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Addio mia amata – Raymond Chandler


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Per puro caso Philip Marlowe incrocia il gigante Moose Malloy, un uomo vestito vistosamente, fin troppo, che sale in un vecchio locale per “bianchi”, ora per “neri”, il Florian. Anche Marlowe viene costretto a salire in quel localaccio decaduto e, dopo qualche minuto di conversazione al tavolo, finisce per venire a sapere alcune informazioni interessanti: Moose Malloy è appena uscito di prigione per rapina a mano armata; egli è alla ricerca della sua vecchia fiamma, Velma, una rossa infuocata che lavorava al Florian, prima ancora che Malloy venisse incarcerato. Ma da allora sono cambiate molte cose, sebbene Moose sembra non rendersene conto. Marlowe scopre anche che il galeotto è ancora innamorato di Velma e che è disposto a tutto pur di sapere dove si trova, compreso prendere a pugni un nero al bar e uccidere il padrone attuale del localaccio, per avere informazioni, pur di ritrovarla. Ma Malloy fugge senza lasciare tracce, nonostante la sua mole immensa, nonostante i suoi assurdi, sgargianti abiti fatti su misura per lui. Marlowe viene interrogato da Nulty, un poliziotto disilluso, che non avrà mai alcuna soddisfazione dalla vita. Basti pensare che i giornali, gli addetti ufficiali alla scoperta di nuove celebrità nel regno della polizia e della malavita, si disinteressano totalmente a quella triste faccenda: i neri sono scarafaggi e nessuno è disposto a spendere un dollaro per sapere chi è morto e perché. Nulty sguinzaglia Marlowe che, senza lavoro da troppo tempo, finisce per accettare perché qualunque lavoro, anche non retribuito, è meglio di niente. Marlowe, nel frattempo, riceve un’offerta di lavoro: un certo Marriott, un damerino dell’alta società di Bay City, invischiato in affari più grandi di lui. L’omicidio di Marriott condurrà Marlowe in una spirale apparentemente insensata e interminabile di omicidi, strane conoscenze, inquietanti pericoli. Due donne, una bellissima bionda misteriosa e un’amorevole ragazza si contenderanno la scena e il cuore del detective.

Un Noir del 1940, un libro d’annata. Forse non siamo di fronte ad un capolavoro sommo come La finestra sul vuoto, ma, certamente, si tratta di un ottimo libro.

L’ambientazione urbana, sotto le luci della noiosa e un poco angosciante quotidianità rivela un sottobosco di personaggi realistici ma senza eccedere nella ricerca della verosimiglianza a tutti costi. La città priva di chiari confini e così potentemente oscura, inquietante ed ostile richiama, a tratti, il senso di smarrimento cosmico di fronte all’artificialità di questo mondo tipicamente “umano” proprio di La giungla d’asfalto ma senza arrivare ai vertici metafisici del libro di Burnett. Marlowe, infatti, fa da centro della circonferenza, da punto di vista privilegiato che, dunque, non consente eccessive generalizzazioni nelle sensazioni e nelle prospettive. Ed in questo senso di aderenza al punto di vista dominante (quello di un uomo intelligente, continuamente combattuto dalle proprie incertezze interiori) si gioca la capacità duplice di Chandler di mostrare una realtà propriamente soggettiva in modo impersonale.

In questo romanzo, Chandler, ben di più che nel bellissimo La finestra sul vuoto, costruisce il personaggio-Marlowe. Marlowe è il prototipo, non ancora pienamente compiuto, di quel che sarà il personaggio-tipo del genere Noir. Egli, infatti, è superficialmente un uomo comune, non senza una sua peculiare brillantezza intellettuale, giocata tra una discreta cultura, un certo amore per i piccoli piaceri (con qualche sconfinamento in passioni più travolgenti, quelle dell’alcool e dell’amore), e una grande rettitudine morale. Marlowe è un uomo che si assume pienamente l’onere di portare avanti il proprio dovere, oltre i pericoli mortali e oltre i propri interessi. Egli è, come vien detto esplicitamente dai personaggi nel romanzo, un romantico o, per esser più precisi, un idealista.  Questo tema romantico della costruzione del personaggio-Marlowe verrà ripreso e approfondito ulteriormente ne Il lungo addio

Chandler era molto critico verso la narrativa poliziesca canonizzata nei romanzi di S.S. Van Dine e dalle sue celebri regole. Rivendicava un eccesso di astrazione e di, sottinteso e malcelato, perbenismo nel quale l’individuo centrale (il detective) è una marionetta razionale i cui fili sono solo una bella invenzione, incapace di rappresentare in poco o nulla la realtà. Questa critica colpisce nel segno, sebbene rimarchi proprio il motivo per cui il giallo-classico abbia tanto successo e ragion d’essere: in effetti, proprio la sua patinatura impalpabile e rarefatta del detective-onniscente, impiombato ad un contesto quasi inconsistente con pochi particolari verosimili e salienti, consente al giallo-classico di costituire una seria attrattiva, simile, è pur vero, ad un raffinato rompicapo, senza giungere ad un senso narrativo superiore. L’unico senso del giallo classico, di fatti, è quello di essere letto per l’intrico, per la sfida intrinseca che lo scrittore lancia al lettore. Per amore di completezza, va aggiunto che Chandler sembra essere più critico nei confronti del giallo-classico maturo, quello fuoriuscito dalle semplificazioni operate da scrittori come Ellery Queen, S.S. Van Dine, Agatha Christie e altri. Ma la critica cadrebbe totalmente a vuoto, se applicata a romanzi estremamente raffinati, come quelli da cui ha preso avvio il giallo-classico e anche il noir: Uno studio in rosso, Il segno dei quattro, giusto per citare i classici-classici del genere. Già, però, se ripensiamo a Simenon, ci accorgiamo di quanto tale critica sia da considerare nello specifico e, in questo senso, abbia una sua validità.

