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VITA
Orazio è stato uno dei letterati più prolifici di tutta la storia letteraria di Roma. Quinto Orazio Flacco nacque l’8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, una colonia militare romana, al confine fra Apulia e Lucania. La sua era una famiglia di liberti e il padre era probabilmente un possidente di una piccola proprietà, da cui forse trasse spunto Orazio in alcune delle sue opere. Nonostante la famiglia non fosse ricca, fu garantita a Orazio la migliore educazione possibile presso Roma, dove frequentò la scuola del grammatico Orbilio. Costui usava elargire nerbate per convincere i suoi scolari a studiare l’Odusia di Livio Andronico.
Orazio quando ormai aveva terminato l’assimilazione della cultura latina, decise di intraprendere un viaggio lontano da Roma e si recò presso Atene, dove approfondì le sue conoscenze filosofiche ascoltando le lezioni di maestri come Cratippo di Pergamo e di Teomnesto. Attratto dagli ideali della libertas, Orazio si arruolò nelle truppe di Bruto, all’epoca rifugiate ad Atene, lontane dalle persecuzioni di Cesare. Ricevette il comando di una legione con il titolo di tribuno militare, fino a quando la rotta di Filippi nel 42 a.C. interruppe la sua breve carriera militare. Come Alceo, Archiloco e Anacreonte dirà di aver abbandonato lo scudo per salvarsi la vita. Tornato a Roma l’anno successivo per potersi guadagnare da vivere divenne uno scriba quaestorius e da questo anno cominciò a scrivere versi e a mettersi in contatto col mondo dei letterati. Nel 38 a.C. Virgilio e Vario lo presentarono a Mecenate e da quest’anno avviò una lunga collaborazione con il consigliere di Ottaviano che gli donerà un podere nella Sabina, garantendogli una tranquillità economica che gli assicurerà la lontananza dagli affanni e dalla scomodità della vita nell’Urbe.
Da quel momento la sua vita si svolgerà senza particolari eventi rimarchevoli. Pubblicò le sue opere sotto il patronato di Mecenate, a cui ne dedicò diverse, e poi sotto il patronato di Ottaviano. Proprio con quest’ultimo Orazio fu a stretto contatto e fu anche nella posizione di declinare l’invito da parte di Ottaviano a diventare suo segretario personale. Infine nell’anno 0 d.C. Mecenate morì e quando Orazio avrebbe dovuto succedere a Mecenate come suo erede spirituale nella veste informale di rappresentante del “Ministero della propaganda” augustea, lo seguì nella morte due mesi più tardi.
Orazio – Opere
La produzione di Orazio è da dividersi in diversi gruppi: la produzione delle epòdi, delle satire, delle odi e delle epistole. Cominciamo con ordine.
Le Epòdi sono diciassette componimenti scritti nell’arco di tempo che va dal 41 al 30 a.C. e pubblicati insieme al secondo libro delle epistole come vedremo più tardi. Il nome rimanda alla forma metrica del verso: epodo era, nella metrica antica, un verso minore che seguiva ad uno maggiore, formando con esso un distico. Orazio chiamava questo tipo di distico ‘giambo’. La raccolta delle Epòdi è caratterizzata da una varietà di argomenti.
La produzione degli Epòdi, come ci dice lo stesso autore, è legata alla fase giovanile della sua attività poetica e alle condizioni psicologiche a seguito della fuga da Filippi, fatto che lo condusse a provare grande vergogna al pari di Archiloco. Questo il frammento del poeta greco.
