I confini logici della matematica è un libro di logica matematica dai molteplici intenti e con un chiaro metodo analitico. Gli scopi che l’autore si propone sono diversi e tutti variamente ambiziosi: chiarificare la terminologia di una disciplina solo apparentemente trasparente, mediante argomentazioni metamatematiche; mettere in luce i limiti e i pregi di un approccio puramente sintattico alla matematica e, conseguentemente, la necessaria integrazione di un’analisi metamatematica alla logica matematica; precisare i problemi legati alla Teoria formale degli Insiemi, sia in termini epistemologici che di coerenza; mostrare i limiti di alcune impostazioni correnti in logica matematica; chiarire alcuni punti controversi, alla luce dell’analisi, su entrambi i Teoremi di Gödel. Questi scopi sono, più propriamente, i nuclei tematici più salienti ma, ad una attenta lettura, potrebbero risultare una selezione ingiustificabilmente esemplificatrice. In realtà, si tratta di un’opera la cui complessità è lasciata intravedere continuamente in ogni pagina, nonostante possa apparire sfuggevole alla luce della sua compattezza.
Le ragioni di esistenza del libro vengono enunciate nella prefazione dell’autore. Egli era partito dalla curiosità intellettuale verso i teoremi di Gödel e dalla necessità di chiarire a se stesso fino a che punto si può essere certi del fondamento delle proprie deduzioni logiche. Eppure, nonostante la logica matematica sia una disciplina formale (termine qui usato in modo intuitivo), fondata su delle convenzioni condivise, rimane il fatto che spesso non sia così agevole nella comprensione:
Il percorso che mi ha portato alla sua comprensione si è reso particolarmente difficoltoso essenzialmente per tre motivi. Il primo è che il tema, come spesso succede in Matematica, non si presta ad essere isolato: per comprendere bene ogni particolare, bisogna prima aver chiaro cos’è il modello di una Teoria, la metamatematica, il Teorema di completezza semantica, le funzioni ricorsive…; in breve, avere almeno un’idea approssimativa, ma solida dei fondamenti della Logica. Il secondo motivo è dovuto all’ambiguità della terminologia usata; sembra davvero incredibile che in un argomento così delicato, che richiederebbe il massimo della precisione, si continui ad adoperare un linguaggio così propenso alla confusione (…). Il terzo motivo è costituito dagli equivoci, scorrettezze ed errori che abbiamo creduto riscontrare in diversi temi. Per andare avanti, dopo mesi di riflessioni e ricerche di nuove pubblicazioni, non restava che avere la presunzione di correggerli o rassegnarsi a non comprendere; ovviamente esponendosi alla possibilità di trovarci noi stessi in errore. Alcune di tali revisioni e correzioni hanno un carattere marginale, altre più fondamentale. Tutto ciò giustifica le ragioni stesse del libro; che dunque, seppur scritto con l’obbiettivo irrinunciabile di essere pienamente comprensibile al lettore inesperto, introduce anche alcune novità in Logica.[1]
Queste giustificazioni sorreggono gli intenti e mostrano la superficie e il punto più profondo, al contempo, del lavoro. Da un lato, infatti, siamo di fronte ad un’opera che vuole portare un’analisi dal quasi vuoto al pieno e il ‘quasi’ sta per il fatto che alcune basilari convenzioni sul linguaggio naturale devono essere già preconosciute; d’altra parte, la conoscenza almeno sommaria degli argomenti trattati senz’altro agevola la comprensione delle molte sfumature del libro. Da un altro lato, però, l’opera porta avanti diversi intenti concomitanti che fanno sì che la lettura non costituisca solo una guida per il lettore “inesperto”, ma può fornire importanti chiarimenti anche per gli specialisti. Questo secondo fatto, che potrebbe passare inosservato dalla dichiarazione di intenti esplicita dell’autore in Prefazione, non solo non è di secondaria importanza, ma è tra gli scopi principali del lavoro.
In questa dimensione, la metamatematica, cioè l’analisi semantica delle questioni interne alla logica matematica, diventa duplice perché è sia metodo (chiarificazione terminologica dei concetti e termini fondamentali) sia scopo (la metamatematica è, in fondo, l’oggetto di analisi dello stesso libro laddove la matematica è quasi sempre vista attraverso un’analisi semantica). Sin da subito sarà bene sottolineare che molto spesso ci si aspetta che un’analisi rigorosa, quantomeno in logica e in matematica, sia di natura pressochè sintattica, laddove l’esibizione di simboli e di regole grammaticali e deduttive dovrebbe garantire l’assenza di ambiguità e la massima chiarezza. In questo libro l’apparato sintattico è ridotto all’osso, all’essenziale, eppure questo non lo rende meno impegnato e meno rigoroso, non solo filosoficamente. E questo mostra un punto fondamentale, caro all’autore: il fatto che l’analisi venga condotta essenzialmente per via semantica, non solo non ne nega il valore e l’attendibilità, ma esige che essa sia fondata su un uso preciso ed oculato della terminologia; cosa che, molto spesso passa inosservata in molte pubblicazioni del settore con esiti, spesso nefasti come, d’altronde, sottolinea l’autore stesso nella citata Prefazione e in più punti del libro (specialmente nella Parte III. Incompletezza e indecidibilità).
Il libro è diviso in tre parti: Parte I. Sistemi assiomatici; Parte II. Completezza semantica e Teoria degli insiemi; Parte III. Incompletezza e indecidibilità. Nella prima parte l’autore fornisce le basi terminologiche della metamatematica, in modo da delucidare i concetti fondamentali e, al tempo stesso, più sfuggenti. La prima cosa da sottolineare, in questa sede, è lo scopo generale dell’assiomatica formale:
Ma l’assiomatica formale non fa altro che rimuovere ogni semanticità dal linguaggio puramente simbolico delle proposizioni matematiche, separando nettamente dal linguaggio interpretato e da quello impiegato nelle regole grammaticali e di deduzione. E’ ciò sufficiente a concludere, come si sente spesso dire, che nei Sistemi formali ogni ricorso all’intuito è eliminato?[2]
La domanda ci introduce immediatamente al problema della definizione della metamatematica, dei suoi scopi e della sua importanza:
Per prima cosa ci chiederemmo: si può rimuovere il valore semantico alle regole grammaticali e di deduzione? L’ovvia risposta è no. Una Teoria matematica la si definisce per ottenere nuove proposizioni; questa caratteristica è tanto naturale che può considerarsi tra le proprietà definitorie di un Sistema matematico.[3]
E’ necessario avere un linguaggio semantico che definisca le convenzioni del linguaggio formale e le sue regole di deduzione, nonostante questo sia il linguaggio naturale. Il punto è rimarchevole perché, nonostante le apparenze, segna una presa di posizione netta all’interno della disciplina logica ed è lecito, in questa sede, sottolineare il motivo. Frege, uno dei primi logici e filosofi del linguaggio in senso moderno, considerato dai più, non senza buone ragioni, il padre della filosofia analitica, riteneva che in logica bisognasse eliminare totalmente il linguaggio naturale perché ambiguo (cioè i suoi termini ammettono più significati) e perché spesso vago (cioè i suoi termini ammettono sfumature che pongono problemi all’assegnazione di soli due valori di verità alle proposizioni). Ad esempio, la parola “cavallo” è ambigua perché ammette almeno tre significati, mentre la parola “bello” è vaga perché, pur (forse) ammettendo un solo significato, essa ammette più gradi in base ai quali la proprietà predicata è tanto più o meno validamente propria dell’oggetto denotato. Secondo Frege, all’interno della logica matematica era assolutamente necessario evitare l’uso del linguaggio naturale per sostituirlo con uno puramente sintattico e, a tal scopo, egli propose la sua Ideografia, la cui importanza è difficilmente riassumibile in pochi passi. La posizione, per così dire, radicale di Frege godette di un indiscusso successo. Hilbert, ad esempio, Gödel e Tarski, in particolare quest’ultimo, sono tutti convinti che la semantica, all’interno della logica matematica, debba essere quantomeno limitata il più possibile, quando non si può proprio eliminare del tutto. Ancora attualmente una cospicua linea di ricerca considera quasi ovvia, questa impostazione. A tal proposito, dunque, il pensiero di Ragunì sembra divergere, almeno in parte; o, almeno, intende considerare molto criticamente i limiti e le possibilità di tale approccio generale e le sue aspettative.
