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Consigliamo Percorso di letteratura latina e Epicuro – Vita e Filosofia
Le notizie biografiche più ampie e più importanti che ci sono arrivate su Lucrezio compaiono nella traduzione fatta da San Girolamo del Chronicon di Eusebio. Non è facile affermare con certezza la data di nascita e quella di morte, ma per stile, forma e ambientazione stimiamo che nacque attorno al 90 a.C. e morì verso la metà degli anni 50 a.C.. Gli anni 98 a.C. e 55 a.C. sono generalmente ritenute le date più verosimili dopo un accurato studio delle fonti. Ancora, nulla di concreto si può affermare sulle origini geografiche di Lucrezio, anche se sembrerebbe provenire dalla zona compresa fra Napoli, dove c’era una fiorente scuola epicurea, e Pompei dove era venerata la Venus fisica, cara a Lucrezio, alla quale dedicò il proemio della sua opera il De rerum natura. Ancora, sull’estrazione sociale di Lucrezio possiamo fornire solo sfuggenti informazioni: nella Vita Borgiana redatta dall’umanista Girolamo Borgia nel 1894, si sostiene che il poeta fu in intimi rapporti con Cicerone, Attico, M. Bruto e Cassio, vale a dire le personalità romane di maggior rilievo per quanto riguarda la prima metà del primo secolo. Per quanto riguarda le opere Lucrezio scrisse l’importantissima opera intitolata De rerum natura: suddivisa in sei libri, l’opera aveva un totale di 7415 versi. Dedicata all’aristocratico Gaio Memmio, questo testo venne revisionato da Cicerone e ci è stato tramandato integralmente da due codici del IX secolo, chiamati Oblungus e Quadratus, in virtù della forma dei tomi, oggi conservati uno a Vienna e l’altro a Copenaghen.
Nel I secolo a.C. l’epicureismo era riuscito a diffondersi nelle cerchie culturali romane. Soltanto mezzo secolo prima era vietato parlarne e diffonderne le idee: Alceo e Filisco, due filosofi greci epicurei, qualche tempo primo erano stati cacciati da Roma proprio per le loro idee filosofiche. Ma i grandi cambiamenti operati nella società romana dissiparono i pregiudizi così che la filosofia epicurea poté affermarsi con una certa autorità: pensiamo ad esempio a Calpurnio Pisone Cesanino, personaggio di rango consolare, che istituì nella sua villa di Ercolano una sorta di scuola epicurea col maestro Filodemo di Gadara. Nella stessa Napoli, nacquero cerchie e cenacoli epicurei. L’universalismo epicureo si rivolgeva non ad una ristretta elite sociale, ma a persone di ogni rango sociale e, cosa assai inusuale per i tempi antichi, anche alle donne.
Lucrezio era contrario alla scelta poetica omerica, di raccontare la realtà attraverso il mito. Egli scelse, così, di utilizzare il poema didascalico che fosse però sempre nel genere dell’epica.
Come abbiamo detto, l’editore del De rerum natura di Lucrezio, fu Cicerone. Ciò può suonare strano in virtù del fatto che Cicerone era un radicale oppositore dell’epicureismo, specialmente dopo il 46 a.C., ovvero dieci anni dopo la pubblicazione del De rerum natura: Cicerone dunque dovette rimanere affascinato dall’eccezionalità della caratura e cifra poetica lucreziana, che faceva dell’opera un unicum della letteratura epicurea.
Il De rerum natura è un’articolata in tre gruppi di due libri detti diadi (per l’appunto ‘due libri’). Nel primo libro, dopo il citato inno a Venere, personificazione della forza della natura, Lucrezio espone i principi della fisica epicurea: prima gli atomi, infiniti e indivisibili, che creano e danno origine a tutte le cose esistenti; e poi gli stessi atomi che hanno la forza di aggregazione e disgregazione. Questa forza, quasi violenta, degli atomi di poter aggregare e disgregare viene messa nello stesso piano di nascita e morte. Nel secondo libro, Lucrezio espone la teoria del clinamen, ovvero il momento in cui nel mondo degli atomi interviene una variazione imprevedibile e casuale che permette la grande varietà universale e la stessa libertà del pensiero umano, fondando così la dottrina del libero agire dell’uomo, non sovra e sottodeterminato dalle sole leggi fisiche.
Nella diade composta dal terzo e il quarto libro, viene esposta l’antropologia epicurea: nel terzo viene spiegato come il corpo e l’anima, formati entrambi da atomi costituenti la vita e la morte o aggregazione/disgregazione quando muoiono non danno possibilità del permanere dell’anima dopo la morte, essendo questa costituita da atomi più leggeri ma non capaci di seguire una logica distinta dagli altri. Così la possibilità di un destino ultraterreno è negata, sia esso di premio o di punizione. Nel quarto libro Lucrezio tratta il tema dei simulacra, sottili membrane formate da atomi che servono a spiegare le immagini dei sogni; è inoltre in questo libro che Lucrezio opera una digressione sul tema dell’amore, visto esclusivamente come attrazione fisica e fatale.