[Fonti: Pseudo-Plutarco, Detti dei Lacedemoni 239b; Sesto Empirico, Schizzi Pirroniani III, 216; Aristofane, Pace 1298-1299, 1301 + scolii; Strabone, Geografia X 2, 17; et cetera…]
ἀσπίδι μὲν Σαΐων τις ἀγάλλεται͵ ἣν παρὰ θάμνωι͵
ἔντος ἀμώμητον͵ κάλλιπον οὐκ ἐθέλων·
αὐτὸν δ΄ ἐξεσάωσα. τί μοι μέλει ἀσπὶς ἐκείνη;
ἐρρέτω· ἐξαῦτις κτήσομαι οὐ κακίω.Qualcuno dei Sai si fa bello
dello scudo che, arma irreprensibile,
presso un cespuglio abbandonai, contro il mio volere.
Ma salvai me stesso: che m’importa di quello scudo?
Vada alla malora! Me ne procurerò uno non peggiore
Dunque in questa fase poetica Orazio prenderà a modello il poeta Archiloco come più avanti nelle Odi. Orazio rivendica anzitutto l’abilità versificatoria e il merito di aver trasferito in poesia latina i metri di Archiloco, ma Orazio rivendica soprattutto i diritti dell’originalità affermando di aver aggiornato i temi del poeta greco e “le parole che perseguitavano Licambe” ovvero il padre dell’amata di Archiloco. Orazio, oltre a negare la totale emulazione dal poeta di Paro, vuole anche, allo stesso tempo, segnalare le peculiarità della sua ispirazione archilochea. L’aggressività delle Epòdi oraziane si spingeva verso personaggi scoloriti, anonimi o addirittura fittizi. Lo spirito archilocheo era però per Orazio un esempio da seguire per comunicare le passioni e le angosce proprie dell’animo umano.
Ci sono giunti diversi libri di Satire: un primo libro di dieci componimenti dedicato a Mecenate del 35 a.C.; un secondo libro pubblicato assieme alle Epòdi. In totale le satire contano circa 2000 versi. Gli argomenti sono di tipo letterario – programmatico, ad esempio sono presenti diari di viaggi, un trattato sull’incontentabilità e dell’avarizia umana, una riflessione con Mecenate della propria condizione sociale. La massiccia produzione di Satire lascia intendere la grande varietà argomenti e temi che era capace di sondare e considerare il poeta di Venosa. Rispetto alla perdurante emulazione dei modelli greci, Quintiliano sosteneva che la satura tota nostra est (vedi l’articolo su Lucilio e la satira) e dunque non riusciva a rintracciare autori greci che fossero considerabili alla base di questo genere letterario già dai tempi di Lucilio, sicché esso è da considerarsi arte latina. Lo stesso Orazio indica in quest’ultimo l’inventore della satira come genere letterario. A Lucilio veniva fatta risalire un’importantissima caratteristica dell’esametro, vale a dire la scelta del metro esametro. Inoltre l’uso della satira come strumento di aggressione nei confronti di una persona o di un concetto non caro al componitore delle battute era anch’essa attribuita all’illustre precedente. Più importante ancora era l’elemento autobiografico: anche nella satira luciliana si ospitavano fatti, personaggi e osservazioni connesse alla vita personale dell’autore. La satira di Orazio si ispirava dunque al modello latino di Lucilio pur intravedendo la differenza che lo separava dall’inventore del genere. I bersagli polemici della satira di Orazio erano diversi da quelli di Lucilio. Orazio d’altronde era un liberto e guardava piuttosto a un piccolo mondo di ‘irregolari’ come le cortigiane, i parassiti della società, gli imbroglioni e i filosofi di strada. La buona educazione tramandatagli dal padre lo manteneva lontano dai vizi e la morale oraziana prende spunto proprio da ciò. Orazio ricerca l’indipendenza interiore da ogni condizionamento esterno che si collega all’idea epicurea che la felicità si consegue soddisfacendo i bisogni naturali e necessari: questo concetto è detto autàrcheia. L’altro punto fondamentale per Orazio era la metriotes cioè la moderazione e il giusto mezzo, concetto estrapolato dalla scuola peripatetica di Cratippo di Pergamo. Infine l’epicureismo è la corrente che domina nella filosofia oraziana e che ne condizionerà la vita: andrà a vivere in un podere di campagna lontano dal caos “cittadino” per ricercare la sua felicità interiore stando bene, bevendo vino, non facendosi mancare il dialogo colto con gli amici. All’epicureismo si collegano strettamente le satire 1,2 contro l’adulterio e le sue inutili follie. La ricerca morale caratterizza le satire oraziane che diventano delle satire “diatribiche” quando introduce discussioni e argomentazioni.
