L’umanesimo era divenuto la corrente culturale dominante nell’Italia di quel tempo. La filologia, il gusto per le humanae litterae, per i classici nella loro autenticità, erano le principali caratteristiche di questo momento culturale, più che storico., che lascia intravedere il moderno, pur ancora senza esserci. Il rifiuto del mondo intellettuale per la filosofia aristotelica era estremamente forte, rinforzato anche da una ripresa per la filosofia platonica, riscoperta in quegli anni a seguito della riscoperta dei testi in greco antico del grande filosofo. A tutto ciò va accompagnata una nuova visione della realtà che vedeva l’uomo come l’oggetto principale della speculazione.
E’ in questo periodo che nascono le teorie politiche indipendenti dal cristianesimo, la volontà di libertà e autonomia dalla Chiesa è estremamente netta e si mostra in tutta la sua evidenza con le posizione di Telesio e Giordano Bruno che vedono nella natura un essere da dover gestire. Bengono fondate etiche indipendenti dalla morale cristiana, per quanto eccezionalmente debitrici ad essa. La magia e l’astrologia vengono viste come potenziali mezzi di controllo delle forze naturali: l’uomo come misura dell’intero universo deve poter essere in grado di ammansire l’intera forza della natura, per ciò, qualunque mezzo viene visto come utile, se esso può contribuire ad addomesticare la realtà.
In questo contesto culturale si inserisce la figura di Niccolò Cusano, che nella sua vita sintetizza quel momento di passaggio tra una cultura ancora in gran parte dominata dalla figura dell’intellettuale/chierico ad una in cui è il laico a predominare.
Cusano nasce a Treviri in Germania, come K. Marx, nel 1401. Il suo nome viene italianizzato in Niccolò Cusano, egli si chiamava Nicolaus Krebs. Studiò dapprima ad Heidelberg e poi a Padova diritto. Nel 1423 prende il dottorato a Costanza in teologia. Nel 1433 scrisse una delle sue opere più importanti, il “De Concordantia chatolica.” Nel 1448 torna in Germania e viene nominato cardinale, carica che Cusano ricoprirà sino alla fine e verrà investito di importantissimi incarichi. Nel 1450 viene nominato vescovo di Bressanone. Fu delegato a Costantinopoli per cercare di riunire le due chiese dopo lo scisma. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Roma. Morì a Todi nel 1464 ancora al centro della vita ecclesiastica.
Filosofia
La visione filosofica di Cusano è ispirata al neoplatonismo. Egli ha letto senz’altro gran parte delle opere fondamentali degli autori a cui ci si rifà quando si parla di corrente neoplatonica. La domanda centrale di Cusano è in cosa consista la verità, se l’uomo vi possa giungere e, se la domanda ammette una risposta affermativa, come.
Il filosofo si presenta come innovatore nel sostenere la tesi assai contraddittoria che la verità è “conoscibile e inconoscibile”. Questa posizione Cusano la propone ne il “Dialogo tra un Gentile e un Cristiano”. Il paradosso è la chiave di lettura dell’intera opera del Nostro. L’uomo ha la facoltà conoscitiva limitata non solo relativamente alla divinità ma anche rispetto alle cose stesse le quali non sono conoscibili in sé ma sempre per sé. Cioè, l’uomo non giunge alla definizione delle proprietà essenziali delle cose, ma solo di quelle secondarie, mediate dai sensi. La conoscenza non inizia nell’intelletto ma incomincia dai sensi. Ma i sensi non mostrano altro che l’apparenza delle cose, cioè le loro proprietà mediate attraverso la nostra sensibilità. La verità, intesa da Cusano non come una proprietà della predicazione quanto di ciò che è realmente inerente alle cose, è in sé nelle cose. Noi non conosciamo in sé stesse le cose e, di conseguenza, noi non arriviamo che alle proprietà mediate, per sé.
Con questa visione piuttosto scettica nei confronti della conoscenza umana, potrebbe apparentemente portare a conclusioni errate se si pensa che non si possono trarre conclusioni certe relative al cosmo e a Dio. Se noi non possiamo conoscere la verità in sé, ci possiamo comunque avvicinare sempre di più, tendendo verso essa senza mai tangerla in pieno. Questa incapacità di giungere alla verità ulrima delle cose, prende forma nell’immagine che Cusano chiama “docta ignorantia”, cioè una conoscenza “docta” perché coglibile solo nell’attimo di avvicinamento alle proprietà per sé degli oggetti, ma “ignorantia” perché non arriva che ad afferrare la scorza esterna del mondo delle cose.
