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Madame Bovary è un romanzo di Gustave Flaubert pubblicato nel 1856. Esso narra la storia di Emma in Bovary, figlia di un povero contadino, che si sposa con il giovane medico vedovo, Charles Bovary. Charles è quello che si può definire un uomo di ingegno mediocre e mediocri aspettative, ma non per questo prive di una loro dignità. Egli fa parte di quella turba di esseri umani priva di grande intelligenza, senza grandi aspettative ma solerte nel loro piccolo impiego ed estremamente costanti nel dispensare il loro affetto, istintivo ed irriflesso ma genuino. Egli, infatti, non è uno studente brillante, né una personalità di spicco, come si vede sin da subito. Successivamente, da ragazzo, studia alla facoltà di medicina, grazie al sostegno economico dei genitori. Dopo una breve battuta d’arresto, dovuta ad un momentaneo abbandono dell’attenzione agli studi, Charles diviene dottore in Medicina, utilizzando uno di quei sistemi che, a quanto pare, è sempre stato utilizzato e favorito: “Charles si rimise subito al lavoro e si preparò, senza perder tempo, all’esame, imparando a memoria tutte le risposte. Ottenne la promozione con una discreta media”.[1] Da principio, egli s’avvia al lavoro nel suo piccolo paese di campagna e si sposa con la signora Dubuc, la quale, da principio, sembra una buona signora, ma, ben presto, finisce per tiranneggiare il debole Charles e fargli fare ogni cosa a suo piacimento. Grazie a questi sistemi, diviene quasi antipatica allo stesso Charles, giacché, d’altronde, egli è totalmente incapace di provare forti e costanti emozioni negative, da uomo rinunciatario quale è. La situazione peggiora quando lei bisticcia con i suoceri. In fine, muore. In fondo, nessuno la rimpiangerà ma Charles rimane addolorato per la sua scomparsa fino a che non incomincia a frequentare più assiduamente la casa di un buon contadino al quale aveva curato brillantemente la gamba, il signor Rouault. Costui, infatti, lo convince a tornare più spesso:
Beh, piano piano, un giorno dietro l’altro, una primavera dopo un autunno, un autunno appresso a un’estate, tutto ha preso a scorrer via, briciola a briciola, filo dopo filo, se n’è andato, si è allontanato, o meglio, è diminuito, perché resta sempre qualcosa in fondo, come potrei spiegare… un peso sul cuore. Ma dal momento che è il nostro destino, non bisogna lasciarsi andare e, perché gli altri sono morti, desiderare di morire… E’ necessario che lei si scuota, signor Bovary; passerà anche questo! Venga a trovarci; mia figlia la ricorda spesso, sa? E dice che lei l’ha dimenticata. Tornerà presto la primavera, venga a sparare qualche fucilata ai conigli nella Garenna, per distrarsi un po’.[2]
Charles, dapprincipio, non sembra avere particolare attenzione per la figlia, Emma, per i suoi bei capelli neri e occhi penetranti, dalla pelle chiara e dai modi delicati. Eppure, scopre in se stesso una strano interesse per la casa del signor Rouault, e non solo per la pur dilettevole presenza del buon contadino. Ben presto, sia Rouault che Charles si accorgono che il matrimonio è una cosa vantaggiosa per entrambi: Charles, ormai, è preso dalla bellezza di Emma e Rouault, facendosi due conti in tasca, si rende conto che da questo matrimonio c’è solo da guadagnare. Emma accetta di buon grado l’amore di Charles e, così, si sposano. Al principio, la loro storia fluisce via con il tempo ben speso, fino a quando Emma e Charles vengono invitati ad un ballo dell’alta aristocrazia locale momento nel quale Emma scopre l’esistenza d’un altro mondo, per lei inaccessibile, che ha in sé ogni virtù, fatta di balli, sorrisi, bella gente e tante belle amenità ricche di lusso, le uniche, a quanto pare, capaci di riscattare la vita dalla mediocrità. Emma, infatti, già infarcita di idee piuttosto vaghe ma potenti sui modi di vivere delle dame e dei cavalieri, per la verità, il modo degno di vivere, è molto sensibile al fascino dell’apparenza e della sostanza di una vita di cui può solo immaginare i grandi vantaggi. Tutto questo si era radicato in lei sin dai tempi del suo soggiorno giovanile al convento:
Ogni mese veniva al convento, per otto giorni, una vecchia zitella ad accomodare la biancheria. Protetta dall’arcivescovo perché appartenente ad un’antica famiglia nobile rovinata dalla rivoluzione, mangiava nel refettorio alla tavola delle suore e rimaneva con loro dopo il pasto a fare quattro chiacchiere prima di riprendere il lavoro. Spesso le educande scappavano dalla sala di studio per andare da lei. Conosceva a memoria certe canzoni galanti del secolo passato e le cantava a mezza voce mentre cuciva. Raccontava storie e novità, faceva commissioni in città a chi ne aveva bisogno, e prestava di nascosto alle ragazze più grandi certi romanzi che teneva sempre in tasca de grembiule, e dei quali divorava anche lei lunghi capitoli negli intervalli del suo lavoro. Non parlavano che di amore, di amanti e di innamorate, dame perseguitate che scomparivano in padiglioni fuori mano, postiglioni uccisi a ogni tappa, cavalli sganciati in tutte le pagine, foreste tenebrose, cuori in tormento, giuramenti, singhiozzi, lacrime e baci, barche al chiaro di luna, usignoli nei boschetti, cavalieri coraggiosi come leoni, mansueti come agnelli, e virtuosi come nessuno, sempre ben vestiti e malinconici come sepolcri. Per sei mesi di fila, a quindici anni, Emma si imbrattò le mani con questa polvere di vecchie sale di lettura.[3]
Tutto ciò viene rinsaldato dalla mediocrità del suo uomo di cui, ormai, è ben consapevole: Charles non riesce a capirla con la mente e la può adorare come si può venerare un Dio potente ma del tutto incomprensibile. Il fatto stesso che Charles non sembra essere degno del suo affetto la indispone nei suoi confronti, e nonostante il marito le tributi tutto l’amore puro di cui un uomo può disporre e dimostrare di avere, ciò la indispettisce ancora di più. Inoltre, presa ormai dalla sensazioni di solitudine, dovuta alla perpetua permanenza in casa, alle letture sempre più assidue di libri di svago, matura l’idea di lasciare il piccolo paesino di campagna. In certi momenti, si sentiva talmente sola che voleva confessare i propri interessi e pensieri più intimi a Charles ma poi finiva a farle al piccolo cane, bisognosa, com’era, di avere una qualunque compagnia:
Altre volte gli parlava di ciò che aveva letto, un brano di un romanzo, una nuova commedia o l’ultimo aneddoto sul gran mondo riportato dal giornale; dopotutto, Charles era qualcuno, un orecchio sempre disposto ad ascoltare, un’approvazione sempre pronta. La cagnolina stessa riceveva le sue confidenze ed ella ne avrebbe fatte anche ai ceppi del caminetto e al bilanciere della pendola. In fondo al cuore continuava a sperare che accadesse qualcosa di diverso. Come i marinai in pericolo, volgeva sguardi disperati sulla solitudine della sua vita, cercando di scorgere una vela bianca lontana fra le brume.[4]
Come alcune persone esercitano sugli altri un potere di coercizione fondato sulla forza psicologica di imporsi attraverso la violenza mentale e subdola di pianti, silenzi, musi e scatti d’ira imponderabili, così Emma ricattava il marito, senza che costui comprendesse minimamente la natura volitiva, coercitiva e autocratica della moglie che, dal canto suo, arrivava talmente ad autosoggiogare se stessa ai propri desideri che poteva raggiungere anche momenti di commozione e malessere autentici. Charles credeva, infatti, che Emma fosse affetta da un qualche disturbo di natura nervosa. Ed è per questo che decide di trasferirsi in un nuovo paese, non senza aver prima indagato sulla fattibilità economica del progetto. Emma, a suo modo, spingeva verso questa direzione dando, per così dire, un ulteriore forza ai sintomi della sua malattia. Fu così che si trasferiscono a Yonville. Prima di trasferirsi Emma partorisce la sua bambina, Berthe, che occuperà un minimo spazio nella sua esistenza, la cui cura e attenzione sarà progressivamente decrescente nel tempo. La vita a Yonville diventa altrettanto rutinaria rispetto che a quella precedente. Un paesotto della campagna francese di piccole dimensioni non sembra riuscire a soddisfare i bisogni di una donna che ambisce a ben più alte considerazioni sociali. Tuttavia, in questo