1. Nota biografica.
Gemino di Rodi visse molto probabilmente nel I secolo a.C., comunque tra il I secolo a.C. e il I d.C.; fu scienziato (in particolare, astronomo) e filosofo greco. Di lui ci rimane una sola opera intera, chiamata “Introduzione ai fenomeni”. Si tratta di una introduzione essoterica all’astronomia. Non ci è pervenuto invece il suo scritto “Sulla teoria delle scienze matematiche”, che, probabilmente, era la sua opera maggiore. Proclo, filosofo neoplatonico del V secolo d.C., ne fece uso nel suo importante commento agli “Elementi” di Euclide. Di Gemino si dice che fosse uno stoico, seguace e discepolo del filosofo, scienziato e storico Posidonio.
2. Pensiero sulla scienza; da Pitagora a Tolomeo
I pitagorici pensavano che la struttura fondamentale dell’universo fosse regolata secondo un’armonia di tipo matematico. Conoscere questa armonia significava, dunque, avere accesso alla comprensione profonda della realtà. Questo orientamento filosofico implica l’idea, valida per la pratica della scienza, che la contemplazione dell’idea astratta è maggiormente centrale rispetto all’indagine e all’osservazione dei fenomeni empirici. Tale orientamento è, dunque, relativo alla metodologia normativa su cui si deve muovere la scienza nella sua pratica di scoperta, atteggiamento molto simile a quello di Platone, che diffidava della conoscenza empirica perché insufficiente a raggiungere la verità, a favore della conoscenza astratta delle Idee, laddove le idee erano il vero e unico oggetto di conoscenza. Si tratterebbe dunque di svelare lo schema, l’ordine, l’armonia dell’universo sottostanti ai fenomeni empiricamente osservati.
Sappiamo che Platone, nel Timeo, spiegò “pitagoricamente” la materia e le sue proprietà in termini puramente geometrici. Egli individuò una certa correlazione tra i cinque elementi (fuoco, terra, aria, acqua e materia celeste) e i cinque solidi regolari (rispettivamente tetraedo, cubo, ottaedro, icosaedro e dodecaedro), motivando ciascuna correlazione con argomenti che oggi appaiono piuttosto bizzarri.
Il pitagorico crede, in sostanza, di poter spiegare l’essenza delle cose e delle relazioni tra le cose per il fatto di aver individuato alcune relazioni di tipo matematico che si adatterebbero ad esse, ma che, per lui, sarebbero, di fatto, quelle cose e quelle relazioni tra cose.
Qui veniamo a Gemino di Rodi. Il suo posto nella filosofia della scienza sarebbe quello di avere esposto per primo una visione opposta a quella pitagorica per quanto concerne la spiegazione dei fenomeni.
Gemino di Rodi distinse nettamente le ipotesi matematiche dalle teorie sulla struttura del reale. Ciò significa distinguere tra l’operazione del “salvare i fenomeni” attraverso l’identificazione di relazioni matematiche che si soprapporrebbero ad essi, e l’operazione dello spiegare effettivamente l’essenza dei fenomeni, ovvero arrivare alla conoscenza del perché un certo fenomeno è quello che è. I pitagorici, in questo senso, per Gemino, non fornirebbero alcuna spiegazione del reale tracciando ipotesi in grado di salvare i fenomeni. I modelli matematici pitagorici delle relazioni tra fenomeni sarebbero dunque praticamente validi ma non necessariamente veri.
Da qui, in astronomia, nacque l’idea di potersi limitare all’invenzione di modelli matematici per salvare i fenomeni celesti, ovvero per descrivere ipoteticamente il loro movimento salvaguardandone l’apparenza, senza per questo, dunque, fornire una teoria su come di fatto si muovano i pianeti, su quale sia, di fatto, la loro natura. Tolomeo, nel II secolo, avrebbe, anche se solo in parte della sua riflessione e del suo lavoro, accettato questa idea, affermando di essere esclusivamente interessato a fornire il modello più conveniente del moto dei pianeti, pure tra diversi modelli sostanzialmente equivalenti nel salvare il fenomeno da un punto di vista matematico. Da qui, a noi, giunge il flebile lamento del pragmatista.
Breve bibliografia
– John Loose, Filosofia della scienza. Il Saggiatore, Milano 2009.
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