La satira, parafrasando Orazio, non è vera poesia. Essa è molto più vicina alla prosa ed è distinta da quest’ultima solo per il metro utilizzato. Il linguaggio colto della conversazione che egli intense riprodurre è quello adeguato ad esprimere le confidenze di un uomo di mondo elegante ed istruito. Orazio vuole distinguersi da Lucilio per la sua lingua disciplinata, semplice ed elegante
Per quel che concerne le Odi, esse sono una raccolta di tre libri contenenti 88 carmi in totale. Questi furono pubblicati nel 23 a.C. dopo che Orazio vi lavorò per circa sette anni. Questi sono i componimenti che fanno parte della lirica oraziana e dopo qualche anno aggiunse ai tre libri un quarto in cui sperimenta varietà metriche come strofa alcaica, la strofa saffica e la strofa asclepiadea nelle sue varie forme. In totale i quattro libri di Orazio contano 3034 versi a cui si aggiungono i 76 versi di un Carmen Saeculare. Le odi quasi sempre sono impostante dialogicamente e raramente danno voce a libere meditazioni; piuttosto sono rivolte ad un “tu” che può essere un personaggio reale, immaginario, un dio, una Musa, una collettività di persone o addirittura un oggetto inanimato.
Per la poesia augustea in particolare rispetto alla poesia immediatamente precedente, era forte l’influenza degli artisti greci e in particolare agli artisti di Alessandria. Lo stesso Orazio, per le sue Odi, si ispirò fortemente ad Alceo (sec. VII-VI a. C.) il poeta di Mitilene coevo di Saffo. Nel richiamarsi ad Alceo, Orazio non si rifaceva solamente a una prassi augustea, ma approfittava della grandezza del suo modello per avvalorare la coniugazione di componenti diverse del suo mondo lirico. Altri modelli furono Saffo, Anacreonte, la lirica corale in generale e Pindaro.
L’immagine di Orazio come poeta dell’equilibrio sereno, del distacco dalla passione e della moderazione è ben consolidata nell’immaginario comune ed è anche abbastanza aderente alla realtà. Il fulcro di questa lirica era la meditazione filosofica, specificamente quella epicurea. Il centro nodale e tematico della poesia oraziana, come nel De rerum natura di Lucrezio, era la brevità della vita. Orazio invitava e invita tutti alla necessità di appropriarsi delle gioie del momento (Carpe diem), senza perdersi nell’inutile gioco delle speranze, dei progetti o delle paure. Epicuro stesso difendeva l’idea che si nascesse una volta sola perché più non c’era concesso. La felicità dell’autarkeia è sinonimo di serenità d’animo.
Altro tema importante di Orazio era l’aurea mediocritas cioè la caratteristica di chi sa fuggire tutti gli eccessi e adattarsi ad ogni evenienza della sorte: fortuna di Orazio fu quella di aver conosciuto Mecenate, che gli concesse molti beni. Contro le angosce della vita si può solo ingaggiare una lotta virile che richiede energia e grande eroismo per trasformare l’inquietudine e l’amarezza in accettazione del rischio.
