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Kant sa che un progetto politico non può che essere attuabile, se vuole avere un senso. Per questo, dopo aver esposto gli articoli preliminari e definitivi, fornisce un argomento per dimostrare la possibilità della pace perpetua: essa, dunque, non soltanto viene presentato come un ideale morale ma anche come una possibile via politica effettivamente percorribile: per quanto lunga, esiste una procedura effettiva in grado di condurre l’umanità in una condizione di pace permanente.
Uno stato non può non aver a cuore la pace perpetua come fine per alcune ragioni fondamentali: (1) come l’individuo umano ha riconosciuto nella legge unica per tutti i soggetti giuridici un mezzo per potersi elevare dalla condizione di guerra ad una di pace, per la necessità di sopravvivenza e di sicurezza (argomento già lockenao almeno in parte), così lo stato riconosce nell’assenza della perenne minaccia di offesa un valore intrinseco da perseguire. (2) La civiltà riconosce un valore intrinseco alla pace, ovvero la civiltà richiede per la sua esistenza una condizione di pace e il riconoscimento del suo valore intrinseco. (3) La politica non è un regno d’azione scisso dalla condizione morale e la morale riconosce nella pace un valore fondamentale, per tanto, ogni uomo politico che sia morale deve riconoscere nella pace un valore fondamentale come base per la sua azione politica (nel prossimo paragrafo vedremo la trattazione kantiana della figura del politico morale contrapposta al moralista politico). Il fatto stesso, però, che le condizioni di interesse materiale, siano esse individuali o complesse, escludano sovente condizioni di pace lascia aperto il dubbio alla stessa possibilità reale della pace perpetua. Tanto più che Kant sa bene che nella storia i popoli non si sono mai organizzati in modo da fuoriuscire dalla condizione di guerra permanente, com’egli stesso osserva, tanto è vero che i periodi di guerra sono senza dubbio ben maggioritari rispetto a quelli di pace, più o meno effettiva.
Per questa ragione Kant fornisce tre argomenti come garanzia per la possibilità dell’esistenza della pace perpetua, di fatto tre linee strategiche per la soluzione del medesimo problema: rendere credibile il progetto politico della pace perpetua. La prima linea la nomineremo come ʽargomento di pacificazione naturaleʼ, la seconda ʽargomento dell’interesse per la paceʼ e la terza ʽargomento dell’idealeʼ, che abbiamo parzialmente già presentato nel primo paragrafo di questo saggio.
L’argomento della pacificazione naturale può essere semplificato in modo da risultare piuttosto stringato. La condizione di natura è uno stato di guerra permanente tra individui tale per cui alcuni di essi, per sopravvivere, si sono sparsi sulla terra. Gli uomini si sono riprodotti e il tasso di crescita è stato sufficiente per riempire i limiti della terra, essendo questa rotonda e non infinita (Kant lo dice esplicitamente). Gli uomini nuovamente ravvicinati per fuggire dalla condizione di guerra perpetua si sono nuovamente ritrovati e hanno dovuto convenire che i vincoli alla reciproca libertà sono vantaggiosi per entrambi, se si tiene conto che tutti hanno a cuore la propria sopravvivenza. E’ stato, dunque, per ragioni egoistiche che gli uomini si sono riuniti e sempre per ragioni egoistiche hanno dovuto cedere qualcosa all’altro e viceversa per garantirsi la reciproca sopravvivenza. Questo argomento mostra come la pace sia stata una soluzione necessaria imposta semplicemente dalla necessità (dalla natura – natura deadela rerum – ): “Le sue disposizioni provvisorie [della natura] sono: 1) essa ha provveduto in favore degli uomini, a che essi possano vivere in tutte le parti della terra; 2) con la guerra, ha spinto gli uomini ovunque a popolare anche le regioni più deserte; 3) con lo stesso mezzo li ha costretti a unirsi in rapporti più o meno giuridici”.[1] La natura, per mezzo della guerra, ha condotto gli uomini a riunirsi sotto vincoli che garantiscano la pace e ne riconoscono, almeno parzialmente e per via egoistica, l’importanza.