paese, abitato da gente a suo modo notevole come il signor Homais, lo speziale e farmacista, e dal curato, Emma conosce dapprima Léon, un giovane laureato in giurisprudenza che si innamora perdutamente di Emma senza, però, riuscire ad agire, soggiogato dalla sua stessa timidezza. Dopo che Léon decide di andarsene da Yonville per andare a Parigi, ormai frustrato dalla perpetua presenza di Emma senza che riesca mai a concretizzare il suo amore; Emma conosce Rodolphe, un aristocratico ben più sanguigno di Léon, capace, così, di agire più che pensare. Rodolphe comprende la situazione di Emma, i suoi “bisogni” adulterini e la sua solitudine. Ne nasce un amore intenso, passionale e travolgente senza limiti che finirà per inguaiare Rodolphe il cui interesse è più fisico che sentimentale o, per meglio dire, svalutando l’importanza dei sentimenti quel tanto che basta da non perdere di vista i suoi interessi materiali, finisce per allontanarsi da Emma. Emma cade in uno stato di prostrazione e delusione intensissima a cui non trova rimedio, nonostante si riavvicini a Charles. Nel frattempo, intanto, Charles riesce a progredire nel lavoro ma non tanto da diventare ricco ed Emma, ormai soggiogata dalle sue antiche credenze sull’importanza del lusso e delle frivolezze costose, incomincia a spendere una quantità di soldi importante ma non ancora decisiva. Emma ha anche un certo slancio religioso, sembra che quell’amore impossibile da trovarsi in Terra sia possibile in Cielo, questo fino a quando non rincontra Léon con il quale ha il suo secondo rapporto adulterino e dal quale finisce per essere lei prostrata. Perde ogni controllo su di sé, conduce una vita in nome dei lussi che vuole concedersi distrattamente e contrae cambiali all’insaputa del marito che, nel frattempo, non sospetta di nulla e non è capace di sottrarsi ai dettami della moglie. Alla fine, divorata dai debiti, decide di suicidarsi con l’arsenico. La sua morte non è priva di conseguenze. Charles non riesce a riaversi dal dolore e non si riprende neppure dopo la scoperta degli amori adulteri di Emma e verrà trovato morto dalla figlia, abbandonata a se stessa ancor più che quando i genitori erano in vita. Verrà allevata da una zia e, in fine, costretta a guadagnarsi la vita attraverso i mezzi del lavoro bruto, quegli stessi che la madre avrebbe rifiutato a qualunque costo, preferendo ad essi anche la prostituzione (come lascia intendere la triste serie di tentativi che Emma compie per riaversi dai debiti).
Madame Bovary è un romanzo il cui centro narrativo è costituito da Emma per i buoni due terzi, per un sesto da Charles, per un dodicesimo dai personaggi della provincia francese e, il restante, dal paesaggio della Francia. I personaggi costituiscono il principale interesse di Flaubert, per tanto, tratteremo dei principali in modo dettagliato.
Charles Bovary costituisce il prototipo del piccolo borghese, onesto, senza grandi pretese, capace di avere tutte le virtù di un uomo del suo tempo di quelli che compongono un’epoca senza saperlo. Non è particolarmente religioso, svolge il suo lavoro onestamente, non è esoso nelle richieste ai pazienti ed è una persona tranquilla, non animato da grandi passioni, eccetto dall’amore puro e incondizionato per la moglie e per la madre e meno, per la verità, per la figlia. Egli non ha l’intelligenza sufficiente per comprendere un intelletto di più ampie vedute del suo senza, però, avere un senso di rivalsa per coloro che, in questo senso, lo sovrastano. Rientra, dunque, in quella categoria di individui la cui scarsa intelligenza non suscita frustrazione ma ammirazione per i prodigi dell’intelligenza altrui. Ma anche dal punto di vista emotivo egli sembra non riuscire spesso a comprendere i bisogni intimi della compagna, eppure egli ne accetta ogni voglia o desiderio, solo perché egli stesso non è un individuo le cui passioni lo rendono egoista. Charles, dunque, rappresenta quella piccola umanità benevola che riesca a sopportare qualunque rivolgimento purché l’unico suo centro di interesse non venga stravolto. E, non a caso, quando Emma morirà, Charles non riuscirà più a riprendersi.