Innanzi tutto, egli sottolinea l’imprescindibilità dell’uso della semantica in sede metamatematica. Il problema non è propriamente nell’uso del linguaggio naturale in sé stesso, quanto del suo uso improprio. Vale a dire che Ragunì accetterebbe la posizione di Frege in una sua peculiare applicazione in metamatematica: che il linguaggio metamatematico non debba essere né ambiguo né vago. Il problema riguarda, appunto, le condizioni di utilizzo più che l’oggetto stesso: similmente ad un coltello, ciò che costituisce un cattivo uso non dipende dalla natura dell’acciaio quanto dalla mano che lo brandisce. In tal modo non si nega che possa essere un strumento utile.
Pertanto, si può adesso comprendere la definizione, apparentemente pacifica, di metamatematica: “Per ora limitiamoci a prendere atto dell’esigenza di selezionare, a partire da un linguaggio naturale, un linguaggio semantico ‘sufficientemente rigoroso’ da impiegarsi in tali regole; lo diremo metamatematica“.[4]
Immediatamente sorge un dubbio sulla posizione: se abbiamo definito un linguaggio metamatematico attraverso un linguaggio semantico, cioè il nostro linguaggio naturale, se ambedue i linguaggi, naturale e metamatematico, sono semantici, non incorriamo in una forma di circolarità che pone il problema di aver definito qualcosa mediante i suoi stessi termini, rendendo così i termini pericolosamente vuoti? Nella storia della logica, infatti, si è preferito tentare di utilizzare un linguaggio 1 per definire un linguaggio 2 dove 1 è sintatticamente diverso da 2, proprio per evitare fenomeni di circolarità (e non per incorrere in problemi di indefinibilità interna della coerenza dei sistemi formali, su cui ritorneremo più avanti). D’altra parte, se il linguaggio naturale è spesso problematico, se definiamo la metamatematica come un peculiare utilizzo del linguaggio naturale, non rischiamo di incorrere nella difficoltà di avere i medesimi problemi proprio laddove non vorremmo? Così risponde l’autore:
Avremmo allora definito, circolarmente, la metamatematica servendoci della metamatematica? Sì, e non c’è nulla di paradossale: lo stesso si fa nei dizionari e nelle grammatiche per definire una lingua e la sua sintassi. In un dizionario, ad esempio, si definiscono parole mediante altre, in una circolarità dalla quale si esce soltanto perché si presume che alcuni significati siano conosciuti. Un linguaggio semantico, cioè, può essere capace di autodefinirsi. Ciò equivale ad affermare qualcosa come che la meta-metamatematica coincide con la metamatematica. Possiamo dirlo meglio: non è necessario distinguere esplicitamente i livelli logici di un linguaggio sufficientemente semantico; questi infatti, possono essere chiariti in forza del significato tesso delle affermazioni.[5]
Le deduzioni metamatematiche saranno, dunque, di natura semantica, con il che si reintroduce la legittimità di un uso del linguaggio intrinsecamente semantico per parlare di matematica, e questa legittimità è fondata sulle condizioni di uso corretto dello stesso linguaggio naturale:
La metamatematica è fondata sulle convenzioni semantiche basilari del comune linguaggio e inoltre fa appello a principi elementari di ‘logica comune’. Non è questo un ritorno delle discutibili nozioni comuni? La fondamentale differenza rispetto al caso tradizionale è che tali concetti non intervengono direttamente nella deduzione dei teoremi, ma lo fanno attraverso la definizione delle regole grammaticali e deduttive. Ne deriva che, qualora i concetti semantici usati in tali regole non apparissero indubitabili, esiste sempre la possibilità di assiomatizzarli…[6]
Il problema è stabilire una convenzione per l’uso rigoroso del linguaggio naturale, in ambito metamatematico. E tuttavia una tale convenzione non può essere qualcosa di univocamente determinato, ma ci si deve accontentare di un grado di rigore sufficiente agli scopi definiti, eliminando tutte le diciture oscure o imprecise. Oltre quel punto si entra legittimamente nel regno della formalità, intesa dall’autore come del tutto privata di significato.
Rimane il fatto, comunque, che non si può mai fare a meno della metamatematica proprio perché essa interviene a definire concetti matematici altrimenti indefinibili. È infatti indispensabile per l’introduzione di definizioni, regole grammaticali e deduttive dei Sistemi formali atti a descrivere e studiare i concetti matematici. E, d’altra parte, molte metadimostrazioni incontrovertibili, che adoperano un linguaggio semantico, sono altrettanto necessarie in ambito matematico.
La necessità dell’utilizzo del linguaggio semantico, almeno in sede preliminare al discorso puramente matematico, risulterà chiaro dal fatto che per fissare una convenzione formale bisognerà prima informare sulla natura dei simboli, della sintassi e delle regole deduttive, altrimenti non solo prive di significato ma anche prive di senso, giacché equiparabili a dei disegni vuoti. Se per giocare a scacchi è indispensabile conoscere le regole, è altrettanto evidente che tali regole, esibite nell’esecuzione del gioco, devono essere definite preliminarmente, prima di giocare. Allo stesso modo, d’altronde, quando si impara un linguaggio di programmazione prima bisogna conoscere le operazioni fondamentali, la cui descrizione è definita nel linguaggio naturale e questo esempio sembra particolarmente illuminante giacché un linguaggio di programmazione è un particolare linguaggio formale. Se, poi, si volesse mettere in discussione la legittimità del linguaggio naturale almeno in questa circoscritta dimensione per così dire didattica, se si priva la capacità di accordo preliminare, allora va da sé che è impossibile comprendere anche la logica dei simboli descritti con quel linguaggio. Ma questa opzione eccessiva è evidentemente da rigettare, come segnala lo stesso autore.[7] Il punto è veramente fondamentale, e avremo modo di sottolinearlo più oltre, quando parleremo dell’impegno filosofico interno e vibrante nel lavoro.
