Mi affaccio alla finestra e ragazzi neri tentano di vendere le loro merci, per lo più fazzoletti e calze; mi affaccio a un’altra finestra, negozi di cinesi, ormai chiamati cineserie, in diversi angoli della città; mi affaccio alla finestra, sullo sfondo, all’orizzonte, un porto per navi portacontainer, monopolio di commerci e scambi; mi affaccio, un mondo diverso ai miei occhi, non è lo stesso di vent’anni fa, quando muovevo i primi passi. Non è un mondo peggiore, la mia città, Cagliari, è sempre la stessa; ora posso solo dire che è una città cosmopolita, una città integrata col resto del mondo.
Il fenomeno dell’immigrazione in Italia, si è sviluppato nelle prime forme attorno agli anni ’60 e ’70; è a partire dagli anni ’80 però, che possiamo parlare di una vera e propria immigrazione in massa verso il nostro paese. Potremo paragonare questo fenomeno, agli emigranti, che dal sud Italia, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, si erano spinti verso l’America, specialmente a New York, fino a creare piccole comunità a sé stanti all’interno di una metropoli come la Grande Mela: a Little Italy negli anni ’50, se non per questioni d’affari, era difficile poter sentire due italiani parlare inglese; meglio, era più consueto sentire un italiano parlare con un pesante accento Lucano, come racconta C. Levi, in “Cristo si è fermato a Eboli”.
Oggi in Italia (DATO ISTAT 1°GENNAIO 2009), sono censiti 3.891.295 stranieri, circa il 6,5% della popolazione totale, arrivati in circa trent’anni di ondate migratorie: i governi che man mano si sono alternati dal 1981, hanno varato varie riforme che regolarizzassero questi flussi migratori. Dagli uni e dagli altri schieramenti, diverse opinioni, nella maggioranza dei casi contrastanti. Il primo programma di regolarizzazione venne fatto nel 1982, poi nel 1986, fu varata la legge forse più importante riguardo tale argomento, che riservava ai lavoratori extracomunitari, gli stessi diritti dei lavoratori italiani: viste le cose successe a Rosarno, proporrei una rilettura approfondita de questa legge, importantissima.
Di fatto oggi giorno, se i lavoratori extracomunitari, al nord, seppur sottopagati, hanno modo di lavorare in luoghi relativamente sicuri, al sud invece la situazione è assai più grave: chiamati a far lavori ritenuti più faticosi e degradanti, come i lavori domestici, quelli agricoli, nei pescherecci o come ambulanti, qui gli extracomunitari non vivono in situazioni agevoli. Vivono in tuguri sporchi e marci, ben al di sotto del limite di quella che dovrebbe essere considerata la tollerabilità, in veri e propri campi creati “ad hoc”. E quando scoperti, spesso vengono ricacciati nei loro paesi di origine, in seguito alla legge Bossi-Fini, varata nel 2002, che prevede la possibilità da parte delle forze pubbliche dell’espulsione dei clandestini, extracomunitari col permesso di soggiorno scaduto, o direttamente assente.
“I migliori” talk show televisivi aprono interminabili dibattiti e discussioni su questi temi arrivando a due conclusioni: la sinistra dice di aprire la porta al diverso, la destro invece la chiude.
Mi affaccio alla finestra, un mondo nuovo e diverso: rumeni trascinano i loro bustoni, tunisini e algerini sbarcano a Sant’Antioco e Teulada, ucraine e filippine offrono servigi come badanti al centro in Piazza Amendola, nigeriane, rumene, bulgare, brasiliane vendono i loro corpi.
Tutti hanno una speranza: una vita migliore. Lasciamoli vivere.
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