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Consigliamo – Di Francesco Margoni e I veda – Capitolo 1
I Veda sono un insieme di testi composti all’incirca tra la metà del secondo millennio e la metà del primo millennio a.C. Un fatto curioso è relativo a questi testi e ai loro tramandatori: non esiste alcun elemento materiale o reperto archeologico rilevante che permetta di ricostruire il periodo storico di formazione dei Veda. Pertanto tutto quello che possiamo sapere sul periodo storico, sulla cultura e sulle popolazioni che ci tramandarono questi testi, lo dobbiamo inferire dalle fonti scritte a nostra disposizione, ovvero, nel caso, dai Veda. Questo significa anche che non ci sono fatti materiali esterni al testo su cui sia possibile appoggiarsi per analizzarlo per così dire da fuori, e che, dunque, l’analisi del testo deve appoggiarsi sul testo stesso. La popolazione di riferimento è comunque quella degli Indo-ariani, i quali erano una popolazione nomade, originaria dell’odierna regione settentrionale dell’Afganistan, dunque dell’Asia centrale, e spostatasi, verso il secondo millennio a.C., nel Subcontinente indiano.
I Veda propriamente detti sono composti da una collezione (samhita) di circa mille inni a carattere religioso. Chiaramente, poiché quest’insieme di inni è stato composto nel tempo di circa un millennio, alcuni saranno più antichi, altri più recenti, e non tutti composti nella stessa regione, dal momento che la popolazione era nomade e nell’arco di un millennio ha migrato profondamente. La collezione comprende tre veda più uno. Il Rg-veda (o Veda delle strofe) è la parte più antica dei Veda e comprende componimenti essenzialmente poetici; il Sama-veda (o Veda delle melodie) comprende componimenti che andavano accompagnati dal canto o dalla musica; il Yajur-veda (o Veda delle formule) comprende essenzialmente formule sacrificali; infine, l’Atharva-veda (o Veda composto dalla famiglia degli Atharvan), è il testo più recente, e ai suoi componimenti si attribuisce carattere magico. Dopodiché, parlando in generale di letteratura vedica, possiamo includere nell’elenco anche alcuni testi successivi. Innanzitutto i Brahmana, trattati in prosa sul sacrificio, nei quali si trova l’esposizione dei principi e dei metodi degli atti sacrificali, e il commento posteriore ai testi strettamente detti vedici. Anche gli Aranyaka possono essere aggiunti all’elenco. Essi costituiscono la parte finale e cronologicamente più recente dei Brahmana, e sono un insieme di testi fortemente esoterici. Infine vi sono le Upanisad, da un punto di vista cronologico le ultime composizioni, contenenti riflessioni tipicamente speculative a partire dalla considerazione del rito vedico, codificato e già discusso (anche se non da un punto di vista speculativo o metafisico) nei testi precedenti.
Il termine Veda significa propriamente, in sanscrito arcaico (lingua in cui sono stati composti i testi), «sapere», «scienza». In due parole sarà doveroso dare almeno un’idea di ciò in cui consista questo sapere o scienza. Il discorso sviluppato dai testi vedici verte principalmente sui riti, sul sacrificio, sul principio delle cose, sugli dei e sulla parola (come origine e fondamento) e dunque anche sulla parola sacra costituita dai Veda stessi. I Veda parlano del mondo, di dio e dell’uomo, e si vedrà quanto queste tre cose siano profondamente intrecciate tra loro. Questa scienza è stata pensata originariamente per essere trasmessa oralmente, infatti i testi andrebbero recitati e ascoltati, più che letti.
I Veda sono al fondamento e all’origine della cultura indiana, in particolare dell’Induismo e del Brahmanesimo. Ovviamente, nonostante questo legame storico e culturale, vi sono profonde differenze tra la religione vedica e quella, ad esempio, induista.
Centrale e profondamente interessante, nei Veda, è la concezione del tempo, la quale non è lineare, ma piuttosto complessa e, direi, a tratti, sconcertante, se non proprio paradossale. Ad esempio, la riflessione sul principio della creazione, che riveste un ruolo di prima importanza all’interno del piano riflessivo generale dei Veda, vuole allo stesso tempo essere una continua ricreazione del momento creativo iniziale; e ciò è reso possibile, o meglio, pensabile, proprio dal non avere una concezione del tempo come unidirezionale e senza possibilità di rivolgimento o ritorno. Gli stessi testi Veda, per l’uomo vedico, non sarebbero stati composti nel tempo lineare, ma paradossalmente essi non sarebbero nemmeno stati scritti, poiché eterni e increati o, il che mi pare sia lo stesso, continuamente ricreati. I cosiddetti veggenti sarebbero gli autori (non autori) dei testi vedici: sono veggenti proprio perché non furono loro a dare forma ai testi, proprio perché i testi si donarono in rivelazione. L’atto creativo, la paternità dei testi non spetta dunque ai veggenti o agli autori materiali dei Veda, che parrebbero essere sempre esistiti, in una specie di tempo senza tempo, cioè di eternità, intesa come realtà atemporale. E ancora, proprio per questa peculiare concezione del tempo, nella narrazione dei testi, non esiste una genesi precisa e fissata all’interno di una rigida cronologia di eventi, che una volta dati non si ridaranno nuovamente. Per questo gli dei creatori non avranno una parte fondamentale nel processo di creazione; per questo li eventi stessi sembrano confondersi; parentele, genealogie e cronologie appaiono, al lettore contemporaneo non ancora familiare con la caratteristica concezione del tempo vedica, contraddittorie, impossibili e dunque prive di senso. All’interno di un tempo cosiddetto «acronico», il quale rende possibile e normale il ritorno delle cose e degli avvenimenti, dove nulla veramente evolve e nulla veramente degrada, e dove nulla è irreversibile, poiché si dà sempre la possibilità di riattualizzare l’accaduto, all’interno di questo tempo privo di orientamento, gli eventi raccontati non necessariamente sono obbligati a seguire una linea che definiremo logica (anche se, di fatto, molto spesso la seguono), intesa come sequenza temporale lineare dove ad esempio le cause precedono necessariamente gli effetti.
Intimamente legato alla costante riproduzione dell’universo è il rito vedico, e così il sacrificio. È proprio il rito, la cui chiarificazione pratica e concettuale occupa grande spazio all’interno dei testi, l’atto con cui è possibile riprodurre l’azione creativa del cosmo e della sua stessa costituzione, azione la cui pensabilità è, come abbiamo già notato, garantita dalla particolare concezione del tempo assunta. Il rito e il sacrificio rivestono una parte veramente fondamentale all’interno della riflessione vedica, la quale, infatti, non si sofferma nell’elaborare particolari cosmologie e mitologie, preferendo senz’altro dedicare la maggior parte delle proprie risorse nello speculare su aspetti teorici e pratici relativi alla liturgia. È proprio dal e sul rito che nasce la speculazione vedica e la speculazione astratta dell’India.
Quest’introduzione vuole veramente essere essenziale, e dunque termina per lasciare ampio spazio alla riflessione sui testi stessi (presentata attraverso la prossima pubblicazione di una serie di articoli dedicati), la quale, sola e meglio di qualsiasi discorso generale, introduttivo o interpretante, avrà la possibilità di far avvicinare il lettore agli splendenti enigmi di questa remota cultura.
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