da “Noumenologia” di Emanuele Franz (Bastogi Editrice, luglio 2004)
Per avere maggiori informazioni su Emanuele Franz e la sua casa editrice: www.audaxeditrice.com.
Il gioco degli scacchi nel corso della storia è stato preso in esame sotto diversi punti di vista ed è stato analizzato sotto molteplici prospettive. La storia, la psicologia e la tecnica del gioco hanno un influenza veramente determinante nella bibliografia scacchistica esistente. Le discipline più disparate hanno avuto pregio di accostarsi a questo secolare gioco. Ma per quanto questo gioco possa aver contribuito allo sviluppo di una concezione del mondo, a un modo di intendere la vita e l’universo, difficile mi è pensare che in passato si sia data forma ad una vera e propria filosofia degli scacchi.
Indubitabile è che nella storia del pensiero ci siano stati filosofi che hanno preso in esame nel loro sistema il concetto di gioco. Uno per tutti fu innegabilmente Nietzsche che, trasfigurando il mondo in un fenomeno estetico, sublima l’esistenza in un mistico gioco dionisiaco. Il mondo per egli è infatti frutto dell’eterno e giocoso scontro fra la forma apollinea e l’ebbrezza dionisiaca. Ma avendo dato fondamento filosofico al concetto di gioco, è possibile ora come ora fondare una filosofia degli scacchi?
Qualora fosse possibile queste righe non si propongono di farlo. Bensì la loro esistenza si finalizza al dar luogo a un’evidenza.
Mi propongo infatti di render evidente e di sottolineare quali e quante tematiche filosofiche possono originarsi da una riflessione sul gioco degli scacchi. Iniziando un tal discorso non posso evitare di parlare di Eraclito.
Si osservi il seguente aforisma: “L’eternità è un fanciullo che gioca, muovendo i pezzi sulla scacchiera: di un fanciullo è il regno.” (Eraclito frammento 123)
L’osservazione porta con sé un impressione iniziale. Da questa sorge immediatamente l’implicazione. In essa son presenti concetti famigliari ad ogni filosofia. Ordine, possibilità, necessità … arbitrio. Lo spazio cosmico si eleva a scacchiera, ogni singola esistenza si riduce ad una partita fra le tante. Lo spazio nella sua totalità è dato dalla somma di ogni spazio singolare. La scacchiera universale è l’apoteosi di tutte le partite giocabili. Il divenire è un gioco, un eterno gioco dove nulla permane se non il tutto stesso.
Ma invito il lettore a notare la sottigliezza di tali osservazioni. Se la scacchiera e la partita sono per eccellenza sinonimo di ordine, di calcolo, perchè il regno è di un fanciullo? Chi è questo simbolo eterno di questo eterno girare della ruota? Perchè proprio un fanciullo, che palesemente non ancora ha il calcolo e la ragione per giocare?
Eraclito fu sapiente per eccellenza e non a caso usa tale aforisma per indicarci una grande verità. L’ordine, la ragione, il calcolo, sono il prodotto di forze naturali ancor più originarie. Il fanciullo è simbolo portatore di questa forza prerazionale. Egli identifica lo spirito creatore del gioco del cosmo con le forze irrazionali della natura. Ebbene l’ordine è semplice illusione in quanto esso è un momento del tutto. È solo una fra le infinite configurazioni e possibilità che il seno della natura può dare. Da questo Nietzsche fu portato a concludere che l’apollineo è solo un momento del dionisiaco.
Ma, a questo punto, se la partita che stiamo noi giocando è solo un istante, se siamo convinti che il nostro freddo calcolo, il nostro meticoloso ordine programmatore, ci porti alla vittoria, ignari della nostra illusione, ignari che sia solo un punto nell’arco del tutto, siamo veramente noi a vincere? Se d’un tratto ci rendiamo conto che l’esito della partita era già scritto, perché nell’infinità delle possibili partite deve esserci necessariamente anche la nostra, abbiam giocato noi o siamo stati giocati?
Ma c’è qualcosa che non torna, qualche elemento che abbiamo trascurato. Una premessa data per scontata. Chi l’ha mai detto che il numero delle partite possibili è un numero infinito? Perché se così non fosse, nell’infinità del tempo saremmo costretti a rigiocare una partita. Ma allora chi ci dà la sicurezza che la partita che stiamo giocando non l’abbiamo mai giocata?
