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Consigliamo l’immortale Martin Eden di London
Tre mesi di lettura. Questo è il tempo che mi ci è voluto per portare a termine la lettura di John Barleycorn. Non per questo è stata una lettura spiacevole, anzi tutt’altro. Ma ho trovato doveroso, cercare una lettura approfondita, a volte con un’analisi dei capitoli degna di Martin Eden; ne è valsa la pensa aspettare tre mesi, una stagione intera, per scoprire il lato oscuro di Jack London, quel lato oscuro di cui tanto si vergognava, ma che non poteva mascherare e manifestare solo all’interno del suo corpo, ma che ha avuto bisogno di esternare al mondo, con un romanzo di avventura, o meglio, di avventure: le Dis-Avventure di Jack London che si ritrova a lottare contro un brutto vizio.
Un brutto “ceffo” chiamato John Barleycorn, come veniva affettuosamente chiamato il whisky e l’alcool all’inizio del secolo negli Stati Uniti inizia con la prima ubriacatura a cinque anni nel campo di grano del padre per passare alle sbronze nei saloon di Frisco, fino ad arrivare alle “raffinate” ubriacature combinate da miscugli di cocktail e whisky nel suo lussuoso yacht, lo Snark, su cui London scriverà appunto uno dei suoi ultimi romanzi. Jack London nelle sue mirabolanti avventure intramezzate da vari coma etilici e astinenze dall’alcool, ci da un affresco di quanto l’uomo sia debole e come egli stesso possa indebolirsi con le sue stesse mani senza rendersene conto.
Leggendo questo romanzo, edito dalla UTET EDITORE per 289 pagine, a dir la verità non sempre lucide e comprensibilissime fino in fondo nonostante la lettura approfondita, si possono trovare parecchie somiglianze nel significato finale con un altro libro che scava le debolezze dell’uomo, Noi i ragazzi dello zoo di Berlino di Christian F.. Infatti, entrambi parlano di una piaga della società moderna e contemporanea; il primo romanzo, quello del vecchio London, racconta la malvagità dell’alcool, il secondo invece, racconta di quel guaio che attanaglia la nostra gioventù (assieme all’alcool tra l’altro) che è la droga. Entrambi, vogliono sottolineare come ogni vizio, ogni esagerazione porti all’assuefazione e al continuo bisogno di assumere una determinata sostanza. Ed è così che se Christian F. nelle metrò di Berlino cerca gli spicci per comprarsi la sua prossima dose di eroina in preda alle furiose “rote” mentre London ricerca in ogni angolo della città saloon che gli facciano credito per poter bere e spolvera e rispolvera le dispense dei suoi yacht e delle sue ville, una volta diventato un gran signore.
Questo è quello che emerge da John Barleycorn – Ricordi Alcolici: l’uomo per natura tende a viziarsi e a compromettersi nel fisico e nello spirito. A volte, Jack London/Martin Eden, ammette che anche lo studio ventuno ore su ventiquattro può portare alla pazzia, come può comportarlo spalare carbone dentro alla fornace di un’industria o stirare per sei giorni su sette in attesa del sabato sera per poter andare a sperperare la propria paga e dimenticarsi dei giorni amari e delle delusioni; non certo la migliore delle soluzioni, quando alla fine dei propri giorni London si accorgerà di aver bevuto un po’ troppo nella sua vita e di essersi allontanato troppo da quella “auream mediocritas” che tanto piaceva ad Orazio. E chissà che il suo pensiero possa essere stato di non aver colto l’attimo della vita che fugge nel modo migliore. Ma certo “è che lui se ne è andato. Sorridendo con le sue zanne bianche. Forse perché sentiva il richiamo della taverna.”[i]
[i] Andrea G.Pinketts, citazione dalla prefazione. Di Pinketts consiglio la lettura dei suoi romanzi fra i quali “Il conto dell’ultima cena” e “L’ultimo dei neuroni”, tutti editi per la Mondadori
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