Il padre di Charles, un uomo rozzo e brutale, rappresenta la stupidità ottusa e irriguardosa per qualunque realtà spirituale che non sia il semplice desiderio posto dai rivolgimenti più bassi dell’animo umano. Il Signor Bovary padre è parte di quell’umanità sbrigativa e semplice che si intrattiene nel mondo per passare il tempo, senza farsi domande e cercando di ottenere che vuole in base a ciò che può fare e non si ingegna per trovare o volere di più. In questo senso, Bovary padre, tutto sommato, può dirsi parte di quelle persone soddisfatte per la sola ragione che non vogliono né pensano di più di quello che hanno e che gli compete. Viceversa, la madre di Charles è buona e pragmatica, il cui amore per il marito si è spento da tempi immemorabili ma il suo ego giusto e concreto non gli consente di riaversi di ciò né sul marito stesso né su Charles (come, invece, Emma) sul quale riversa un amore materno misurato, caldo e gentile. La madre di Charles, a contrario di Emma, impiega la sua intelligenza frustrata nei suoi doveri casalinghi, del tutto disattesi dal brutale e insensibile marito; e il suo amore è indirizzato verso il figlio e, moderatamente, verso le nuore. In questo senso, la signora Bovary madre può dirsi un personaggio positivo e, senz’altro, tra i più degni di ammirazione (uno dei pochi).
Il signor Homais, speziale e farmacista, è uno dei personaggi più notevoli del romanzo. Illuminista, provinciale, filosofo moderato, anticlericale non fanatico rappresenta l’intellettuale che entra nella vita quotidiana nella provincia francese. Egli propone l’ideale di un progressismo laico, improntato da un amore generale per la conoscenza senza essere egli stesso un erudito. Il suo ottimismo nei lumi della scienza e della filosofia gli valgono un approccio alla vita costruttivo. Nel suo lavoro è straordinariamente zelante, puntiglioso e preciso e si aggiorna costantemente sugli ultimi sviluppi della scienza. Il suo illuminismo, vagamente populista e ingenuo, si concretizza sia attraverso la stesura di articoli di giornale per un piccolo foglio provinciale, sia attraverso le sue discussioni accese con il curato del paese. Il personaggio di Homais è uno dei pochi che subisce una serie di cambiamenti durante l’evolversi del tempo: al principio è animato dal solo amore della conoscenza ma, lentamente, si fa trascinare dal fascino sterile dei titoli e riconoscimenti. All’inizio il suo pensiero è scevro da interessi ed è spinto da un genuino credo nel progresso dell’umanità, soprattutto mediante lo sviluppo delle scienze e della tecnica, ma verso la fine del romanzo egli si fa corrompere dalle istituzioni secolari che ammantano gli intellettuali irrigimentati con premi vacui ma belli e riconoscimenti altisonanti. La punizione per l’infrazione al fascino dei premi è, manco a dirlo, la solitudine razionale, l’oblio dello stesso pensatore, lasciato a marcire ai margini della società. Homais, implicitamente, si adegua al nuovo stato di cose. Il risultato, dunque, sembra essere questo: se il curato ha il suo Dio immaginario a cui chiedere le valutazioni e i riconoscimenti del suo operato, così il nuovo intellettuale laicizzato vuole il riconoscimento dello Stato in sostituzione di ciò che non può avere mediante altre vie e, d’altronde, la semplice comunità a cui appartiene non risulta capace di soddisfarlo in tal senso. Così, la corruzione sembra arrivare anche alla mente e al cuore dell’unico personaggio che sembra dotato di genuino spirito critico e animato da quegli ideali che hanno spinto l’umanità verso un più alto senso analitico. Ma Flaubert lascia intendere chiaramente che al mito della vita ultramondana nel Paradiso, si è sostituito il mito del progresso che è, appunto, niente altro che un mito, solo un po’ più concreto, giacché le qualifiche istituzionali sono stampate sulla carta e non sono il frutto della fantasia. Tuttavia, non sembra che in tutto ciò ci sia niente di più o niente di meglio che in quei vecchi ideali astratti e seducenti ma sufficientemente vuoti.