Nella prima parte, dunque, viene discusso questo importante tema con lo scopo di poter definire in modo rigoroso le basi della logica classica, cioè dei Sistemi formali ben definiti. La buona definizione fa parte di quei concetti preliminari, oggetto di chiarificazione da parte dell’autore, su cui egli opera la sua analisi sia per gli specialisti, sia per i neofiti; sicché costituisce un concetto introdotto allo scopo e pertanto è qui da riportare direttamente:
Riassumiamo in breve le condizioni di buona definizione: le proposizioni sono distinguibili tra l’insieme delle stringhe finite dei simboli ammessi; i teoremi sono proposizioni che ammettono almeno una dimostrazione; le dimostrazioni sono stringhe finite, in generale semantiche, di caratteri alfa-numerici e sono distinguibili. Tali caratteristiche sono una sorta di “minima sensatezza” per un Sistema formale. Dunque, non avrebbe senso cercare di formalizzarle all’interno di un particolare Sistema.[8]
La logica classica viene definita e trattata in modo molto chiaro, senza scendere nei dettagli tecnici o inutili agli scopi della trattazione. In questo libro, infatti, l’obbiettivo non è quello di far apprendere le leggi della logica classica o delle sue applicazioni, per così dire, concrete in termini di deduzioni interne ad uno dei linguaggi che ne rispetta le condizioni. Piuttosto l’analisi fornisce le informazioni necessarie a comprendere e inquadrare il senso della logica e di quelle che sono le operazioni che si svolgono in essa ma non necessariamente per essa; infatti raramente intervengono dimostrazioni interne al linguaggio logico, mentre si chiarifica sempre che cosa con esso si fa e, soprattutto, il perché. Anche da questa prospettiva, si vede in controluce quanto sia impegnato il libro da un punto di vista filosofico: piuttosto che entrare nel merito delle dimostrazioni, viene fornita una precisa chiarificazione della loro interpretazione metamatematica e di come questa influenzi, poi, la nostra concezione della matematica.
Nella seconda parte, Completezza semantica e Teoria degli insiemi, si parla diffusamente della matematica descritta nei termini dei Sistemi formali e, in particolare, della Teoria degli insiemi. Infatti, uno dei problemi fondamentali della riduzione della matematica alla teoria insiemistica, uno degli obbiettivi principali dello sforzo dei logicisti Frege e Russell, riguarda domande centrali in ambito fondativo: è in grado la Teoria degli Insiemi di riprodurre fedelmente la matematica? E quali sono i modelli che intervengono sul linguaggio formale della Teoria degli Insiemi? E, ancora, se la Teoria degli Insiemi fosse incoerente, quali ripercussioni si avrebbero sui Sistemi formali da essa riprodotti? Queste domande fondamentali vengono analizzate diffusamente durante questa parte del libro, la cui risposta, a dispetto della relativa stringatezza delle domande, è ben più lunga e, soprattutto, complessa.
Uno dei problemi che emerge chiaramente all’interno della storia della matematica e della metamatematica non riguarda solamente la natura dei numeri e la loro definizione, ma la possibilità stessa di descrivere compiutamente le operazioni matematiche e la coerenza della stessa matematica. E’ incalcolabile il peso della visione classica della certezza in matematica e della matematica. Con ‘classico’ qui intendiamo riprendere l’uso della parola di Micheal Foucault, il quale la adoperava per intendere l’evo moderno e il suo pensiero fino alle soglie della contemporaneità. Basterà fare qualche esempio per capirci: David Hume riteneva che solo la matematica fosse una scienza esatta nel senso più forte della parola, giacché anche la geometria richiedeva l’intervento della sensibilità e, dunque, di un certo grado di approssimazione (c’è da chiedersi cosa Hume avrebbe pensato dell’assioma di induzione dell’aritmetica di Peano, contrario com’era all’idea che fosse possibile un principio di induzione in sede empirica). Kant stesso formulerà la sua filosofia della matematica nei termini di una disciplina sintetica a posteriori, laddove la conoscenza dei risultati è determinata dall’applicazione di regole su degli oggetti dell’intuizione temporale. E, per quanto lo stesso Frege abbia aspramente criticato la concezione kantiana della matematica, rimane il fatto che tutta la storia della filosofia considera essa come il regno della pura deduzione, la cui perfezione epistemica, cioè la sua capacità di dedurre sempre credenze vere necessariamente (e, per tanto, necessariamente giustificate), era l’esempio per tutte le discipline che volessero emulare come grado di attendibilità la matematica stessa. Ma giunti alle soglie del XX secolo, non senza gli sviluppi della sintassi logica, ci si è a lungo interrogati sulla effettiva coerenza della matematica, giacché si voleva dare un fondamento, una giustificazione alla credenza ingenua della coerenza della matematica. Per questo si è reso necessario lo sviluppo di sistemi capaci di esprimere e trattare i concetti della matematica. Ad esempio, l’operazione di somma sembra essere, a livello intuitivo e non matematico, un concetto estremamente preciso, univoco e compreso da tutti. Eppure le cose diventano assai più sfumate quando si incomincia a dare una veste formale e puramente sintattica al rispettivo concetto intuitivo: spesso nelle formalizzazioni abbiamo la sgradevole sensazione di non aver espresso tutto ciò che era nelle nostre intenzioni, avendo fornito la teorizzazione di uno solo o pochi aspetti salienti di un concetto, tralasciandone altri che ritenevamo altrettanto importanti.
