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Tipologie di terreno: accessibile, a trappola non risolutivo, stretto, scosceso, distante. I sei pericoli delle operazioni militari: la fuga per errato uso della forza; insubordinazione per via di ufficiali inetti; debolezza per via di ufficiali abili e truppe incapaci; frana per via dell’eccesso di audacia di alcuni; disordine per via di ordini confusi; sconfitta per la mancata valutazione corretta. Lo scopo delle azioni militari non consiste nel quello di conseguire maggiore o minore fama per puro sfoggio di abilità. Il generale deve essere capace di fermezza e di essere ammirato, perché nessuna delle due virtù è sufficiente di per sé.
Il capitolo 10 tratta di tre temi: le forme del terreno, i rischi conseguenti alle manovre militari e il ruolo delle virtù del generale e di come costui debba considerare i suoi uomini e il suo rapporto col sovrano. Si tratta, in generale, di un capitolo molto prezioso perché i suoi principi possono essere facilmente estesi, quasi senza variazioni, alle attività individuali.
Le forme del terreno sono sostanziali per vincere senza combattere. I terreni sono distinti non in base alla loro natura geofisica ma in base alle conseguenze che essi possono avere sulle manovre militari. Un terreno accessibile è utile se possiamo occuparlo per primi, ma è inutile nel caso contrario. Un terreno scosceso è utile, se ne possiamo occupare l’altura, mentre un terreno a trappola è pericoloso perché da esso non possiamo ritirarci, qualora lo volessimo. Giusto per citare un esempio di come Sun Tzu tratteggia una tipologia di terreno:
Quando io e il nemico possiamo entrambi procedere, si tratta di un terreno “accessibile”.
Nel terreno accessibile –
Fai in modo di occupare per primo posizioni elevate e dal lato yang.
E proteggi le strade su cui far pervenire i rifornimenti.
Combatti solo se la battaglia si prospetta vantaggiosa.
Quando posso procedere, ma difficilmente potrò tornare in dietro, si tratta di un terreno “a trappola”.
Nel terreno a trappola –
Posso vincere il nemico se questi è impreparato a una mia imboscata.
ma se il nemico è preparato alla mia imboscata e non vinco,
Difficilmente riuscirà a ritirarmi.
Non è un terreno vantaggioso.[1]
Ancora una volta, ci troviamo di fronte all’applicazione del modo di procedere nell’analisi da parte di Sun Tzu, metodo che potremmo considerare canonico: indicare un elemento fondamentale non è sufficiente, se non si considerano tutte le sue conseguenze da ambo le parti della barricata. Un terreno, in generale, offre rischi e opportunità in base al modo di concepirlo.
La persistenza del duplice punto di vista è la chiave interpretativa per comprendere la profondità dell’analisi di Sun Tzu: egli ci sprona continuamente a valutare le entità in gioco da un punto di vista sopraelevato, rispetto al campo della contesa e dei singolari punti di vista, per vederlo da un punto di vista generale che vede la compenetrazione delle visioni opposte. Noi non abbiamo una posizione sopraelevata rispetto al nemico, non siamo più bravi o più competenti di lui né la realtà stabilisce che la nostra presenza sia più valevole di quella del nemico. Il punto chiave sta nel considerare la guerra e il conflitto come un’attività duplice in cui due forze contrapposte si sfidano e l’una cerca di sopraffare l’altra e viceversa. Solo congiungendo le due prospettive è possibile prevedere con efficacia l’andamento dello scontro, ben di più che se ci limitassimo a considerare il nostro piano prospettico privilegiato: questo è conoscere se stessi, ma non il nemico ed è indispensabile ma non sufficiente per giungere alla vittoria. Ma la conoscenza del nemico non è ancora sufficiente. Per questo il capitolo si chiude con le immortali parole:
E così, si dice –
Se conosci il nemico e te stesso,
La vittoria sarà indubbia.