Léon e Rodolphes sono i due amanti di Emma e rappresentano due ideali diversi di uomini a cui una donna spirituale o, più precisamente, passionale, donna, cioè, la cui visione del mondo la spinge a seguire le sue credenze sentimentali; Emma, dunque, può essere suscettibile ad entrambi per diverse ragioni: il primo è timido e sognatore, vagamente idealista, con qualche remora di troppo. Rodolphes, invece, è più sensuale, più concreto e diretto. Se Léon rappresenta un amore più spirituale e, in questo senso, più confacente al lato sognatore di Emma, Rodolphes incarna, invece, l’amore fisico puro, quello che travolge con la forza della passione sessuale, inteso come motore immobile e centro attrattivo e permanente della loro relazione. Léon sembra essere il superamento di Rodolphes, nel senso che Emma inizia un percorso di astrazione della passione sentimentale che la conduce, attraverso l’amore sensuale, fino alla negazione di se stessa perché, ormai, troppo slanciata verso un ideale troppo astratto per essere realizzato. In questa dimensione di progressivo distacco dalla vita e dai problemi della quotidianità, i due amanti sono l’uno l’inverso dell’altro nelle virtù, sebbene senza essere due tipi estremi di uomo. Entrambi risultano affascinati dalla bella Emma ma per ragioni diverse e, così, finiscono per essere irretiti da lei fino quasi a sfiorare l’autodistruzione ma, entrambi, hanno la ragione sufficiente o, se si vuole, la prudenza istintiva giusta per non terminare, come Emma, inguaiati nella rete di una persona che aveva perso contatto con la realtà.
Uno dei personaggi più abbietti è senz’altro il commerciante di stoffe Lheureux. Egli è un affarista spietato, in combina con legali e uomini poco dabbene che riconosce in Emma e nelle sue voglie una preda da spennare con calma, fino a farla cadere in rovina e, allora, potersi prendere la sua carcassa per spogliarla e rivenderla. Egli ha sia l’abilità psicologica sufficiente da avere i mezzi per imbrigliare le voglie di Emma e ha la dissoluzione morale sufficiente per volerlo fare, a costo di mandare in malora un’intera famiglia. Lheureux, dunque, è un uomo puramente d’affari, le cui uniche esigenze sono quelle di aumentare gli introiti e, di conseguenza, non bada ai mezzi per raggiungere i suoi scopi, su cui, per altro, non sembra interessato a vagliare alla luce di una ragione morale. E’ uno dei pochi personaggi senza ambiguità. Uomo senza scrupoli, sembra essere il risultato dei tempi in cui né la religione del curato né l’illuminismo bonario e stemperato di Homais sembrano essere delle valide controspinte morali verso l’ascesa di uomini senza scrupoli, affaristi improntati dall’unico scopo del denaro, pronti a passare sulla carcassa dei suoi simili, pur di massimizzare l’utilità. Impossibile non pensare all’esplicazione estrema di questo personaggio simbolico nel Bel-Amì di Maupassat, in quel George Duroy che, animato dalla stessa dissoluzione e assenza totale di ogni scrupolo, diventerà il dominatore della Parigi corrotta della generazione successiva a quella dello stesso Flaubert. Tornando al venditore di stoffe, Lheureux contribuisce, sì, allo sviluppo economico del villaggio, perché procura beni e li rinveste sul luogo, espandendo il collegamento viabile da Yonville alla vicina città, ma i mezzi attuati per raggiungere questo progresso sono in conflitto con quelli che sono le normali logiche che dovrebbero pervadere una società che abbia come scopo la cura e la salvaguardia di ogni singolo della comunità. In un mondo ormai prossimo alla laicizzazione estrema, Flaubert mostra, con una certa lungimiranza e precisione, quelli che saranno i tratti tipici degli uomini del tempo: sbrigativi, poco attenti ai “dettagli” ma assai fermi nella volontà di portare avanti l’attività economica. Come anche nel Nostromo di Conrad, anche in Flaubert la componente degli interessi materiali, che pervade il romanzo interamente, sembra indirizzare verso uno sviluppo unilaterale dei mezzi ma non degli individui, evoluzione che arriva, cioè, solo a migliorare gli strumenti materiali a disposizione e lasciando intatto tutto il resto che, d’altronde, sembra essere ciò che è più importante: Flaubert avrebbe sottoscritto quanto avrebbe detto Pier Paolo Pasolini un secolo avanti, che il capitalismo è una società in progresso senza sviluppo.