L’aritmetica di Peano (PA) viene introdotta proprio per parlare dei numeri naturali, delle loro proprietà e delle operazioni che intervengono su di essi. PA è “il Sistema classico formale ottenuto aggiungendo al Calcolo predicativo classico formale del primo ordine con uguaglianza i simboli ‘0, +. •”. il predicato a due variabili S(x,y) (soddisfacente gli assiomi classici) e gli assiomi propri (…)”[9]. La domanda, allora, che sorge spontanea è se un tale sistema riesca a rendere giustizia a quelli che sono i concetti intuitivi di numero, successione e operazioni sui numeri naturali. Se la risposta sembra essere affermativa, vale a dire che il dominio di oggetti di cui parla il nostro sistema è effettivamente quello dei numeri naturali, ovvero i numeri naturali costituiscono il modello su cui si interpretano le proposizioni di PA, rimane il fatto che esso non è l’unico modello possibile capace di farlo, anche sotto la condizione presupposta che PA sia coerente: “Si potrebbe pensare che i naturali possono comunque definirsi come il modello corretto, se esiste, di PA. Ma il fatto è che si può dimostrare che se PA è coerente, ammette un numero infinito di modelli corretti, ciascuno completamente diverso dell’altro, in un senso molto forte…”.[10]
Dopo aver introdotto il Metateorema di completezza semantica, dimostrato da Gödel nel 1930, che ci informa che “se un qualsiasi Calcolo predicativo classico formale del primo ordine è coerente, allora ammette almeno un modello”,[11] l’autore illustra il Paradosso di Russell, per mostrare come anche il concetto intuitivo di insieme sia, di fatto, solo apparentemente pacifico e che, se non adeguatamente considerato, conduce a paradossi. Infine introduce una descrizione a grandi linee della Teoria sintattica degli Insiemi. Questo procedere costituisce un altro dei punti fondamentali del modus operandi di Ragunì: dapprima egli si interroga sulla consistenza logica delle intuizioni fondamentali che stanno alla base della disciplina, per poi passare immediatamente alle conseguenze della loro accettazione che, nella maggioranza dei casi, pone nuovi sviluppi e problemi, sicché, assai spesso, alla coerenza bisogna sacrificare l’intuitività. Con ciò, d’altro canto, si mostra, che in logica è la razionalità, per così dire, tradotta in coerenza ad essere il metro di giudizio assoluto, a prescindere dal prezzo da pagarsi sul piano delle proprie e generali intuizioni relative alla teoria considerata. Su questo punto sono esemplari le argomentazioni di Ragunì sul paradosso della sfera presentato da Alfred Tarski:
Restando indiscutibile la “follia” del risultato, queste conseguenze, tutto sommato, non sono così catastrofiche come molti affermano. Il fatto rassicurante è che le porzioni non misurabili interessate alla “moltiplicazione”, non concepite dalla nostra comune intuizione, non vengono effettivamente esibite. La Matematica da sempre ci abitua all’esistenza di oggetti di tale specie: sembra inevitabile che essi debbano accompagnarsi a quelli, più intuitivi, che mediante essa si voleva descrivere.[12]
E più sotto:
Forse il ruolo dell’assioma di scelta nel “paradosso” di Banach-Tarski è soltanto quello di “detonatore” dell’inimmaginabilità e non fisicità del continuo. Come altre volte, il disagio rappresentato da tali risultati contro-intuitivi rivela soltanto la presunzione che la Teoria matematica adottata riproduca esattamente il mondo reale che con essa volevamo rappresentare; quando le lamentele prevalgano sulle approvazioni, si modifichi il Sistema matematico.[13]
Questi passi evidenziano la grande capacità dell’autore di discernere la coerenza dall’intuitività, e di come la perdita della seconda non debba necessariamente destare sconcerto sul piano della prima. E’ un’esigenza propria dell’essere umano quella di sperare di ritrovare le proprie aspettative quotidiane anche in mondi molto distanti, in modo da conservare sempre la gradevole sensazione di sentirsi come a casa propria; ma laddove questa possibilità è negata, come in tanti campi delle discipline progredite, alla sensazione sgradevole di essere entrati in un mondo più vasto e non pienamente dominabile, non deve subentrare la paura per la perdita di qualcosa. Soprattutto se la perdita consiste esclusivamente in frustrazione di aspettative.
La capacità della Teoria degli Insiemi di rappresentare l’intera matematica (vedi i paragrafi 2.5 Teoria assiomatica degli insiemi, 2.6 Insiemi dei numeri naturali, 2.7 L’unificazione della matematica) è mostrato in modo preciso, con i metodi metamatematici di Ragunì. L’obbiettivo è quello di giungere alla trattazione delle basi sufficienti per comprendere i temi considerati dalla terza parte, non prima di aver discusso alcuni risultati intermedi. Innanzi tutto, la Teoria degli Insiemi risulta effettivamente in grado di inglobare tutta la matematica, anche se questa traduzione ha un suo prezzo. Ciò accade per via del fatto che è possibile inserire nella Teoria degli Insiemi la simbologia, le premesse e le regole di deduzione proprie di ogni sistema formale e a questo punto dedurre direttamente nella Teoria degli Insiemi i teoremi dei vari sistemi in essa tradotti. Inoltre, anche i modelli dei sistemi formali si possono codificare all’interno della Teoria degli insiemi: “i concetti di interpretazione e quindi anche di modello di un Sistema assiomatico classico rappresentato in TI [Teoria degli Insiemi, n.d.r.], possono essere definiti formalmente in TI stesso, codificando in linguaggio insiemistico la definizione di interpretazione (…)”.[14] Ma sorge immediatamente un problema. I modelli così costruiti all’interno della Teoria degli insiemi, dipendono dal modello scelto per interpretare la stessa Teoria degli insiemi. Ma si può fare quest’ultima cosa utilizzando un (unico?) dominio di oggetti privo di pericolose ambiguità? Si potrebbe formalizzare un modello della stessa Teoria degli insiemi? Dice Raguní:
E’ chiaro che ciò non si può fare per lo stesso Sistema TI. La definizione in TI di un’interpretazione per TI stessa, passerebbe per la definizione formale dell’insieme universo U, in cui variano tutti gli enti di TI, cioè tutti gli insiemi; quindi U conterrebbe se stesso, cosa non consentita, come abbiamo visto [nel paragrafo 2.4 Il paradosso di Russell n.d.r.]. (…) Un’interpretazione di TI è quindi un concetto completamente diverso dall’interpretazione di ogni altro Sistema assiomatico rappresentato in TI. Non può che avere l’originale carattere informale che volevamo rendere più rigoroso. Lo possiamo ancora definire mediante le condizioni citate nel paragrafo 2.3, ma sostituendo al termine insieme un sinonimo irrinunciabilmente semantico come, ad esempio, “collezione”. Così, come conseguenza metamatematica dell’aver formalizzato il concetto di insieme, risulta che abbiamo bisogno di un concetto simile ma informale! In altri termini, abbiano comunque bisogno di un concetto ineliminabilmente semantico di “insieme”. Per gli estimatori della Teoria assiomatica degli insiemi, il risorgere del concetto di collezione dalle ceneri del concetto informale di insieme, rivela che la Teoria TI è già immigliorabimente fondamentale; per i detrattori, che essa è inutile![15]