Nell’ultima diade si ha come oggetto la cosmologia. Nel quinto libro viene dimostrata la mortalità del nostro mondo: nel sesto si cercano invece spiegazione razionali ai fenomeni fisici come i fulmini o i terremoti, estromettendo la forza divina, negata dall’ontologia atomista epicurea. Il libro finisce con la descrizione della peste di Atene del 430 a.C.: il De rerum natura inizia con un inno a Venere simbolo del trionfo della vita e finisce con un trionfo della morte. “Le cose della natura” o “Sulla natura” sarebbe la traduzione del titolo, ma potremo anche intitolarlo “la vita”: la nascita e la morte, ovvero l’aggregazione e la disgregazione.
Il De rerum natura fu il prima poema didascalico di grande impegno che edito e letto nei circoli romani: in Grecia invece erano già stati divulgati diversi testi scritti da Esiodo, Parmenide, Empedocle, Arato di Solì e Nicando, autori/poeti/filosofi che fecero parte dei tre secoli successivi a partire dal V secolo a.C.. Queste opere erano state tradotte da Cicerone e per questo erano state divulgate negli ambienti culturali romani. Sa la poesia didascalica ellenistica si limitava a descrivere i fenomeni della natura, Lucrezio invece ne indagava le cause, proponendo al lettore una verità dettata dalla razionalità: ogni fenomeno, parafrasando le parole di Lucrezio, non ci deve meravigliare perché esso è connesso e determinato da una regola oggettiva ben precisa. Così il lettore dell’opera diventa consapevole della propria grandezza intellettuale e si rispecchia nella forma sublime di Lucrezio. Il Sublime non solo è la forma stilistica dell’opera, ma è anche un modo di vivere per Lucrezio: è la scelta per l’autore e il lettore di un modello di vita alta e forte. Essere “sublimi” per Lucrezio significa accettare la potenza unificatrice e disgregatrice dell’atomo e del tempo.
Lucrezio restò fedele alle teorie di Epicuro in materia religiosa. Epicuro, dice Lucrezio, fu il primo uomo “che osò levare gli occhi contro la religione che incombeva minacciosa dal cielo”: questa è l’esplicitazione della razionalità epicurea applicata alle questioni religiose e Lucrezio ritiene Epicuro simile a un dio che ha liberato gli uomini da enormi sofferenze morali. Lucrezio auspicava che gli uomini non dipendessero da una figura ultraterrena.
Si potrebbe affibbiere a Lucrezio l’immagine di un pensatore ateo ante litteram, pur con le dovute cautele. In tutta la sua opera Lucrezio vuole sempre dare al lettore una spiegazione accurata e razionale, priva di interventi sovranaturali, senza che esso debba far indurre in tentazione dalla mitologia e dalla superstizione cara ad Ennio ed Omero. Alle fantasticherie del mito oppone la saldezza delle leggi naturali della fisica epicurea atomistica: è così che spiega la natura della nascita della terra, degli uomini, della natura e degli animali. Il terreno umido (acqua, Talete) e calore (fuoco, Eraclito) hanno generato la terra.
Quindi riassumendo, la natura segue le sue leggi, nessun dio la piega ai bisogni dell’uomo. Epicuro aveva prescritto, per vivere meglio e non accondiscendere a forze superiori mitiche, di evitare i desideri non naturali e non necessari e di badare solo a quelli necessari e naturali. Il saggio dunque abbandona, secondo Epicuro e Lucrezio, le inutili ricchezze e si allontana dalle tensioni della vita politica. “Làthebiòses”, ovvero “vivi in disparte” e dedicati allo studio della natura con gli amici più fidati, diceva Epicuro. Il saggio epicureo deve tenersi lontano da una passione irrazionale come la passione amorosa che non ha alcuna giustificazione nei dettami della natura: in questo senso l’epicureismo aveva una visione totalmente opposta a quella neoterica.
Abbiamo visto come malgrado Cicerone non ne apprezzasse i temi, si prese la briga di redigere l’opera. Cicerone ammirava in Lucrezio non solo l’acutezza del pensatore, ma anche le grandi capacità di elaborazione artistica. La lingua di Lucrezio, lamenta la critica, era ricca di arcaismi, di ripetizioni e di estrapolazioni lessicali dal greco; d’altronde molti concetti che Lucrezio doveva esprimere erano totalmente assenti nel mondo letterario latino e così i termini per esprimerli. Lucrezio dimostra di avere una vastissima conoscenza della cultura filosofica greca, dimostrata con le citazioni di Omero, Eschilo, Platone e del grande storico Tucidide, quest’ultimo studiato e impiegato per la descrizione della peste di Atene. Inoltre si rifà pure a poeti alessandrini come Callimaco e Antipatro. Ma il nodo gordiano dello stile di Lucrezio va ritrovato nell’affinata concretezza e chiarezza dell’espressione: il risultato è uno stile severo, capace di durezze e di eleganze, pronto alla commozione ma comunque sempre grandioso, ma mai pomposo.
Bibliografia
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