Emma è il protagonista del romanzo e tutte le persone, direttamente o indirettamente, vengono influenzate dalla sua presenza. Dotata di un fascino e bellezza fuori dal comune, è dotata di un’intelligenza semplice e da una forza immaginativa notevole, sviluppatasi durante l’educazione ricevuta durante l’adolescenza e risaldata nel focolare pericoloso di una solitudine sentimentale e razionale perdurante. Charles, incapace di soddisfare i suoi bisogni umani, finisce ben presto per starle inviso:
Bovary non si alzò quando tolsero la tovaglia. Ed Emma neppure, ma, poiché continuava a vederselo davanti, la monotonia di questo spettacolo finì per allontanarle dal cuore a poco a poco ogni senso di pietà. Le sembrava meschino, debole, una nullità, un pover’uomo in tutti i sensi. Come sbarazzarsi di lui? Che serata interminabile! Uno stordimento estatico, simile a quello che producono i vapori dell’oppio, la intorpidiva.[5]
All’immaginazione fervida non segue un’altrettanto accurato sviluppo della ragione, così che finisce, ben presto, per essere imbrigliata dalle passioni in modo tanto forte che lei stessa non sa più sfuggirvi. Le sue fantasie acritiche vengono lasciate andare così che finisce assai presto per avere quelli che David Hume avrebbe chiamato “desideri irrazionali”, perché irraggiungibili. Durante un ballo nell’alta aristocrazia finisce per assumere un modello di consumo che la sua vita non le consente, modello di consumo che è indirizzato verso l’acquisto di beni di lusso, che servono a distinguere gli individui di una certa classe sociale da un’altra. Nel modello non si prendono solo in considerazione gli oggetti che, attraverso le loro qualità, illuminano sulle intenzioni di chi le acquista, ma vengono proposte anche gli stili di vita che una persona dovrebbe avere: comprare un certo bene è l’acquisto di un diritto di creare aspettative nel prossimo, ed è solo per questo che le persone decidono, come gli aristocratici, di munirsi di strumenti tanto inutili sul piano materiale, ma potenti sul piano della forza sociale che essi esercitano, per quanto costosi possano essere. Emma finisce per essere una donna passionale, dotata di desideri forti e rinsaldati da un’immaginazione che la spinge a visualizzare visivamente i vantaggi della soddisfazione dei suoi scopi; eppure risulta, allo stesso tempo, una donna dal senso morale molto alto: senso morale che, però, viene inteso come l’adozione di una serie di norme di giudizio e valutazione che sono in contrasto con quello che è il benessere individuale. Questa miscela esplosiva di forza passionale egocentrica acritica e senso di appartenenza sociale la condurranno a volere una vita non solo al di sopra delle sue possibilità, ma pure negativa per il suo stesso benessere. Di fatti, a parte in qualche momento, la vita di Emma è dominata dalla frustrazione, dal malessere e dalla depressione. Flaubert è sufficientemente grande da offrire una serie di motivazioni e spiegazioni indirette per questa autodistruttività di principio di Emma, ma rimane il fatto che Emma stessa risulta dotata di tutte le virtù per essere simile ad una Beatrice dantesca senza, però, tradurre nessuna delle sue qualità in azioni positive per sé e per gli altri. La sua bellezza le fa possedere una potenza sugli uomini la cui suscettibilità evidente la conduce al disprezzo del marito e verso l’amore di altri; la sua immaginazione la conduce verso una vita irrealizzabile e, in ultima analisi, dannosa; i suoi desideri la portano a inguaiarsi e giungere, alla fine, verso una perdita di dignità e amore per sé stessa. Una donna bella, intelligente, sensibile a suo modo risulta, in definitiva, sprezzante, altezzosa, irriguardosa verso la figlia e verso il marito e, in ultimo, verso la comunità. I modi gentili e