Questo punto è fondamentale perché mostra prima di tutto che la Teoria degli Insiemi costituisce la base per l’interpretazione degli altri Sistemi classici formali la cui coerenza può essere dimostrata nella Teoria degli Insiemi e la cui eventuale incoerenza non causa problemi destabilizzanti per il resto della matematica. Ma nel caso della Teoria degli Insiemi non si può parlare di un suo modello formalizzato e, parallelamente, si hanno problemi nella postulazione della sua coerenza. Punto, questo, assai grave perché se la Teoria degli Insiemi si rivelasse in qualche modo inconsistente, allora l’intera matematica in essa descritta risulterebbe a sua volta inconsistente. Tuttavia, sebbene questo esito drammatico non sia impossibile, non sembrano esserci ragioni per concluderlo e, anzi, la storia della Teoria degli Insiemi (formale o ingenua) non sembra indicare un tale esito problematico. In ogni caso, la coerenza della Teoria degli Insiemi è indimostrabile in se stessa, nonostante consenta di dimostrare la coerenza dei Sistemi classici formali:
In definitiva, il Sistema TI permette di dimostrare la coerenza di tutte le comuni Discipline classiche, individuandone in concreto dei modelli a partire dall’insieme N; tutto ciò supponendo la coerenza (e quindi l’esistenza di un “modello” corretto) per un solo Sistema: lo stesso TI. Ma la coerenza di TI, e quindi dell’intero edificio chiamato Matematica, non può dimostrarsi in TI (…). Dal punto di vista più critico, la spettacolare riduzione insiemistica della Matematica – a parte i problemi di fedeltà rappresentativa – è sostanzialmente un’eleganza fine a se stessa. Eppure non si può negare il suo aspetto chiarificatore, se non altro proprio del fatto che è vano cercare di verificare la congruenza di tutti i fondamenti della Matematica.[16]
Un passo molto interessante, per molte ragioni, e noi ne indicheremo solo due. Innanzi tutto, la visione ingenua della certezza epistemologica della matematica, come scienza di per sé garantita, viene a cadere. Per meglio dire, diventa insostenibile quella speranza del periodo classico secondo cui la matematica era il regno della coerenza e della certezza e non perché non lo sia più, giacché non si è in alcun luogo dimostrato il contrario, ma perché ne viene intrinsecamente ridimensionata la speranza: Hume, da scettico, diffiderebbe, ora, della certezza della matematica, giacché non avrebbe delle solide ragioni epistemologiche per concludere che la Teoria degli Insiemi sia effettivamente coerente e, conseguentemente, lo sia tutta la matematica in essa tradotta. In secondo luogo, viene a cadere anche la sensatezza fondativa, così cara ai padri della logica formale del XX secolo, Frege e Russell, proprio perché la Teoria degli Insiemi non sembra quel regno di pura sicurezza che si desidererebbe per ciò che tratta e per ciò che è fondato su di essa. In fine, però, Ragunì, con una mossa a cui ha saputo abituarci, rigira il problema mostrando come il rovescio della medaglia, che sembra aver lasciato spazio a nuove inquietudini, sia, in realtà, abbastanza rassicurante: oggi sappiamo molto di più dei fondamenti stessi della matematica e la nostra capacità di comprensione dei meccanismi basilari della disciplina è consistentemente aumentata proprio a seguito delle analisi svolte dalla Teoria degli Insiemi e sulla Teoria degli insiemi. Così, ancora una volta, se il prezzo da pagare per la Teoria è la perdita di certezze lusinghiere, tanto peggio per le certezze a seguito di una più precisa chiarificazione terminologica e concettuale che deve fondare il prosieguo dell’analisi. In questo modo, se la Teoria degli Insiemi non è quello che Cartesio o Hume avrebbero desiderato dalla matematica, è comunque quanto di più vicino disponiamo all’ideale classico, di modo che la matematica si è arricchita considerevolmente, pur pagando qualcosa in termini di immagine ideale ingenua.
In fine, prima di passare alla terza parte, diremo brevemente che, tra i sistemi che non sono fedelmente formalizzabili nella Teoria degli Insiemi vi sono quelli che ammettono un numero di teoremi più che numerabile, tale, cioè, che non può essere messo in corrispondenza con l’insieme dei numeri naturali: “Se un linguaggio semantico è numerabile, si può sperare che un’assiomatizzazione lo renda formale; ma se è innumerabile e dunque intrinsecamente semantico, questo è impossibile. Ci si chiede, pertanto, quali problemi sorgano in questo ultimo tipo di Sistemi assiomatici, la cui rappresentazione in TI è consentita dalla Semantica standard”.[17] Innanzi tutto, bisogna stabilire se la Teoria degli Insiemi è numerabile essa stessa oppure no. E la risposta è molto chiara:
Posto che il Calcolo predicativo classico del primo ordine con uguaglianza che fonda TI è formale, tale Calcolo (che non è rappresentabile in TI) si concluderà come “numerabile”.[18] Lo stesso, allora, estenderemo a TI, poiché esso vi aggiunge una schiera finita (o infinita “numerabile”, in altre versioni) di assiomi propri senza significato esplicito, conservando pertanto la formalità.[19]
La conclusione è subito di seguito:
Ammesso, dunque, come del tutto naturale che TI sia un Sistema formale, si osserverà un primo fatto sconcertante: il linguaggio di TI, “numerabile”, non è sufficiente nemmeno a denotare individualmente tutti gli elementi di P(N) (che sono ancora insiemi), essendo tale insieme innumerabile; né dei successivi P(P(…(N))), di cardinalità ancora maggiore.[20]
Dunque la più che numerabilità non sarà mai del tutto rappresentabile nella Teoria degli Insiemi. A maggior ragione la stessa metamatematica, la cui potenza viene da Raguní indicata con il termine iperinnumerabile, non potrà mai essere interamente tradotta nella Teoria degli Insiemi. Da questo, se ne può dedurre un fatto abbastanza interessante. Posto che esista anche solo una verità matematica esprimibile da un linguaggio semantico e solo per mezzo di esso, allora tale verità non sarebbe in alcun modo dimostrabile né all’interno della Teoria degli Insiemi né all’interno di nessun altro sistema logico formale. Il che lascia intendere come si possa postulare che esistano delle verità matematiche la cui conoscenza spetta alla sola metamatematica (come, ad esempio, la scoperta di enunciati indecidibili attraverso una procedura non meccanizzabile, come accenneremo più avanti). Ritornando al punto, la questione è molto interessante perché:
A parte i limiti della loro rappresentazione in TI, i Sistemi innumerabili hanno altri due difetti: in primo luogo, proprio il fatto che non solo per dedurre, ma anche soltanto per enunciare individualmente tutti i teoremi, si richiede per essi stessi irriducibile semantica. Non è mai possibile svuotare totalmente di significato gli enunciati, come vorrebbe il formalismo hilbertiano.[21]
Se ci può essere una maggior critica dell’impostazione formalista, o, almeno, alle sue pretese più estreme, questa sembra, appunto, raggiungere il cuore della questione. Con il che bisogna essere dovutamente cauti: il punto sottolinea con precisione il fatto che esistono dei limiti precisi all’interno di un approccio propriamente formale, e non che un approccio tendenzialmente formale sia erroneo. Ma è questo uno dei nuclei tematici di maggior rilievo del libro. Così è lecito concludere:
Il linguaggio dei lodevoli Sistemi assiomatici classici formali ha, così, un’imbarazzante, grave, insufficienza espressiva. Si ribadisce l’insostituibilità della metamatematica non solo nel definirli, ma anche soltanto per denotare individualmente tutte le proprietà del loro universo. Dobbiamo sottolineare che questo limite non ha nulla a che vedere col famoso Teorema di incompletezza (…) eppure, anche tale confusione è diffusa.[22]
Ma i problemi legati alla riduzione della matematica alla Teoria degli Insiemi non finiscono qui. Essa sembra incorrere in problemi intrinseci anche nella rappresentazione di alcuni Sistemi classici formali numerabili: in certi casi la traduzione insiemistica non può essere fedele, vale a dire riprodurre tutti i teoremi della Teoria originale. Questo limite importante, che è legato al Teorema d’incompletezza di Gödel, verrà sviscerato nella terza parte del libro.
