di descrivere la parola “amore” esaustivamente: nella maggior parte dei casi il problema è scindere i due significati, vale a dire che generalmente il “Vivo attaccamento per una persona, che ci fa desiderare il suo bene” implica, o è causato dall’“Intensa attrazione sentimentale o sessuale per una persona o cosa”. In realtà, distinguere le due denotazioni non è sempre possibile. Viene addirittura da chiedersi se sia lecito slegare i due significati. Si può dire di “amare” la propria madre allo stesso modo in cui si dice di “amare” la propria donna? No. Questo perché nell’amore verso i genitori, piuttosto che verso i figli, non c’è la componente sessuale (anche se Freud si è prodigato a dimostrare il contrario). Posso dire di “amare” un amico? Forse si.
Perché si dice che è la parola “amore” è soggettiva? Perché dipende da casi concreti la relazione che si instaura tra questi due distinti significati e, siccome i più non si fanno troppe domande, ritengono assai misterioso dirimere la questione. “Io amo Mara” intendo “Io voglio bene a Mara perché Mara mi fa provare piacere” oppure “Io provo piacere grazie a Mara perché le voglio bene”?
Altra questione è dire a partire da quale causa sono arrivato ad amare qualcosa o qualcuno. Come diceva giustamente Nietzsche ne “La gaia scienza”, del male si cerca di capire, l’amore si dà per scontato. Cioè, non è chiaro mai come si giunga ad amare qualcosa o qualcuno, rimane solo evidente il fatto che si ama. Questo fatto psicologico immediatamente rintracciabile in ciascuno, alimenta l’oscurità del termine. Nella maggior parte dei casi, non si sa perché si ama qualcosa o qualcuno a parte quando c’è di mezzo la componente sessuale (sebbene, a ben vedere, sia anche qui un ché di misterioso).
Si dice tanto spesso che “l’amore è un mistero”, in realtà, non lo è. Si gioca con le parole, questo si. Si ignorano spesso le cause di esso, come di tutto quanto il resto. Gli si dà importanza perché da un piacere unico ed il fatto di volere il bene di qualcun altro, fa sì che noi ci sentiamo una sua funzione vale a dire che quell’individuo ci dà un significato ulteriore. Tutto questo, in realtà, è falso perché è sempre falso ciò che definisce noi stessi in funzione degli altri: si diventa schiavi solo quando c’è un faraone a cui riferirsi. In realtà, l’autodeterminazione è una cosa rara nella specie umana e raramente la si ricerca. Così, c’è bisogno di qualcuno, o qualcosa, che giustifichi sia le nostre scelte che i nostri errori. Ecco perché tanti danno tanta importanza al proprio marito, ai figli o ai genitori. L’umanità è debole.
In fine, quando dico “Io amo Mara” voglio dire “Ho uno stato mentale di contenuto rappresentazionale di –Mara- e, connesso ad esso, ho un’intenzione di agire per accrescere tale stato mentale”. Questa definizione “mentalista” chiarisce il doppio contenuto mentale della relazione “amare”: rappresentazione più intenzione positiva. Quando si ama, si prova piacere sia nel considerare solo lo “stato mentale di tipo rappresentazionale”, perché è una forma immediatamente ri-conosciuta dalla mente che attiva delle aree emotive del cervello; inoltre l’intenzione fa sì che ogni azione che accresca il benessere di “Mara” implica che io mi identifichi in lei e ne immagini il piacere, in questo modo ho due generi di piaceri giunti da cause diverse ma che si sommano perché sono quantità cumulabili. In fine, il massimo si tocca durante il “sesso” perché v’è anche un terzo piacere di origine fisico-ormonale e nel quale l’immedesimazione con la persona amata è immediata (cioè, se la persona è “amata” sia in senso morale che in senso sessuale) .
Ed ecco giunti alla spiegazione dell’oscurità della parola amore: esso sorge senza motivo evidente né ci sforziamo di comprenderne le cause, contemporaneamente lo riconosciamo ogni qual volta è presente e lo stimiamo come massimamente piacevole, alcuni lo considerano l’unica ragione di vita. L’effetto (amore) non si connette alle cause (difficilmente si scindono i tre significati e si ragiona sull’oggetto d’amore e sui suoi perché) e si giunge a contemplarlo da solo come se fosse qualcosa di misterioso. Lo è davvero?
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