raffinati fanno impazzire gli uomini ma la portano a dimenticare i suoi doveri non di donna ma di essere umano: non gestisce la casa, non educa la figlia, non si interessa di nulla che non sia direttamente sotto tiro del suo ego. E così, se è vero che Emma, a livello materiale, rappresenta quell’individuo di donna viziata e sentimentale, allo stesso tempo è il simbolo di quanto una donna angelo sia priva di sostanza e che, nel suo massimo rigore, sia depravata e “corrotta” nei costumi e nell’animo. Quella stessa capacità di soggiogare gli uomini non la conduce, però, a fare loro del bene:
Non osava porle domande [Léon]; ma, vedendola così esperta, si era convinto che fosse dovuta passare attraverso tutte le prove della sofferenza e del piacere. Quello che un tempo lo aveva affascinato, adesso lo spaventava un poco. E si ribellava contro l’annullamento ogni giorno più grande della propria personalità. Nutriva rancore contro Emma per quella continua supremazia. Si sforzava addirittura di non amarla; poi, soltanto sentendo scricchiolare le sue scarpette, si sentiva privo di volontà, come un alcoolizzato alla vista dei liquori forti.[6]
Il percorso di Emma è quello di una progressiva tensione verso un assoluto irraggiungibile amore. Dapprima, ama suo marito ma, molto velocemente, ne scopre i limiti e, così, finisce per credere che l’amore passionale, carnale delle spinte più profonde dell’animo costituisca la risposta; ciò prima di essere abbandonata da Rodolphe. Dopo l’amore passionale ha l’opportunità di coltivare un amore più propriamente sentimentale, non senza che abbia il suo corrispettivo materiale; ciò prima che la realtà la costringesse a stemperarne la forza a suon di denari e problemi. In fine, ormai abbandonata da ogni ideale in un qualsiasi tipo di amore, non le rimane più nulla e neppure lo slancio religioso, che aveva avuto in un breve periodo della sua vita, è sufficiente a colmare quel senso di affetto e di amore di cui sentiva così bisogno:
Il sacerdote si alzò per prendere il crocifisso; allora Emma protese il collo come un assetato e, appoggiando le labbra sul corpo dell’Uomo-Dio, vi posò con tutte le forze che ancora le rimanevano il più appassionato bacio d’amore che mai avesse dato. Poi il prete recitò il Meseratur e l’Indulgentiam, immerse il pollice nell’olio e cominciò l’unzione: prima sugli occhi, che avevano tanto bramato i lussi e gli splendori terreni, poi sulle narici, desiderose di aspirare tepide brezze e sentori amorosi, quindi sulla bocca che si era aperta per pronunciare menzogne, e aveva emesso gemiti d’orgoglio e grida di lussuria, e ancora sulle mani che si dilettavano ai soavi contatti, infine sulle piante dei piedi, un tempo così rapidi quando correvano verso l’appagamento del desiderio e che ormai non avrebbero più camminato.[7]
Una parola che ricorre nel romanzo è, infatti, “corruzione” e i suoi vari aggettivi, che indicano come questo genere di visione romantica sia, in realtà, l’altra faccia di un egoismo gretto, pericoloso proprio perché estremamente seducente e, in conclusione, nefasto. Il romanticismo, dunque, è da Flaubert tratteggiato come una progressiva tendenza verso un desiderio puro e perfetto e, per tanto, perdurante, frustrante e inutile per l’individuo e dannoso per la comunità: Emma si suicida e il suo nucleo familiare distrutto. Impossibile non osservare come l’elemento stesso del suicidio, tema così caro al romanticismo ottocentesco, sia ribaltato rispetto a chi lo presentava come una soluzione eroica: molto pragmaticamente Emma si suicida per non affrontare la realtà, dal punto di vista materiale e, dal punto di vista simbolico, perché ormai conscia del fatto che il suo amore non ha niente di terreno e, dunque, non può essere che perpetua fonte di frustrazione e dolore senza senso. D’altra parte, Emma stessa era, ormai, totalmente priva di contatto con il mondo e anche quel suo sesto senso capace di farle riconoscere l’amore negli occhi degli altri l’aveva del tutto abbandonata:
Emma non si accorgeva certo delle silenziose premure né della timidezza di Justin. Non sospettava che l’amore, scomparso ormai dalla propria vita, palpitasse tanto vicino a lei, sotto una camicia di grossa tela, in un cuore d’adolescente sensibile al fascino della sua bellezza. D’altra parte, Emma considerava ormai ogni casa con indifferenza tanto grande, aveva parole tanto affettuose, e sguardi tanto alteri, modi al contempo così diversi, che non era più possibile distinguere fra l’egoismo e la carità, o fra la corruzione e la virtù.[8]
Flaubert adotta lo stile narrativo naturalistico, attento tanto alla descrizione psicologica dei personaggi che della realtà. Il narratore è onnisciente e imparziale. Il rigore narrativo dell’autore è sufficiente a far sì che il trattamento di una storia straordinariamente drammatica risulti perfetta, non banale. Ogni personaggio è rappresentato con una puntigliosità notevole di dettagli tali che quasi tutti, con qualche eccezione, risultano ambigui ed estremamente complessi. Essi vengono spessi introdotti da retrospettive che ne illuminano il percorso di vita, rendendo, così, estremamente verosimile e densa la realtà sociale del romanzo. Sebbene non centrali, molti sono i temi sociali che Flaubert tratta, il primo è quello della piaga dell’alcool, così ipocritamente attribuita agli anni dello sballo facile:
Che cos’ha, insomma, il vecchio Tellier?… Toscisce tanto da svegliare tutta la casa e temo che presto gli sia più necessario un cappotto d’abete di una camiciola di flanella! Da giovane ha sempre fatto bisboccia! Quella è gente, signora, che non ha mai avuto regola, nella vita. Si è bruciato con l’acquavite![9]
“In verità”, disse lo speziale “bisognerebbe essere severissimi contro l’ubriachezza. Vorrei che tutte le settimane, sulla porta del municipio, comparisse l’elenco dei nomi di coloro che in quel periodo si sono intossicati con l’alcool. In questo modo, dal punto di vista statistico, ci si troverebbe a disporre di una specie di annali, veri e propri documenti, che in caso di necessità… Ma scusate…”[10]
In definitiva, si tratta di un libro straordinario, la cui eredità si farà sentire in quell’altro genio francese che fu Maupassant, non a caso, considerato il continuatore del grande maestro Flaubert. Indubbiamente, Madame Bovary risulta un libro la cui bellezza tematica, psicologica e stilista abbraccia vari campi dell’estetica letteraria. Il suo contraltare ideale, in un certo senso, è proprio Una vita di Maupassant, nel quale è la solitudine e l’abbandono non di una borghese ma di un’aristocratica, vittima del malcostume e della vita stessa, ad essere al centro dell’attenzione. Ma Flaubert, a differenza di Maupassant, considera i casi di persone come Homais, sebbene le releghi ad una sconfitta ancora più cocente. Eppure, Flaubert è ancora molto attento all’aspetto astratto e simbolico, di una vita che rappresenta una serie di ideali, inautentici ma non privi di fascino e, proprio in questa capacità di analisi, Flaubert si distingue come un genio della narrativa non solo del suo tempo.
Gustave FLAUBERT
MADAME BOVARY
MONDADORI
PAGINE: 464
EURO: 9,90.
[1] Flaubert G., Madame Bovary, Crescere Edizioni, Varese, p. 13.
[2] Ivi., Cit., p. 23.
[3] Ivi., Cit., p. 38.
[4] Ivi., Cit., p. 64.
[5] Ivi., Cit. p, 252.
[6] Ivi., Cit., p. 284.
[7] Ivi., Cit., p. 326.
[8] Ivi., Cit., p. 218.
[9] Ivi., Cit., p. 105.
[10] Ivi., Cit., p. 155.
ottima “sintesi-analitica” del libro . Ci sono tante riflessioni sull’oggi come sempre nei classici .grazie anche di aver fatto delle citazioni dal testo.