In fine, c’è il grave problema, già accennato, dell’interpretazione delle proposizioni di TI: non è affatto chiaro quali debbano essere i “modelli” di questa Teoria (e le virgolette vengono usate proprio per ricordare la loro incodificabilità). Su questo punto in particolare c’è chi, come Quine, ha sottolineato il problema di come potersi intendere addirittura sui significati degli enunciati “interpretati” di TI, giacché è potenzialmente possibile che due matematici possano avere in mente due interpretazioni distinte in base a distinti “modelli” intuitivi. Su questo punto, comunque, Ragunì difende l’idea di un accordo, sulla base di convenzioni semantiche e metamatematiche, concepibili in via di principio e sempre utilizzate in via di fatto.
Ad ogni modo, la Teoria degli Insiemi sembra andare incontro a serie critiche, sia per quanto riguarda la sua postulazione di coerenza (è effettivamente coerente?), che non può dimostrarsi in se stessa; sia perchè sembra andare incontro a seri limiti espressivi; e, d’altra parte, si adombra il dubbio che i “modelli” su cui si “interpreta” siano quanto meno nebulosi. Se si continua ad utilizzare la Teoria degli Insiemi è, però, per delle ragioni precise:
D’altra parte, nella pratica si ha chiaramente l’esigenza di un’interpretazione che vada ben oltre le possibilità di un singolo “modello”: basta riconoscere che quello che normalmente si fa quando si lavora con la Teoria TI, non è dare un indiscusso significato ai suoi enunciati in base a un suo “modello prestabilito” (?); ma, inversamente, si cerca di rendere una qualsiasi affermazione semantica, correlata con concetti insiemistici, in sequenze di simboli di TI. Ciò equivale, in un certo senso, a utilizzare il “modello” più conveniente per formalizzare la frase. Quindi, in realtà, è come se si ammettessero simultaneamente tutti gli iperinnumerabili “modelli” concepibili e disponibili, ovvero, se si preferisce, un unico “modello” di tipo “dinamico”, in cui la collezione degli insiemi si adatta alle nostre esigenze. Quest’uso è, per tanto, intrinsecamente semantico: equivale a trattare il Sistema come non formale. Il suo lato positivo, chiaramente, è che è capace di soccorrere ad ogni limite espressivo di TI: di rappresentare totalmente e fedelmente (dato che qualsiasi criterio semantico relativo alle premesse può essere riprodotto dal “modello dinamico”) anche i Sistemi innumerabili. Quello negativo è la perdita di formalità e il carattere sfuggente dell’interpretazione, che, tra l’altro, deve sapersi districare dalle insorgenti ambiguità del linguaggi (…).[23]
E, a parte tale uso informale, la Teoria formale degli Insiemi rimane in grado di codificare molti importanti teoremi e metateoremi; è in grado di chiarificare gran parte dei fondamenti delle discipline matematiche ed è un utile strumento per le analisi matematiche. Sicché l’importante è non pretendere più di quanto essa può fare e, d’altronde, ciò che essa può fare rimane ingente.
La terza parte, Parte III Incompletezza e indecidibilità, tratta delle Macchine logiche e dei Teoremi di Incompletezza. La descrizione delle macchine logiche è imprescindibile per la trattazione dei nessi tra linguaggi logici e i problemi della computabilità. L’obbiettivo è studiare fino a che punto e con quali limitazioni, le macchine possono simulare (logicamente, più praticamente) i sistemi matematici. In particolare vengono analizzati i sistemi effettivamente assiomatizzabili (paragrafo 3.1 Sistemi classici effettivamente assiomatizzabili). La Tesi di Church-Turing (paragrafo 3.3 La Tesi Church-Turing) sostiene che ogni macchina non possa fare null’altro che alcune regole prescritte: somma, lettura/scrittura, assegnamento in memoria e iterazione condizionata. I diversi modelli rappresentativi delle macchine (funzioni ricorsive, macchina di Turing, lambda calcolo…), tutti equivalenti tra loro, hanno avuto una notevole importanza per lo sviluppo della logica computazionale. A tale scopo uno dei modelli di calcolo rivelatosi più utile è quello delle funzioni ricorsive.
Un insieme I ha gli elementi della sua lista ricorsivamente enumerabili se e solo se esiste una funzione ricorsiva f tale che, associando il valore vero oppure falso ad ogni numero naturale, essa può stabilire se rappresenta il codice di un ente che appartiene o non appartiene ad I. Questo concetto è fondamentale per la comprensione delle conseguenze del primo teorema di incompletezza di Gödel. La strategia di Gödel è stata quella di riuscire a costruire una stringa di simboli, un enunciato particolare di ogni Sistema aritmetico “sufficientemente potente” (ma in senso ampio “normalmente potente”, giacchè sono le aritmetiche che non soddisfano le ipotesi del teorema ad essere peculiari) che, mediante un’autoreferenzialità, sia interpretabile con “io non sono dimostrabile”. Tale enunciato non può che essere indecidibile, dimostrandosi così l’incompletezza del sistema. Mentre i dettagli sintattici sono soprasseduti ad altro luogo, l’autore si concentra sulla estrapolazione del ragionamento saliente e soprattutto sulle conseguenze del famoso teorema.
