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Consigliamo – Di Francesco Margoni e I veda – Capitolo 1
Lo scopo della prossima pubblicazione di una serie di articoli, già iniziata con un articolo di introduzione generale volto a rispondere brevemente alla domanda cosa sono i Veda, è quello di presentare al lettore un percorso riflessivo sviluppatosi durante la lettura d’un antologia di testi Veda (scelti da R. Panikkar, edizione italiana BUR a cura di M.C. Pavan). Ogni articolo si soffermerà a commentare o presentare, sinteticamente e nell’ordine stabilito dall’edizione antologica della BUR, generalmente una raccolta di poche unità di passi vedici, raccolti attorno ad un tema comune. Ogni pubblicazione aiuterà a capire meglio e progressivamente l’insegnamento che è possibile trarre dai Veda, il quale, ne sono convinto, possa essere recepito non esclusivamente dagli iniziati; ma soprattutto avrà lo scopo di presentare in termini chiari e semplici il contenuto dei testi. Non si tratterà tuttavia di un commento accademico al testo, anche se, pur sempre e prima di tutto, di riflessioni condotte e presentate nel rispetto dell’obbiettività e della precisione, ma personali, in quanto la parola contenuta nei testi vedici è parola viva solamente quando, per così dire, ruminata dal lettore, il quale con essa compie un percorso di trasformazione interiore e comunque personale. Intendo dunque condividere questo percorso, poiché credo possa essere fonte di stimolo o anche solo di intrattenimento, oltre che di chiarificazione complessiva e di promozione d’un contenuto culturale e modo di pensare per lo più ignorato. Il lettore si prepari ad un lungo viaggio.
Il passo con cui inizio la serie è il cosiddetto ‘primo mantra’: si tratta dei primi tre versi del primo inno del testo vedico più antico, il Rg-veda. Eccolo:
Io magnifico Dio, il Divino Fuoco, / il sacerdote, Ministro del sacrificio, / l’Offerente dell’ablazione, Datore supremo di tesori.
L’invocazione è diretta a Dio, ovvero a colui che non è compreso, l’ignoto, l’invisibile. La trascendenza in questione (e parlo di trascendenza nel senso più vago possibile poiché non credo sia corretto individuare subito la divinità con il Dio unico, ovvero con la trascendenza delle religioni monoteistiche) è Agni, il Fuoco. Il fatto che la trascendenza sia il fuoco, o anche il fuoco, è rilevatore. Il fuoco è un elemento trasformatore. Il Fuoco è colui che trasforma ciò che è compreso e visibile nell’invisibile e incompreso, il materiale nello spirituale, l’umano nel divino (per il momento non desidero chiarire puntualmente i termini delle contrapposizioni). Il fuoco consuma ciò che è visibile e lo trasforma nell’invisibile. Questo stesso fatto è il segreto del sacrificio, portare a trasformazione, per mezzo della cancellazione dal regno del visibile, l’elemento materiale e umano nell’elemento spirituale e divino. Non può che essere il fuoco l’elemento permettente il sacrificio, che qui non appare tanto come sacrificio a qualcuno o per qualcuno, ma proprio sacrificio di qualcuno. Agni, il fuoco divino, permea della sua trascendenza l’esistenza visibile e invisibile; è divinità ma anche sacerdote dedito al compito di mediazione con la divinità. D’altra parte il fuoco ha un ruolo di mediazione, dal momento che è ciò che trasforma il materiale nello spirituale. Ed essendo termine di cambiamento e trasformazione, il fuoco è necessariamente anche offerente, oblatore. L’ablazione, infatti, è soprattutto un’azione di asporto. Ciò che Agni asporta (in quanto fuoco consumatore) è il materiale, e ciò che dona (il supremo tesoro dato in cambio alla distruzione della materia) è proprio ciò in cui l’asportazione va incontro, la sua forma invisibile e spirituale. Agni asporta pezzi di umano per dare in cambio pezzi di divino, ma questo non può compiersi senza una grande potenza trasformatrice, degna di essere invocata e magnificata.
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