L’altro gruppo delle Odi oraziane è caratterizzato dalla poesia civile che celebra personaggi, avvenimenti e miti del regime augusteo. Questa poesia è detta anche “celebrativa” tanto cara ad Ennio e poi a Virgilio. Questa lirica, tuttavia, non si può regalare a semplice propaganda ma riflettono i temi culturali e le successive fasi dell’ideologia del principato che saranno preziose per i sociologi e per gli storici futuri. Dell’ideologia augusteala lirica civile oraziana condivide l’impostazione moralistica: la crisi era infatti fatta derivare da una decadenza dei costumi e dall’abbandono di quegli antichi valori etico-politici e religiosi che avevano fatto la grandezza della Roma pre-cesariana.
Grazie alla sua varietà tematica, dunque, abbiamo diversi tipi di odi che possiamo classificare in carmi conviviali come inviti, descrizioni dei preparativi alla festa, con il tradizionale schema del simposio greco romano. Ma la poesia amorosa di Orazio occupa quasi un quarto delle Odi e possono essere caratterizzate come erotiche. A differenza di Catullo, Orazio sembra distaccarsi in maniera ironica dalle passioni. L’amore viene invocato attraverso serenate, incontri, giuramenti, schermaglie, vita galante e sportiva. In ogni caso l’ironia del poeta, che sorride bonariamente sulla figura del giovane innamorato, non rinnega del tutto la passione ma ne riconosce la triste crudeltà e la malinconia pungente.
Un altro tipo di componimento presente nelle Odi oraziane è l’inno che, rispetto a quello greco e latino arcaico, conserva il formulario e l’invocazione in seconda persona. È denso però di sviluppo letterario. Altre odi invece non sono semplici da catalogare all’interno di una categoria comune, per via del fatto che Orazio amava sperimentare e mischiare i generi. Inoltre esistono una serie di temi ricorrenti come il paesaggio della campagna, concepito come loecus amoenus in cui fuggire dal caos cittadino. Il paesaggio agreste è rappresentato in Orazio da un panorama campagnolo italico, dove andò a vivere grazie alla donazione di Mecenate. Un altro “luogo” caro ad Orazio è l’angolus: questo spazio coincide con il paesaggio italico e al poeta basta un qualunque pezzo di campagna o una solitaria spiaggia sul mare per trovare la felicità. Inoltre l’angolus è il luogo destinato al canto, al vino e alla saggezza. Importanti temi sono, ancora, l’amicizia e la vocazione poetica, ovvero l’ispirazione prodotta dalle Muse.
Lo stile di Orazio come abbiamo visto è molto semplice e essenziale, con un linguaggio capace di cogliere da subito il mordente della tematica presa in considerazione. Si parla di “perfetta semplicità”. La sintassi ama invece le ellissi, molte costruzioni di origini greche, l’iperbato e spesso e volentieri anche l’enjambement. Il lessico all’apparenza semplice, è invece studiato affinché appaia nella lirica come un lessico dal nuovo significato: Orazio toglierà ogni patina “cittadina” alle parole e le libererà dall’opaca patina dell’abitudine.
Orazio, dopo i primi tre libri delle Odi, si impegnò a scrivere anche due libri di Epistole. Erano lettere rivolte verso amici e conoscenti. La prima, l’epistola proemiale, era dedicata a Mecenate, ed era una specie di spiegazione all’utilizzo di questa nuova forma letteraria. Altre lettere erano indirizzate a Omero, Lollio, agli amici di Tivero, a Tibullo, ecc. Il secondo libro fu pubblicato postumo e scritto fra il 19 e il 13 a.C.; qui sono contenute due lunghe epistole indirizzate una ad Augusto ed una a Giulio Floro, storico e poeta romano di origini africane.