Ma proseguiamo nel nostro discorso. Un computer è in grado di calcolare milioni di mosse possibili in pochi minuti, migliaia di combinazioni e di possibili sviluppi ed esiti della partita. Mentre un uomo pensa una manciata di decine di mosse. Ma perché vince l’uomo e non il computer? Evidentemente perché l’uomo fa la mossa giusta. Ma ora sorge spontaneo pensare che nel concetto di “mossa giusta” ci sia qualcosa che abbia poco a che fare con il calcolo. Nella psicologia del gioco vi è chiaramente un aspetto irrazionale, metalogico. Come fa un giocatore a sapere qual è la mossa giusta? Mi permetto l’audacia di sostenere questa tesi: se il numero delle partite possibili è un numero finito mi induco a pensare che nell’infinità del percorso che la coscienza deve fare fra un ciclo di esistenza e l’altra essa abbia già giocato tutte le partite possibili.
È chiaro allora che un giocatore vince non perché un calcolo lo porta alla mossa giusta ma perché ricorda aver già fatto quella mossa. Ecco quel che si potrebbe chiamare l’anamnesi scacchistica. Che Platone giocasse a scacchi?
Ma questa è solo una spiegazione. L’altra potrebbe così darsi: che essendo infinito il numero delle partite comunque la vittoria abbia poco a che fare con il calcolo e che la coscienza del giocatore attinga all’infinito, tramite l’ispirazione alla mossa giusta, che, ripeto, ha a che vedere con qualcosa di non logico. Si è detto che l’ordine e la ragione di una singola partita si mutano in illusioni se considerate in relazione all’irrazionalità del tutto. L’illusione è un concetto che si accosta inevitabilmente al rapporto fra verità e menzogna. Se la partita è un gioco di illusioni, strategia e tattica di gioco sono illusioni che trasformano il giocatore in un ingannatore. Vince che sa mentire meglio. La vittoria è in mano al giocatore che sa indurre al concorrente una strategia che in realtà non ha. La scacchiera in questo modo diventa un palcoscenico, i giocatori degli attori. L’aspetto simulativo del gioco porta con sé una ramificazione di concetti che producono spunti di riflessione formidabili. Simulazioni concentriche e intersoggettività all’interno di altri soggetti fanno credere che vinca chi sa mentire meglio. Vince chi è in grado di fornire immagini false di sé. Inganni strategici, vendette, sacrifici, verità trasformate in menzogna fanno del giocatore un abile regista e attore al tempo stesso.
Ma vorrei fare ora delle osservazioni su alcuni aspetti mistici del gioco degli scacchi. La mistica degli scacchi può essere già indotta dai pochi elementi riflessivi di cui abbiamo accennato sopra. Ma vorrei renderli espliciti. Quando ci si chiede se lo scopo del gioco è realmente vincere, oppure ci interroghiamo sul fatto se siamo noi a giocare oppure no e d’altra parte ci chiediamo cos’è la scelta, perché quella scelta e non un’altra, stiamo discutendo su di un aspetto metascacchistico. Non voglio certo trarre nessun genere di conclusione, non è lo scopo di questo scritto, ma mi permetto di lanciare il seme di nuove fertili riflessioni.
Che ruolo hanno la predestinazione alla vittoria, la rivelazione e il destino nella partita? Ma un’altra cosa. Il giocatore determina la realtà della partita man mano, mossa dopo mossa. Prima della mossa la realtà della partita esiste solo in potenza. Potremmo dire che il giocatore crea la partita nel momento stesso in cui la gioca. Ma se si presenta a noi una scacchiera rigorosamente ordinata, senza che nessun pezzo sia stato mosso dal punto di partenza, ci sorge alla mente che su quella scacchiera esistono già scritte le partite giocabili proprio come una statua è già nel marmo che la contiene. Ma se la partita esiste già sulla scacchiera il giocatore la crea realmente oppure diventa vittima della scacchiera e fa il suo gioco? La scacchiera potrebbe usare il giocatore come mezzo per fondare la sua ragion d’essere.
Non voglio dilungarmi oltre in queste mie riflessioni. Mi basti dire che i contadini dello spirito da sempre seminano dogmi ma ogni qualvolta la terra si inaridisce sempre di nuovo l’aratro del dubbio porterà fertilità e ricchezza alla terra della conoscenza.
Concludo con un ultimo quesito. È mai possibile che vi siano scacchiere all’interno di altre scacchiere? E che intere partite siano solo una mossa di metapartite ancor più grandi? È mai possibile che una scacchiera giochi con sè stessa?
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