La verità della natura in sé è Dio stesso il quale diventa inconoscibile ed irraggiungibile dalla ragione la quale si arresta di fronte all’incommensurabilità divina. C’è una sproporzione tra limitazione degli atti cognitivi umani e l’infinito in atto rappresentato da Dio stesso. Il vero errore, per Cusano, sarebbe rifiutare l’idea che la ragione sia qualcosa di limitato e pretendere di andare oltre la nostra conoscenza della realtà: il vero sapiente sa di essere ignorante, mentre l’ignorante fa finta di essere sapiente, non tenendo conto della propria condizione di limitazione.
La natura è infinta, composta di infinite coppie di opposti, essa è l’esplicazione di Dio il quale è unità e complicazione della natura, dove gli opposti si riuniscono. Dio è la verità così che seppure egli non è conoscibile, è però condizione necessaria per la conoscenza stessa. Come la vista è ciò che ci consente di vedere i colori, pur non essendo essa stessa un colore, e proprio in virtù di questa “disponibilità” consente di vedere, Dio allo stesso modo in rapporto con la sua creazione: esso la rende possibile e consente una certa conoscenza di essa, sebbene egli non sia la natura.
Per primo Cusano teorizza l’universo come spazio infinito, in rifiuto della cosmologia aristotelica per la quale il cosmo era un’unità finita. L’infinto spaziale implica l’assenza di un centro, per ciò la terra perde la sua centralità rispetto all’universo. Questa concezione è all’avanguardia rispetto all’idea allora dominante. Essa è resa possibile dai fondamenti neoplatonici della dottrina di Cusano giacché per Platone, e i suoi seguaci, l’infinito in atto è pensabile e, dunque, possibile e non necessariamente negativo, come voleva Aristotele, il quale sosteneva l’insensatezza e l’impensabilità di un infinito realmente in atto: l’infinito, infatti, è una grandezza la cui parte è infinita anch’essa, cioè un infinito si può mettere in corrispondenza biunivoca col tutto. Ma ciò sarebbe come a dire che una parte dell’infinito è grande come l’infinito stesso, una parte grande come il tutto, il che, secondo Aristotele, è una vera e propria assurdità.
In fine, sul lato prettamente teologico, Cusano ha sostenuto che la fede non deve essere vista come una contrapposizione alle altre, ma come coesistente, così che un cristiano non si deve opporre ad un musulmano. Secondo Cusano, tutte le religioni hanno un nucleo comune di credenze le quali vanno piuttosto esaltate invece di concepire le varie morali “storiche” come in alternativa osservando le differenze. Non si trascuri che erano gli anni della pressa di Costantinopoli da parte dei turchi, la seconda Roma, che cadrà ufficialmente nel 1474. Caduta di fronte al quale tutto il mondo occidentale pianse, sebbene nessuno volle dare un aiuto concreto ad una delle città più importanti della storia della cristianità. Ma essendo la capitale della versione “ortodossa”, addirittura più avversata dei turchi stessi, come dimostra la terza crociata: uno degli eventi più squallidi dell’intera storia della cristianità e dell’occidente medioevale.
Bibliografia
Trombino M., Dall’umanesimo all’illuminismo, Poseidonia, Bologna, 2003.
Mori M., Storia della filosofia moderna, Laterza, Roma-Bari, 2005.
Adorno, Gregory, Verra, Manuale di storia della filosofia, Laterza, Roma-Bari, 1996.
e’ inspiegabile come la chiesa romana abbia potuto processare Galilei e Giordano Bruno per teorie scientifiche per altro anticipate lucidamente da un illustre ecclesiastico e pensatore cattolico.
Caro Andrea,
La discussione su questo tema è più controversa di quanto io stesso sapessi e imaginassi. In realtà, Galilei fu processato perché non fu capace di provare oltre ragionevole dubbio che la teoria Copernicana (strictu sensu, e non latu sensu l’idea che il sole sia al centro del sistema solare) fosse infatti indubitabile. Come Arthur Koestler ha brillantemente mostrato in “Sleepwalkers”, il problema non era tanto l’indubitabile e indiscusso dogmatismo sulle sacre scritture quanto il fatto che tali sacre scritture si sarebbero dovute adeguare solamente a condizione che la teoria scientifica si fosse mostrata oltre ragionevole dubbio. Ma Galileo non fu affatto capace di argomentare in tal senso, anche perché egli stesso aveva varie teorie che poi sono state falsificate. Considerando il mio disinteresse su ogni forma di dogmatismo religioso, la mia osservazione vuole solo avere la valenza di una chiarificazione storica. Il caso di Giordano Bruno, invece, è diversamente controverso e non ne so abbastanza. Ma la storia è sempre complicata e bisogna andar a vedere i dettagli delle singole situazioni, alternativamente si prendono giudizi storici senza una adeguata valutazione. Lo dico io per primo, che ho scritto un pezzo in materia sostenendo che Bellarmino era, infatti, dogmatico quanto la dogmaticità non era seconda, in quel caso, a Galileo.
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