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Ernesto guardò stupito Evaristo, dopo l’ultima dichiarazione. La loro teoria sembrava avere i requisiti giusti per essere accettabile, ma prim’ancora di sottoporla a verifica con posizioni concrete, Evaristo pronunciò una frase profetica: “Secondo me, abbiamo trascurato un dettaglio: il tempo!”
Ernesto non riusciva a capire. Ma non volle prender per pazzo l’amico. Se avesse avuto un attacco improvviso di follia, ci sarebbe stato qualche altro dettaglio a manifestarlo. Preferì ricapitolare dentro di sé la loro teoria per vedere se avessero trascurato qualcosa:
1) ciò che c’è di più semplice negli scacchi sono le caselle,
2) le posizioni possono essere descritte a partire dalle case,
3) i calcoli hanno come unico argomento le case,
4) sta meglio il giocatore che controlla le case con più “peso”.
Per dare un valore alle case bisognava procedere in questo modo:
a) le case del re, inclusa la casa in cui soggiace, hanno un valore assoluto, non riducibile a numeri. Se proprio bisognasse quantificare il “peso”, allora ogni casa “reale” deve esser definita 100 rispetto all’unità del pedone.
2) i singoli pezzi possono essere descritti a partire dalle case che controllano, di conseguenza i loro valori[1][1] sono attribuiti in base alla case su cui insistono.
2.1) Come regola generale, si possono assumere i valori “canonici” dei pezzi.
2.2) Se si volesse scendere nel dettaglio, allora i pezzi assumerebbero il valore in relazione alla posizione presente.
3) i pedoni hanno un valore pari a “uno”[2][2] eccetto che se arrivano in una casa della “sesta” o “settima” traversa, nel qual caso si può assumere come valore potenziale 5 o di più in base alla posizione[3][3].
A questo punto, il pensiero di Ernesto si fermò, cercando di riflettere bene su ciò che non tornava nella teoria. I calcoli erano giustificati, le case erano descritte in modo sufficientemente preciso. Si potevano operare previsioni. Preso dallo sconforto, Ernesto finì d’un sol colpo il bicchiere di grappa che gli aveva portato Pasquale, il barista del circolo.
“Insomma, ti vuoi spiegare meglio, caro Evaristo? La questione del tempo non mi torna…”
“Mi pare però che sia una questione cruciale. Come si fa a giocare a scacchi senza definire il Tempo?” Rispose Evaristo corrucciato.
“Il tempo è la successione degli istanti di una partita. Ecco tutto. L’orologio l’abbiamo per questo.” Disse Ernesto non comprendendo come questo fatto potesse essere utile.
“In questo senso, il Tempo sarebbe solo una componente di limite entro il quale una partita dovrebbe essere svolta e al di fuori del quale la partita non esiste. Se non c’è l’orologio, si possono supporre eventi fisici esterni che obblighino la cessazione della partita, come la necessità di mangiare, dormire o impegni…” Concluse Evaristo.
“Be’, mi pare che sia così… ma non ti pare abbastanza?”
“Si, dal punto di vista di tempo come limite esterno alla partita. Ma all’interno questa definizione è inutile. Non serve a niente.”
“Uhm, uhm… Si, ma all’interno, come dici tu, probabilmente non serve. Abbiamo definito i calcoli e le case in modo idoneo. Non ci interessa descrivere il tempo!” Gridò quasi esasperato Ernesto a tal punto che Pasquale irruppe nella saletta preoccupato.
“C’è qualche problema?” Chiese guardando i due. Una volta Ernesto ed Evaristo arrivarono alle mani a tal punto che Pasquale si mise in mezzo per bloccarli.
“E’ Ernesto… il solito rozzo e emotivo.” Fece Evaristo acre, interrotto nel pensare.
“Ah, come no! Sei tu che mi tiri fuori argomenti capziosi e inutili.” Rilanciò Ernesto.
“Carissimi, perché non la smettete di insultarvi a vicenda? O vi fate una partita, oppure ve ne andate a prendere un po’ d’aria fresca.” Concluse seccamente Pasquale.
Come Pasquale se ne andò, Evaristo riprese a parlare:
“Il problema è la successione: come si evolve una partita? Tu giochi una mossa, io ne gioco un’altra e così via. Questa semplice considerazione nella nostra teoria non è prevista. Ma gli scacchi sono una realtà in evoluzione dall’inizio fino alla fine.”
“Incomincio a capire… ma vai avanti.” Disse calmo Ernesto.
“Dobbiamo dire in cosa consista tale evoluzione dalla posizione iniziale data a quella finale. E’ fondamentale. Ma da dove cominciare?” Chiese triste Evaristo.
“Già, da dove cominciare, da dove cominciare…” Ripeteva sottovoce Ernesto.
