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Consigliamo – Storia del rapporto Stato-Chiesa
Uomo politico e generale di indiscusso valore, uomo che non esitava ad andare avanti d’innanzi al pericolo: Napoleone in pochi anni, dalla rivoluzione francese, riuscì a passare dal grado di generale di un battaglione delle forze armate, a imperatore di un territorio sempre più vasto grazie alle sue vincenti campagne militari. I letterati e gli artisti i quell’epoca, ma anche di quella successiva, non rimasero indifferenti di fronte a questo tema e quest’uomo: da Antonio Canova ad Hegel, da Ugo Foscolo ad Alessandro Manzoni, da Madame de Staël a Jack Louis David. Ognuno di loro ebbe qualcosa da dire, ognuno a suo modo. Chi con toni tristi, malinconici o polemici, chi con toni di ammirazione, altri invece con evidenti dubbi, tanto da lasciare “ai posteri l’ardua sentenza”, di condannare o glorificare, un uomo che cambiò radicalmente la faccia dell’Europa, e sì anche il modo di pensare. Capace sì di compiere grandi campagne militari, ma anche capace di farsi tanti nemici, come disse Hegel, pur essendo un suo vivace ammiratore, non diede mai un senso alle sue vittorie, se non per il gusto personale di essere più potente del nemico: Napoleone fu un condottiero molto egocentrico, molto egoista. Tutto poggiava sulle sue idee, tutto gravava sulla sua figura così intimidatoria. Madame de Staël non fu l’unica a pensarlo; in delle considerazione sulla rivoluzione francese, scrisse che Napoleone guardava “una creatura umana come un fatto o come una cosa, non come un simile.” È facile capire quindi come via via nel tempo nei suoi territori conquistati ricevette sempre più dissensi. La Francia credeva ancora nella sua figura, forse più per timore che per altre ragioni. Pensiamo ad esempio alle sculture create da Canova (nel 1807) o ancora i dipinti fatti dal suo pittore personale, Jack Louis David; grandiosi, imponenti, terribilmente forti e paurosi, in una parola Napoleone. Visioni di dissenso le diede Ugo Foscolo nelle “Ultime lettere di Iacopo Ortis”. Inizialmente aveva una grande stima per il generale francese, ma un evento gli fece cambiare completamente il pensiero: infatti, nel 1802, col tratto di Campoformio, Venezia, la città di Foscolo, passa in mano agli austriaci e da quell’anno inizia il periodo definito di amore-odio fra Foscolo e Napoleone. Alla fine vincerà l’odio; Ortis, figura rappresentante Foscolo, il cui nome era scritto nella lista di proscrizione austriaca, sceglierà il suicidio, pur di non finire ucciso da braccia straniere. Muore con un pensiero “rivolto” a Napoleone: “Tu mi fai raccapricciare”. Assediatore, distruttore, assassino e uomo ambiguo, il Corso cercò di dominare l’Europa: non ci riuscì; il suo dualismo, la sua potenza, non venne né accettata, né capita dai conquistati. E quando fu al limite delle sue forze, il 4 Maggio 1814, Napoleone venne catturato dagli inglesi e imprigionato a Portoferraio, nell’Isola d’Elba: di fatto però la sua prigionia durò poco, appena dieci mesi. Mal sorvegliato, riuscì a scappare dall’isola, come racconta bene il film “N, io e Napoleone” (2007, Paolo Virzì), e rimise in forze l’impero francese facendo altre campagne vittoriose. Non durò a lungo. Nel 1815 infatti, dopo essere stato catturato, trasferito a bordo della nave da battaglia inglese HMS Northumberland, fu esiliato definitivamente in un’isoletta sperduta nell’Oceano Atlantico a sud dell’equatore: Sant’Elena. La sua morte arrivò sei anni, il 5 Maggio 1821, anche se in Europa, la notizia arrivò qualche settimana più tardi, facendo scatenare gli opinionisti e i letterati, anche un po’ scossi dalla notizia. “tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull’altar.” Manzoni scrisse di getto questa poesia (5 Maggio), appena giunse la notizia della morte. In seguito venne tradotta anche da Goethe, conferendo all’ode un prestigio a livello europeo. Fu una poesia glorificatrice, una poesia intrinseca di dubbi: “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.”
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