Se conosci la terra e il cielo,
La vittoria sarà totale.[2]
La maggior parte delle persone prende delle decisioni irrazionali sia in base al principio di massimizzazione dell’utilità, sia in base al principio di economia. Esse sono spesso dispersive, si lasciano guidare dall’odio e dalle passioni istintuali, rendendole semplicemente meschine e improduttive, anche dal loro stesso egoistico punto di vista. E il motivo è che non si curano di prendere in considerazione il punto di vista dell’altro, ritenendo il loro privilegiato per diritto di nascita. Si alleano con i potenti quando gli fa comodo, e cercano di spodestarli quando sono più forti di chi li comanda. Si lasciano bastonare volentieri quando sono isolati, ma ruggiscono contro le forze dell’ordine quando sono in blocco. Essi sono la rovina di sé stessi, perché incapaci di prendere decisioni sagge. La saggezza dell’arte militare è da essi ignorata e, così, sono solo capaci di produrre guerre logoranti fini a se stesse. Il mondo sarebbe meglio di quello che è, se le piccole guerre e i piccoli conflitti quotidiani fossero analizzati alla luce fredda e pacata dell’arte del conflitto, in modo da riportare il massimo vantaggio. Ma non è così. La statistica ci insegna solo che le rivendicazioni sono di piccolo taglio, sono miopi e rendono infelici sia chi le sostiene, sia chi le subisce. Si fa presto a parlare di guerre tra grandi eserciti, ma non si sottovaluterà mai abbastanza lo stato permanente di conflitto a cui soggiacciono continuamente gli individui, schiavi dei loro stessi primordiali strumenti che tentano di giustificare solo per non perdere quella istintiva fiducia in se stessi, senza la quale sarebbe solo loro aperta la strada del suicidio. La verità è questa, il mondo è irrazionale in quasi tutti i suoi dettagli. Se solo si evitassero gli sperperi inutili di energia, se almeno si intraprendessero guerre utili già sarebbe un passo verso un mondo migliore. Ed è per questo che bisogna saper difendersi: l’arte della difesa, come ultimo baluardo contro l’assurdità gratuita del mondo, questo è quello che, indirettamente, ci sta insegnando Sun Tzu. Difendersi per massimizzare il proprio utile e, in un certo senso, anche quello del nemico.
La statica della guerra prevede l’analisi degli elementi perduranti e delle loro proprietà tanto nel nostro schieramento quanto in quello avversario, ma solo dalla prospettiva di uno spettatore esterno è possibile cogliere in tutta la sua profondità la dinamica del conflitto. Questo aspetto fu consapevolmente e lucidamente esposto da Emanuel Lasker nel suo più volte citato La lotta:
[…] Immaginiamo un giudice che potremmo chiamare Macheo, un personaggio totalmente ideale che per svolgere il suo compito è dotato della perfezione della macheide [della capacità di combattere secondo le condizioni delle azioni militari giustificate N.d.r.]. Diciamo che la funzione di Macheo sarebbe quella di seguire lo scontro espresso nel linguaggio delle manovre e di emettere le sue decisioni attribuendo successi e vittorie alle parti contendenti.[3]
Dal punto di vista individuale le condizioni sono le stesse, così che si può concludere che solo quando sappiamo con certezza riconoscere le circostanze allora possiamo anche considerare la tipologia di terreno in cui ci siamo imbattuti.
Il secondo tema riguarda i pericoli a cui un generale può andare incontro: essi non sono determinati dal fato ma sono tutti evitabili dal generale accorto: l’indisciplina degli ufficiali, la debolezza delle truppe, l’impreparazione degli organismi militari, o l’incapacità di farsi ubbidire, come quella di impartire ordini confusi, sono tutte attività da evitare, qualora si voglia evitare di crearsi debolezze gratuite.
E così, le operazioni militari sono sottoposte a sei pericoli: fuga, insubordinazione, debolezza, frana, disordine e sconfitta.