Chandler, così, vuole essere il cantore di un mondo ancora ancorato ad una razionalità immanente, incarnata dal Marlowe, uomo di Dovere e di brillante intelligenza, ma ormai disarcionato dalla patina idealistica della scissione tutta occidentale che vuole il male diviso dal bene: non c’è polarizzazione degli opposti ma solo una maggiore o minore aderenza al proprio dovere. Marlowe, allora, è ancora un detective d’altri tempi, romantico e idealista, ma circondato da un mondo e da una fauna che non gli consente di esserlo, se non dietro una cortina di ferro.

Lo stile di Chandler è molto personale e vorrebbe spingersi sempre di più verso un sano realismo. La critica al genere poliziesco si muove, dunque, su più fronti. Si dice che egli sia uno scrittore eccentrico e modernista, nelle recenti rivisitazioni critiche. Ma, ancora una volta, bisogna leggere la posizione stilistica di Chandler in modo complesso: da un lato, egli non può cedere a quel morboso senso di realismo che sarà tipico di molta letteratura contemporanea (e nel quale egli è caduto a metà nel suo La sorellina, non a caso il suo romanzo peggiore, figlia, a sue spese, di una ricerca ossessiva del dettaglio macabro, insensato perché lo scrittore è succube di quella realtà che si rifiuta, oramai, di capire perché troppo complessa da essere ridotta in due parole. Scrittori come Ellroy (ma anche mutatis mutandis Stephen King) si affannano dietro questa spasmodica ricerca, riuscendo solo a raggiungere apici di involontario irrealismo mascherato da una buona dose di imbarazzante verosimiglianza. Chandler è, almeno in questo, uno scrittore più fine, il cui linguaggio è, sì, più aderente ad una realtà magmatica, sempre in costante mutamento (il quotidiano esser-ci) ma è anche capace di una sufficiente astrazione per non ricadere nell’assurda volontà di esprimere tutto ciò che la quotidianità offre nei suoi particolari insignificanti. Il quadro che ne esce è, dunque, assai complesso e, tuttavia, inquietante. Chandler concretizza le paure dell’individuo di fronte alla dissoluzione della propria forza, messo di fronte alla disperazione e alla frustrazione. Lo stile asciutto ma potente riesce nel delicato compito di restituirci quella realtà, mediata da una storia comunque avvincente e oscura, all’interno della quale viviamo tutti la nostra esistenza.

Un’osservazione al riassunto del curatore della Feltrinelli:

“Sullo sfondo di una California ricca e corrotta, pullulante anche di miserabili in attesa del colpo grosso, Philip Marlowe viene sguinzagliato sulle tracce di un marito scomparso. Si imbatte in un ex carcerato, uscito di galera dopo otto anni di detenzione, e da lui viene incaricato di trovare la sua donna, anche lei scomparsa.”

Andando in ordine: lo sfondo non è solo, se non molto parzialmente, una California ricca e corrotta; anzi, possiamo dire, senz’altro, che il lavoro non fa appello a nessuno sfondo particolare, se non la totalità del mondo urbano, dove la ricchezza fa coppia con l’altrettanta povertà: Chandler non è così ottuso da non usare tutti i tratti di ciò che il mondo gli offre, contraddistinguendosi, così, da altri e ben più alti vertici di mediocrità narrativa. “Pullulante anche di miserabili in attesa del colpo grosso”: senza dubbio è vero, nell’universo di Chandler, è lecito ipotizzare anche la loro presenza; però il romanzo, che non offre un universo compatto, di tali personaggi non se ne parla né esplicitamente né implicitamente. “(…) e da lui viene incaricato di trovare la sua donna, anche lei scomparsa”, cioè Velma: ma Velma non era la sua donna ed, è vero, Moose non la trova ma non sguinzaglia Marlowe alla ricerca della sua vecchia fiamma: anzi, il detective finirà per cercarla perché costretto dal poliziotto Nulty e perché indotto alla ricerca di Moose Malloy. Marlowe convince Nulty che per trovare Moose bisogna trovare Velma. In così poche righe almeno quattro menzogne. Perché? Per accattivare il lettore ignorante quel tanto che basta da scegliere un libro da queste ingiuriose affermazioni sballate, senza, ad esempio, badare al nome dello scrittore? Ma, soprattutto, che bisogno c’era di riportare queste menzognere informazioni, quando dire la verità sarebbe stato, ancora una volta, il miglior veicolo per la curiosità della gente? Ancora una volta un caso di frode ai danni del lettore, è una fortuna che, in questo caso, non si rischi di comprare un libro mediocre, come quello che avrebbe potuto scrivere lo scribacchino della Feltrinelli. Se Chandler l’avesse conosciuto, senza dubbio l’avrebbe utilizzato come schizzo su cui basare un nuovo e più avvincente romanzo perché, senza dubbio, è un vero peccato che di questi uomini il mondo sia pieno. Forse, senza di loro, avremmo meno noir e più romanzi rosa, forse, ma senza dubbio non sentiremmo in alcun modo né mai la loro mancanza.


CHANDLER RAYMOND

ADDIO MIA AMATA

FELTRINELLI

PAGINE: 238.

EURO: 8,00.

 


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

2 Comments

  1. Marco Marco 16 Maggio, 2020

    Bellissima analisi. Grazie mille davvero!

    • Redazione Redazione 17 Maggio, 2020

      Grazie sgn. Marco! Ogni tanto fa piacere qualche esortazione di questo tipo! =)

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