Dopo la grande esperienza lirica, Orazio tornerà ae conversazioni scritte in esametri già ritrovate nelle Epòdi e nelle Satire. Fu lo stesso Orazio a definire le sue Epistole sermones vale a dire ‘conversazioni’. Queste lettere nella maggioranza dei casi non facevano parte di una vera conversazione epistolare, come in Cicerone, pur non escludendo che qualcuna probabilmente era stata spedita, ma piuttosto erano pensate come opere di letteratura destinate al pubblico del lettori. Dunque possiamo parlare ancora una volta di un nuovo genere letterario perché nessuno, prima di Orazio, aveva mai sperimentato l’epistola in versi come forma letteraria. Lo stesso poeta non si richiama a nessun modello, ma si dichiara inventor del genere. Al contrario delle satire, che erano sì conversazioni, ma destinate a un pubblico colto cittadino, le Epistole erano indirizzate verso una periferia rustica (l’angulus) e hanno il sapore di meditazioni filosofiche.
La raccolta delle lettere appare alla fine come una sorta di discorso didascalico già visto in Lucrezio dai mutuati tratti significativi. Il rapporto autore-lettore nel De rerum natura era vivo e drammatico. In Orazio questo rapporto diventa il tema stesso del discorso in una sorta di meta-letterarietà. L’autore, Orazio, insegna ai lettori l’amore di una vita ritirata e i suoi lettori diventano automaticamente suoi discepoli. La rinuncia alla vita sociale e all’ottimismo etico è simboleggiata ancora una volta dalla fuga dalla città alla sua residenza nella campagna Sabina. È, sì, un ritiro inquieto, ma per lo meno rimane lontano dalle tensioni sociali e dalle passioni, che Orazio considera come condizioni di infelicità prive di senso. Il bisogno di pensare solo a se stessi è per lui in questo momento della sua vita, più necessario che mai, ma neanche l’autarcheia satiresca garantisce più al poeta un atteggiamento coerente e costante che lo fa oscillare, senza trovare un punto d’equilibrio, tra il rigore morale e l’edonismo su cui avverte una forte attrazione.
La Fortuna di Orazio
Orazio nonostante qualche incomprensione e qualche passeggere perplessità, fu apprezzato dal suo pubblico contemporaneo, tanto poi da essere riconosciuto uno dei grandi autori della letteratura latina. Ma il suo verso successo e la sua vera fama fu postuma. Come Virgilio, anche le opere di Orazio facevano parte dei testi alla base dell’istruzione in età imperiale. Marco Valerio Probo, un redattore di testi e opere di epoca neroniana, diffuse le sue opere in tutto l’impero con una particolare cura. In epoca medievale Orazio fu ben conosciuto dall’età carolingia, anche se rispetto a Virgilio ebbe un po’ meno attenzione: si leggevano soprattutto le Epistole e le Satire. Nel La divina commedia “Orazio satiro” è fra i poeti che Dante inserisce nel limbo. Più avanti nei secoli Orazio lirico fu imitato da Petrarca e poi in epoca rinascimentale era ancora il punto di riferimento della letteratura classicista. Nel settecento la cultura illuministica e le scuole di stampo arcadico esaltavano la figura di Orazio nel quale vedevano un gran rappresentante. Anche se meno considerato in età romantica, rimase caro a Leopardi e, in seguito, a Giosuè Carducci che, con le Odi barbare, inaugurò una nuova stagione della fortuna oraziana.
BIBLIOGRAFIA
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Su www.scuolafilosofica.com articoli di letteratura latina dal 240 a.C. in poi:
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Pili W., Letteratura latina alla fine della repubblica romana, www.scuolafilosofica.com, 2013
Pili W., Oratoria e storiografia in epoca della Roma arcaica: Ennio, Catone e altre figure., www.scuolafilosofica.com, 2013
Pili W., Da Livio Andronico a Plauto, passando per Nevio e Cecilio Stazio: gli albori della letteratura latina, www.scuolafilosofica.com, 2013
Pili W., Origini della letteratura latina: il teatro romano arcaico e la figura di Livio Andronico, www.scuolafilosofica.com, 2013-02-12
Per quel che riguarda la storia romana:
Pili W., Storia romana parte I, www.scuolafilosofica.com, 2012.
Pili W., Storia romana parte II, www.scuolafilosofica.com, 2012.
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