“Quando c’è qualcosa di oscuro, bisogna andare a ciò di cui si è sicuri. Dunque, è chiaro che se è vero che tutte le posizioni sono descrivibili da case, allora il tempo non può essere qualcosa di estraneo, di indicibile. Altrimenti bisogna rifare tutto da capo.”
“Ecco! Giusto! Vediamo: il Tempo è una variazione dei valori delle case, da una posizione 1 a una posizione 2, siano le due posizioni situazioni qualunque[4].”
“Molto bene Ernesto! Caspita, non ci avevo pensato. In questo modo abbiamo definito la posizione di equilibro iniziale, materiale e temporale che viene interrotto dalla prima mossa del bianco. Dobbiamo però arricchire questa definizione.”
“Cioè che non possano essere previste delle evoluzioni che violano le regole?”
“Esattamente! In effetti, la tua definizione è buona, ma con posizione 1 e posizione 2 possiamo intendere pure due posizioni non successive. Ma questo sarebbe impossibile[5]. Tieni conto che: la posizione 2 segue dalla posizione 1 in base alla variazione della dislocazione dei pezzi. Ti propongo io altre restrizioni:
1. La posizione 2 segue dalla posizione 1 solo se è stato spostato uno e un solo pezzo da una casa x a una casa y, dove x è diverso da y[6],
2. La posizione 2 segue dalla posizione 1 solo se tocca a muovere al giocatore di colore inverso a quello della posizione 1.
“Caro Evaristo, mi pare che abbia colto nel segno! Io ho descritto il Tempo in termini generali in funzione alle case, tu hai reso più rigorosa la relazione tra due posizioni diverse che, in definitiva, descrivono il tempo negli scacchi! Ci siamo!”
“Verifichiamo la teoria prima di esultare.” Fece sottovoce Evaristo.
A questo punto siamo giunti alla fine della trilogia di Ernesto ed Evaristo nella quale è stata abbozzata una teoria generale degli scacchi, capace di spiegare gli accadimenti della scacchiera, l’evoluzione e abbiamo arricchito le nostre conoscenze teoriche.
Siamo pronti per un ulteriore verifica empirica: se qualunque lettore trovasse un contro esempio alla nostra proposta, lo sollecitiamo a scriverci in modo tale da provare a rivedere la teoria e farla evolvere. A questo punto spetta a voi!
Sperando di ricevere presto molte smentite, speriamo di esser riusciti a dare un’idea di quella che è l’impresa scientifica nella sua concretezza che, come si vede, non è niente di così trascendentale da non essere alla portata di tutti!
[1][1] Il “valore dei pezzi” non è altro che la loro “quantità di case”.
[2][2] Se si assume il valore canonico dei pezzi.
[3][3] In realtà secondo la teoria di Ernesto e di Evaristo, il pedone dovrebbe sempre valere 2 eccetto i pedoni sulla colonna “a” e “h”, salvo eccezioni. A pensarci bene, sarebbe meglio dargli questo valore invece che l’unità. Penso che il valore 1 del pedone sia stato assunto non in virtù del fatto che 1 sia il valore che realmente ha, ma per avere un’unità base numerica per definire gli altri. L’1 sarebbe un valore di comodo.
[4] Per non appesantire il discorso, riportiamo qui una proposta più analitica:
T = (B)(ΣCB+CBn) + (N)(ΣCB+ CBn) Dove T sta per “tempo”, il simbolo greco Σ sta per “somma algebrica di elementi di un insieme il cui numero di unità è indefinito” anche nel caso di insiemi infiniti; il simbolo CB sta per “Case del bianco” e CBn sta per “case del nero”. Tenuto conto del fatto che abbiamo indicato i modi attraverso cui giungere ad una definizione quantitativa del valore delle case, la seguente somma indica questo: il tempo (T) è la variazione delle due funzioni che definiscono il valore delle case in singole posizioni: (B)(ΣCB+CBn) è la funzione che descrive il valore della posizione del bianco in relazione alla somma algebrica dei valori delle case del bianco e del nero. La somma algebrica può essere positiva, negativa o uguale 0. Mentre la funzione (N)(ΣCB+CBn) fa la stessa cosa, solo che indica il valore della posizione del nero. La somma algebrica tra le due funzioni non è altro che la variazione tra due posizioni, vale a dire, il Tempo. In questo modo, il Tempo è ridescritto in funzione delle posizioni e, quindi, delle case.
[5][5] Con l’eccezione del remoto caso in cui alla posizione di base segua l’immediata resa del nero.
[6][6] Si tenga conto che la teoria di Ernesto ed Evaristo analizza il mondo all’interno delle regole degli scacchi. Ciò che sta fuori di esse, non è considerato. Dunque, si dà per dato il fatto che un giocatore possa spostare solo i propri pezzi e che un pezzo possa finire in una casa “legale” per sé: un cavallo non è considerato che da h1 finisca a a8.
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