Questi sei pericoli non sono calamità del destino,
Ma dipendono dal generale.[4]
I sei pericoli vengono illustrati, come sempre, prima descrivendo il fatto e, poi, mostrandone le sue innumerevoli conseguenze. Solo comprendendo la natura di tutte le conseguenze di un fenomeno è possibile analizzarne compiutamente tutte le proprietà. Imparare a ragionare in prospettiva sia in lungo (nel tempo), sia in largo (negli effetti) è di fondamentale importanza per capire gli eventi, come sfruttarli e come anticiparli. Per questo conoscere le forme del terreno è così importante.
Quando il generale è debole e non ha autorità,
I suoi ordini e le sue intenzioni non sono chiari,
Gli ufficiali e le truppe saranno incostanti,
Le formazioni nelle operazioni militari confuse.
Questo è il cosidetto “disordine”.[5]
In fine viene definito il ruolo del generale, che è da considerarsi come l’uomo capace di ottenere vantaggi per la nazione, mediante l’esercizio delle sue stesse virtù. Costui deve seguire delle norme morali molto rigide, sebbene non siano propriamente quelle che normalmente si attribuirebbero ad un uomo buono. Il generale deve sapere destreggiarsi nell’inganno, deve saper dissimulare le sue intenzioni, deve colpire dove fa più male, deve saper gestire le situazioni difficili e talvolta deve prendere la decisione di abbattere il nemico. Tuttavia, il suo codice è molto preciso e rigido. Il suo unico scopo è la vittoria di un nemico intatto, la sua abilità sta nell’ottenerlo mediante i mezzi idonei. Così, egli rifugge la fama come premio per le sue imprese, egli non è interessato a sé più di quanto lo sia per la nazione che deve sostenere, proteggere e servire:
E così, egli avanza senza cercare fama.
Si ritira senza temere la vergogna,
Cercando solo di risparmiare i suoi uomini
E di procurare il massimo vantaggio al suo sovrano.
Egli è il tesoro della Nazione.[6]
“Egli è il tesoro della Nazione” nel senso che è disinteressato ai propri piccoli vantaggi, ma è interessato esclusivamente verso i benefici che può procurare al proprio Stato. Sun Tzu considererebbe volentieri un grande generale come il Cavaliere dello Spirito, colui che prende in mano le redini dello spirito del tempo per portarlo avanti inesorabilmente, come Napoleone per Hegel.
Se il generale è stato scelto mediante i precetti di Sun Tzu (presentati nel capitolo 1 parte II), egli è “il tesoro della Nazione”, sicché farà esclusivamente il bene dello Stato. In questo contesto, dunque, il generale è arbitro di ogni decisione e non il sovrano. Se il Sovrano stabilisce un obbiettivo fuori portata, se impone un ordine insensato, il generale è autorizzato a soprassedere e procedere come meglio crede. Il principio è chiaro: una volta stabilito il fine, non spetta più all’organo preposto a decidere gli obbiettivi definire i mezzi per cui raggiungere lo scopo, a questo pensa la “Ragion pratica” incarnata nel generale, che deve sapere a quali condizioni è possibile attaccare. Solo lui può avere voce in capitolo su questo perché è l’unico ad avere le virtù necessarie per prendere le decisioni belliche giustificate:
E così, quando analizzando il Tao della battaglia si prevede vittoria certa, nonostante il sovrano decida di non combattere, il generale può con sicurezza lanciare le sue truppe all’assalto.
Quando il Tao della battaglia, si prevede una sconfitta, nonostante il sovrano decida di combattere, il generale può ragionevolmente rifiutarsi di eseguire quest’ordine.[7]
[1] Ivi., Cit., p. 41.
[2] Ivi., Cit., p. 45.
[3] Lasker E., (1907), La lotta, Scacchi e scienze applicate, Venezia, 2005, p. 89.
[4] Sun Tzu, L’arte della guerra, Mondadori, Milano, 2003, p. 42.
[5] Ivi., Cit., p. 43.
[6] Ivi., Cit., p. 44.
[7] Ivi., Cit., p. 44.
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