La sua importanza radica nella conseguente incompletezza essenziale- nell’intrinseca, irrimediabile incompletezza – dei normali sistemi aritmetici. Infatti, se noi prendessimo l’enunciato indecidibile per un Sistema classico S1e lo incorporassimo in un sistema S2 identico all’altro ma con in più l’indecidibile dell’altro, esso stesso ricadrebbe sotto le condizioni che rendono il precedente incompleto. Questo è evidente perché, come detto, S2 è in tutto identico a S1, a parte l’enunciato indecidibile assunto come assioma e se S1 ricade sotto le condizioni di Gödel a fortiori ci deve ricadere S2. Per questo si giunge alla conclusione che un Sistema classico formale che soddisfa le ipotesi del Teorema di incompletezza è essenzialmente incompleto: esso non può in alcun modo “completarsi” aggiungendo assiomi anche di numero infinito, fintanto che si conservi la sua coerenza (giacché, se incoerente, sarebbe completo) e la ricorsiva enumerabilità dei suoi assiomi.
Da queste considerazioni, si possono trarre importanti conclusioni. Innanzi tutto, non solo PA e gli altri sistemi equivalenti sono essenzialmente incompletabili, ma la stessa Teoria degli Insiemi lo è. Altra considerazione importante: posto che qualunque Sistema classico formale soddisfi le condizioni del teorema di incompletezza è irriducibilmente indecidibile, allora non è possibile meccanizzare il processo di riconoscimento degli infiniti enunciati indecidibili in quanto è impossibile stilarne un elenco esaustivo. Ma l’autore mostra che questa assenza di meccanicità non rende impossibile il riconoscimento da parte di altri metodi argomentativi degli indecidibili, laddove è possibile, per via metamatematica, rintracciarli, anche se i metodi, che prevedono l’utilizzo della semantica, non sono a loro volta meccanizzabili. La domanda sorge spontanea: e’ sempre possibile utilizzare metodi semantici per scoprire gli enunciati indecidibili? La risposta sembra essere affermativa, laddove tali metodi, proprio perché semantici, non sono vincolati a regole univocamente chiuse in sé stesse, sicché possono sempre modificarsi in base alla necessità. E, allora, la metamatematica è intrinsecamente indispensabile, anche in questa sede. Il teorema dimostra anche che esistono dei Sistemi classici che, benchè formali in senso hilbertiano, non sono effettivamente assiomatizzabili e, dunque, non rappresentabili fedelmente nella Teoria degli Insiemi.
Nei paragrafi 3.7 Gloria di Chaitin e 3.8 Vanagloria di Chaitin vengono considerati i principali problemi e risultati della ricerca del logico informatico Chaitin, in particolare vengono analizzati i risultati delle analisi sui problemi legati alla definizione della complessità di una macchina e alla sua casualità. Anche su questo piano Ragunì ha molto da dire e puntualizzare, come, ad esempio, puntare molto acutamente il dito sul fatto che la casualità di una stringa di una macchina è sempre relativa ad una precisa macchina, così che essa potrebbe non essere casuale in un’altra. Sicché non sarebbe lecito parlare genericamente di “casualità”, ma, piuttosto, di casualità relativa ad una particolare macchina. Inoltre sottolinea che la casualità è una proprietà che non riguarda direttamente i numeri naturali, come lascia intendere Chaitin, ma si ripercuote su di essi solo attraverso la codificazione scelta. Essendo quest’ultima arbitraria, esistono perfino scelte del codice che fanno sì che il numero di naturali casuali sia finito.
Nel successivo paragrafo 3.9 Altri equivoci, Ragunì evidenzia alcune comuni mis-interpretazioni del teorema d’incompletezza. L’equivoco da lui considerato più clamoroso è senza dubbio quello dell’applicazione del teorema di Gödel all’Aritmetica informale, in cui si usa il principio d’induzione completa, ossia generalizzato ad ogni proprietà dei numeri naturali. Ragunì sostiene che per tale sistema il teorema d’incompletezza non possa applicarsi e che tale errore, mai corretto, risalga alla stessa originale comunicazione di Gödel del 1930.
Nel seguente paragrafo, 3.10 Coerenza ci si sofferma sulla cruciale questione dell’indimostrabilità della coerenza. Per concludere la coerenza di un Sistema classico formale dotato del suo rispettivo linguaggio non può usarsi il medesimo linguaggio, sicché occorre un secondo linguaggio, possibilmente formalizzato, che possa considerare i problemi della coerenza dell’altro. In questa sede viene mostrato, ancora una volta da una nuova angolatura, il nodo gordiano, più volte considerato, del problema della coerenza della Teoria degli Insiemi: se la Teoria degli insiemi dimostra la coerenza delle principali teorie matematiche, può dimostrarsi la coerenza della stessa Teoria degli Insiemi? Abbiamo già avuto modo di sottolineare come questo annoso problema, che scardinerebbe l’intera visione classica della matematica, sia, appunto assolutamente centrale: se la Teoria degli Insiemi si scoprisse incoerente, allora tutta la matematica rappresentabile in essa verrebbe ad esserlo a sua volta. Inoltre, se un Sistema classico formale è incoerente, allora non ha modelli, ovvero, un Sistema classico formale incoerente non ha interpretazioni che rispettino le regole logiche classiche di non contraddizione e del terzo escluso. Così, un Sistema classico incoerente è privo di ogni sensata interpretazione di qualsiasi sua proposizione e, in tal modo, se si può dubitare della coerenza di tale Sistema classico, allora si può dubitare della sensatezza di ogni sua proposizione.
A questo punto, l’autore formula quello che può considerarsi come uno dei risultati più importanti del suo lavoro, vale a dire il Metateorema dell’indimostrabilità interna della coerenza. Si tratta, dunque, di una dimostrazione metamatematica, vale a dire facente uso di un linguaggio intrinsecamente semantico. Il Metateorema afferma che se un Sistema classico qualsiasi è coerente, ciò non può essere concluso mediante il solo linguaggio del sistema. E, appunto, vale per qualunque sistema classico, sia esso formale o no. In particolare, vale per il calcolo predicativo classico del primo ordine, cioè per la base della maggioranza dei Sistemi classici formali, compresa la Teoria degli insiemi. Ma, allora, quale linguaggio potrebbe usarsi per dimostrare la coerenza del calcolo predicativo, se esso è la base per trattare di tutti gli altri? Secondo Ragunì, la coerenza dei primari fondamenti della matematica può essere “conclusa” soltanto sulla base di una ragionevolezza in parte empirica.
In contrapposizione alla significanza e generalità del Metateorema d’indimostrabilità interna della coerenza, gran parte della salienza del Secondo Teorema di incompletezza di Gödel viene a cadere, giacché esso si limita a rilevare una classe di enunciati indecidibili che in certi modelli (e dunque in ipotesi di coerenza) vengono interpretati con “questo sistema è coerente”. E il suo carattere circostanziale emerge anche dal fatto che esso non vale per ogni enunciato capace di esprimere la coerenza del Sistema considerato. In ogni caso la conclusione dell’indimostrabilità della coerenza non spetta al secondo teorema di Gödel, ma al citato Metateorema.
