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Consigliamo Percorso di letteratura latina e Storia romana parte I
Alla fine della repubblica a Roma sono presenti le più varie forme di modelli letterari e molti sono ancora in sviluppo, come ad esempio lo sono la filologia, la biografia e l’antiquaria. Come ovvio questi tipi di orientamenti di ricerca furono trasmessi ai romani direttamente dalla cultura greca.
Per quel che riguarda la filologia era vista proprio come una ricerca, non solo dell’etimologia della lingua, ma anche come forma di studio delle origini, dei costumi e delle istituzioni romane antiche. Uno dei motivi per cui questi studi vengono accelerati è il fatto che proprio in quegli anni ci fosse una generale perdita dei valori romani del mos, crisi avviata dal periodo di Catone. Dunque i romani sentono la necessità di rifarsi alle loro origine per capire e rielaborare il percorso storico culturale che li ha portati ai problemi sociali e morali del loro tempo presente. Sempre sullo stesso filone di pensiero si irrobustisce lo studio dell’antiquaria, nel quale predomina la venerazione del passato romano che, però, non significava per gli antiquari un ripudio delle idee e dei valori portati dallo straniero (principalmente greco). Ciò non toglie la presenza di un certo elemento critico, come vedremo, in Varrone e in Cornelio Nepote.
Tito Pomponio Attico, il celebre amico di epistole di Cicerone, fu uno studioso di antiquaria molto importante. Egli nacque nel 110 a.C. e morì nel 32 a.C.. Era di famiglia equestre e per questo grazie alla sua ricchezza poté fare studi approfonditi già dalla gioventù; tra l’altro vent’anni della sua vita li passo ad Atene in esilio, dopo le liste di proscrizione sillane, e qui ebbe modo di farsi una cultura non indifferente. E anche quando non fu più in esilio passò la sua vita fra Roma e la regione dell’Epiro. Non si impegnò mai politicamente, ma si dedicò generalmente allo studio dell’arte, della letteratura e dell’antiquaria. Scrisse un prontuario storico, il Liber Annalis dove fece una lista con descrizione dei principali uomini romani descritti da un epigramma di quattro cinque versi circa. Malgrado fosse un fraterno amico di Cicerone, Attico faceva parte della corrente epicureista: certo può apparirci strano che lui e Cicerone potessero andare d’accordo, tuttavia molto probabilmente Attico sosteneva un epicureismo moderato conciliandolo con un culto alle divinità romane, fondamentale quest’ultimo elemento per gli stoici; oltretutto Attico si dimostrò sempre fedele al mos maiorum facendo di lui un epicureo atipico, non da modello.
Marco Terenzio Varrone nacque nel 116 a.C. molto probabilmente a Rieti. Fu allievo dell’antiquario Elio Stilone e del filosofo Antioco di Ascalona. Si impegnò dalla metà degli anni ottanta in poi alla vita politica e partecipò a diverse campagne militari fra cui quella del 78-77 a.C. in Dalmazia. Prese parte alla guerra civile in Spagna al fianco di Pompeo. Due anni prima della morte di Cesare, nel 46 a.C., quest’ultimo gli commissionò la progettazione di una grande biblioteca per Roma. Morì nel 27 a.C.. Varrone fu un fecondo scrittore di opere in prosa fra cui opere storiche, geografiche e soprattutto di antiquaria: Antiquitates, Rerum humanarum, De vita populi Romani, De genti populi Romani, De familiisTroianis, De vita sua, Ephemerisnavalis ad Pompeium. Questi alcuni dei titoli. Scrisse inoltre opere riguardanti la lingua e la storia letteraria, la retorica e il diritto, la filosofia e la scienza: De antiquitatelitterarum ad L. Accium, De origine lingua Latinae, De similitudine verborum, De forma philosophiae, ecc,. Gli interessi filologici e antiquari accompagnarono Varrone fin dalla giovinezza. Affrontò i problemi della storia dell’alfabeto romano.