Il secondo argomento è quello dell’interesse della pace. La pace è una condizione vantaggiosa per almeno due motivi. Il primo è che la propria vita è una condizione di interesse permanente perché implica tutti gli altri: cessata la vita, cessano tutti gli interessi egoistici di un individuo. Per tanto, se un uomo desidera qualcosa o considera un oggetto ipotetico come uno stato di interesse, a maggior ragione desidera di vivere (diverso è il caso in cui un uomo non desiderasse che la morte). La condizione di guerra impone una precarietà nella sicurezza della propria vita, sicché la cessazione di una tale precarietà è riconosciuta come vantaggiosa, secondo un punto di vista esclusivamente egoistico. Kant sottolinea, infatti, che l’unico prerequisito per questo argomento è che i soggetti siano razionali. Infatti, se così non fosse, allora non sarebbe possibile alcuna possibilità di previsione e quantificazione dei vantaggi. E allora non avrebbe senso neppure parlare di interesse egoistico, che è qualcosa di razionalmente vincolato dal punto di vista delle massime morali per l’azione, cioè una particolare forma di razionalità strumentale dell’azione e, dunque, non morale nel senso più profondo. Kant, così, arriva a sostenere che:
Il problema dello stabilirsi di uno stato è risolvibile, per quanto dura possa sembrare l’espressione, anche da un popolo di demoni (se sono intelligenti). Il problema è questo: “come ordinare una moltitudine di esseri ragionevoli, che desiderano tutti, per la loro conservazione, di sottoporsi a leggi pubbliche, anche se ognuno, nel suo intimo, tende a sottrarvisi…[2]
In fine, Kant presenta anche un argomento che, per certi aspetti, risulta filosoficamente decisivo, almeno in una prospettiva di una filosofia politica che voglia fondarsi su un’ideologia che coincida maggiormente con una prospettiva morale razionale. Se la pace perpetua è possibile, allora è nostro dovere perseguirla. E’ evidente che sia possibile, laddove la guerra è una condizione contingente dovuta a ragioni diverse ma, in particolare, all’ordinamento statuale. Per tanto, la pace perpetua è possibile, perciò dobbiamo far quanto è in nostro potere per raggiungerla. Il fatto stesso che non si possa ottenere nell’immediato non è una ragione sufficiente per depotenziare l’ideale di pace: la pace implica il riconoscimento della parità di ogni uomo, considerato nella sua piena dignità. Questo non può che essere l’espressione di un imperativo categorico laddove noi tutti vorremmo che l’imperativo morale che garantisse e sancisse la pace perpetua fosse una legge di natura (condizione formale dell’imperativo), così come è altrettanto evidente che l’imperativo che sancisse la pace prevede come oggetto l’intera comunità umana (condizione sostanziale dell’imperativo) laddove la pace non è importante per sé quanto per tutta l’umanità. In questo si vede la prospettiva del ʽpacifismo finaleʼ di Kant, detto con Bobbio. Infatti Kant considera anche questo aspetto prettamente individuale, ma decisivo, per fondare la pace: i singoli individui devono contrastare lo spirito egoistico quando non è conforme alle condizioni di pace universale proprio perché sono in grado di uniformarsi agli imperativi morali. Così, terminiamo il paragrafo con le immortali parole di Immanuel Kant:
In questo modo la natura garantisce con il meccanismo stesso delle inclinazioni umane la pace perpetua, con una sicurezza che, certo, non è sufficiente a predirne l’avvento (in teoria), ma che tuttavia basta in pratica a imporci il dovere di adoperarci a questo scopo (che non è semplicemente chimerico).[3]
[1] Ivi., Cit., p. 72.
[2] Ivi., Cit., p. 77.
[3] Ivi., Cit., p.79.
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