Negando la possibilità di avere sempre un Sistema Sn che dimostri la coerenza di un Sistema S2 che a sua volta dimostra la coerenza di un sistema S1, insomma, negando la possibilità di un tale regresso all’infinito, risulta che il problema della coerenza sia in ultima analisi risolvibile (con un’inevitabile incertezza) dalla metamatematica; e che lo stesso Metateorema d’indimostrabilità interna della coerenza debba a sua volta essere informalizzabile, enunciabile e dimostrabile in un linguaggio necessariamente semantico.
Come abbiamo cercato di evidenziare, il libro è assai complesso e ha una densità informativa e filosofica decisamente fuori dal comune, specie se paragonata a molti lavori analoghi reperibili. In particolare, vorremmo indicare il motivo per cui si tratta di un libro filosoficamente rilevante e logicamente rilevante. Dal punto di vista filosofico, l’autore traccia un’analisi puntigliosa di quella che è l’attuale bagaglio terminologico e concettuale, rispetto alla quale si creano continuamente fraintendimenti e confusioni. In base a questa preliminare chiarificazione, l’autore riesce non solo a parlare in modo pertinente dei problemi fondazionali della matematica e dei suoi limiti intrinseci, che facevano parte degli obbiettivi dei logicisti Frege e Russell, ma anche di quelle che sono le attuali problematiche alla luce delle considerazioni metalogiche e propriamente logiche. Queste conclusioni sono il risultato della concomitanza di due condizioni necessarie: (1) la chiarificazione terminologica indicata in precedenza e (2) la disamina dei problemi chiave della disciplina alla luce di quella stessa chiarificazione. A seguito dei punti (1-2) segue che Ragunì è in grado di indicare sia la rivalutazione dei vecchi problemi, sia nuove opportunità. In particolare, egli riesce nell’intento di ridare uno spessore importante, assai spesso sottovalutato, alla metamatematica, vale a dire alla discussione semantica sui temi propriamente sintattici della logica matematica, pur con le condizioni cautelative che abbiano precisato sin dal principio. E ciò non solo in termini propriamente descrittivi, cioè di sistematizzazione nel linguaggio naturale di importanti nozioni logiche, ma pure in termini puramente logici, cioè fornendo metadimostrazioni di cui il suo Metateorema dell’indimostrabilità interna della coerenza rimane il caso più emblematico. Adesso, allora, si comprenderà come il lavoro sia importante anche da un punto di vista propriamente logico, anche in tal caso in un duplice senso: da un lato perché la rivalutazione della metamatematica consente di specificare nuove condizioni e trattare con più precisione ambiti altrimenti assai difficili o impossibili da studiare mediante i soli strumenti sintattici; da un altro lato perché è possibile riutilizzare in sede logica diversi risultati delle metadimostrazioni offerte in corso d’opera. Gli aspetti salienti del lavoro, dunque, dovrebbero essere emersi abbastanza chiaramente, a questo punto: rivalutazione della metamatematica, una grande chiarezza terminologica, delucidazione dei problemi connessi alla coerenza, ridimensionamento sistematico delle aspettative e disamina critica delle correnti intuizioni, sia in termini specifici sia in senso lato.
In definitiva, abbiamo cercato di mostrare come i concetti salienti e il modus operandi di Ragunì abbiano consentito un generale ripensamento ad una disciplina la cui osticità è spesso incoraggiata. In particolare, sembra essere stato interesse di pochi quello di portare chiarezza in una terminologia spesso confusionaria e lacunosa, come lo stesso autore ricorda al principio: per esempio, la sola parola “completezza” può indicare quattro significati disgiunti, il che non solo alimenta problemi e confusioni, ma rende difficile il discernimento a livello contestuale dei diversi significati. E questo valga solo per uno dei termini chiave della disciplina, laddove si potrebbero fornire altri esempi (come le consuete confusioni legate alla classificazione dei sistemi assiomatici in base all’ordine espressivo usato nei loro linguaggi: catalogazione che Ragunì rifiuta giudicandola fuorviante).
Allo stesso tempo, in questa sede, abbiamo cercato di portare alla luce i vari aspetti filosoficamente rilevanti e logicamente salienti in quella che si presenta come un’opera con cui dover fare i conti, sia qualora siamo dei semplici neofiti, sia dei tecnici. E confrontarsi con i problemi a cui ci sottopone Ragunì per tutta la durata del libro non può che arricchire noi stessi e dare nuova forza e rinnovata chiarezza a quella che è stata e continua ad essere una delle più importanti discipline dei nostri tempi.
Autore: Giuseppe Ragunì
Titolo: I confini logici della matematica
Genere: Saggio di Logica Matematica
Edizioni:
– Bubok, free on line: http://www.bubok.es/libros/195952/I-confini-logici-della-Matematica
– Lulu, free on line: http://www.lulu.com/es/es/shop/giuseppe-raguni/i-confini-logici-della-matematica/ebook/product-20155331.html
– Amazon (e-book Kindle, 1.41 euro): https://www.amazon.it/dp/B004F9PAF2
– Aracne, Roma (1ª edizione, ISBN 978-88-548-3237-4, prezzo: 15 euro): http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/component/virtuemart/area/areascientifica/scienze-matematiche-e-informatiche/9788854832374-detail.html?Itemid=201
[1]
[1] Ragunì G., (2009), I confini logici della matematica, Aracne, 2009, pp. 13-14.
[2]
[2] Ivi., Cit., p. 20.
[3]
[3] Ivi., Cit., p. 20.
[4]
[4] Ivi., Cit., p. 21.
[5]
[5] Ivi., Cit., pp. 21-22.
[6]
[6] Ivi., Cit.., pp. 22-23.
[7]
[7] Ivi., Cit., p. 26-27.
[8]
[8] Ivi., Cit., p. 30.
[9]
[9] Ivi., Cit., p. 62.
[10]
[10] Ivi., cit. p. 63.
[11]
[11] Ivi., cit., p. 71.
[12]
[12] Ivi., Cit., p. 182.
[13]
[13] Ivi., Cit., p. 183.
[14]
[14] Ivi., Cit., p. 90.
[15]
[15] Ivi., Cit., p. 91.
[16]
[16] Ivi., Cit., p. 103.
[17]
[17] Ivi., Cit., p. 133.
[18]
[18] “Le virgolette si devono al fatto che la cardinalità non può essere definita formalmente per le collezioni delle proposizioni e dei teoremi di TI, in quantoqueste non sono insiemi“. Cit., p. 133.
[19]
[19] Ivi., Cit., p. 133.
[20]
[20] Ivi., Cit., p. 133.
[21]
[21] Ivi., Cit., p. 135.
[22]
[22] Ivi., Cit., p. 149.
[23]
[23] Ivi., Cit., pp. 160-161.
[…] recensione di Giangiuseppe Pili al libro, da poco apparsa nel suo sito web, evidenzia l’impostazione per così dire semantica […]