Al pari di Cicerone, Varrone voleva dare una spiegazione alla crisi culturale, morale e politica presente a Roma in quegli anni, egli era, infatti, un contemporaneo del più celebre oratore: mentre Cicerone scriveva i suoi trattati di filosofia e di retorica, Varrone cercava nella filologia la risposte agli stessi problemi. L’attaccamento alle tradizioni romane è in lui molto forte, forse anche più di Cicerone, ma al contrario di quest’ultimo, Varrone riuscì a riconoscere l’importanza della cultura greca, degli italici e degli etruschi, pur nello stesso tempo rintracciando in quella le colpe della crisi. L’eredità varroniana, celebrata nelle Antiquitates, l’opera di antiquaria per eccellenza in Roma, fu centrale per la cultura augustea e per i secoli successivi. Come detto la storia viene vista dagli antiquari come storia di costumi sociali, di istituzioni e quindi anche della mentalità dei romani nei secoli, non una storia esclusivamente politica. Varrone si dedicò inoltre anche alle ricerche biografiche: nelle Imagines scrisse oltre settecento ritratti figurativi di uomini famosi di ogni categoria, sia romani che greci, sia politici che studiosi che religiosi. Le Hebdomades furono una ulteriore aggiunta al già possente lavoro delle Imagines. Come detto agli studi antiquari Varrone affiancò gli studi filologici occupandosi in particolare del teatro arcaico di Plauto (Quaestiones Plautinae e il De comoediis Plautinis), dove affrontò il problema delle numerosissime commedie giunte a nome di Plauto: il suo compito da buon filologo fu quello di scremare e capire quali fossero e quali non fossero le commedie appartenenti al comico umbro. Varrone si affidò alla sua sensibilità per la lingua e per lo stile di Plauto (Vedi http://www.scuolafilosofica.com/2127/da-livio-andronico-a-plauto-passando-per-nevio-e-cecilio-stazio-gli-albori-della-letteratura-latina). Proprio a quest’ultimo tema, quello della lingua, Varrone scrisse il De lingua latina, una trattazione sistematica ed esaustiva che muoveva dai problemi dell’origine della lingua e della sua etimologia fino alla morfologia; si trattava di vero e proprio trattato di linguistica.
Le opere filosofiche e letterarie di Varrone sono diverse. Le Saturae Menippeae erano un prosimetro, componimento assai raro per l’epoca. Scrisse le Eumenides indirizzate contro i filosofi alla moda e il Marcipor, la descrizione di un viaggio; Marcopolis descriveva una città utopica; e ancora il Sexagesis parlava di un ragazzo che addormentatosi si risveglia a sessant’anni per scoprire che a Roma è mutato tutto in peggio. Proprio quest’ultimo tema, caro agli stoici, fu uno dei temi centrali nelle opere varroniane: spesso argomentava in modo comico e satireggiante. Si ispirò molto liberamente a Menippo di Gàdara in Siria, un filosofo errante, che era molto bravo nel suo stile a mescolare il crudo realismo con una libera immaginazione fantastica.
L’ultima opera di cui accenneremo furono i tre libri scritti nel 37 a.C. sotto forma di dialogo, intitolati Rerum rusticarum libri, un opera della vecchiaia di Varrone. Egli scrive quale fosse la sua concezione della produzione agricola con villae e latifondi di più vaste dimensioni sfruttati solamente da manodopera servile. Esalta inoltre la figura del latifondista e del ricco proprietario terriero: questo era proprio lo scopo dell’opera, vale a dire dipingere un’immagine soddisfacente di sé al signorotto. Di tutte queste opere citate, e non, poco ci è rimasto purtroppo. Ma tuttavia gli eruditi successivi devono molto a lui e alla sua opera, a partire da Svetonio e Plinio il Vecchio, i quali attinsero fortemente ai suoi scritti di linguistica e di filologia. I padri della Chiesa citavano Varrone come una somma autorità in materia antiquaria e gli stessi Gellio, Macrobio fino a Isidoro di Siviglia (560 d.C. circa – 636 d.C.). Petrarca definirà Varrone come il terzo più grande lume romano dopo Virgilio e Cicerone.
Un’altra figura da accostare a Varrone fu Nigidio Figulo (98 – 45 a.C.) importante filologo e poligrafo. Ben più importante di quest’ultimo, su cui ci si deve soffermare un po’ di più fu, Cornelio Nepote. Egli nacque nella Gallia Cisalpina probabilmente intorno al 100 a.C. stabilendosi da subito a Roma, ove si dedicò agli studi. Morì sotto il principato di Augusto nel 27 a.C.. Fra le opere di Nepote ricordiamo i Chronica, un’esposizione sistematica della cronografia universale storica della Grecia, di Roma e Oriente. Il De viris illustribus doveva essere, secondo i progetti di Cornelio Nepote, una grande raccolta di biografie con le quali si potessero tracciare i confronti diretti fra la cultura greca e quella romana. Il confronto doveva evidenziare come la civiltà romana fosse la più grande conosciuta e di ogni tempo: i pro erano molti, i contro decisamente meno. Come opera doveva essere molto rassomigliante alle Imagines varroniane. Non ci è stato tramandato nient’altro su Nepote, se non che fosse uno scrittore mediocre non apprezzato nelle cerchie culturali romane: il suo merito maggiore fu quello di avere influenzato Plutarco per la stesura delle Vite parallele.
Bibliografia essenziale
Conte G.B., Profilo storico della letteratura latina, Le Monnier università, Firenze, 2004.
Pili W., Storia romana parte I, dalla fondazione alle guerre sociali, www.scuolafilosofica.com, 2012,
Pili W., Da Livio Andronico a Plauto passando per Nevio e Cecilio Stazio: gli albori della letteratura latina, 2013, www.scuolafilosofica.com
Pili W., Origini della letteratura latina. Il teatro romano arcaico e la figura di Livio Andronico, www.scuolafilosofica.com, 2013
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