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La guerra dei mondi – Herbert G. Wells

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Nessuno se lo aspettava, eppure la guerra era alle porte. Non era lo scontro tra due potenze umane, non era la guerra per la conquista di un territorio ambito. Era la guerra per la sopravvivenza della razza umana. Era iniziato tutto una sera, quando alcune esplosioni furono segnalate sulla superficie di Marte, il pianeta rosso che tutti ritenevano disabitato. Molti scienziati avevano pontificato, ragionato e argomentato contro la vita sul piccolo nostro vicino pianeta. Alle esplosioni seguì qualche giorno di quotidianità. La Terra era sospesa ad un filo, eppure nessuno lo sapeva né avrebbe mai pensato a qualcosa di simile. Il filo dell’esistenza quotidiana era ben teso e quasi pronto per esser reciso ma, ancora, apparentemente così solido.

Il primo cilindro marziano si schiantò al suolo in Inghilterra, la nazione più progredita. Al principio non destò molto clamore, se non la curiosità di alcuni, tra cui il protagonista che costituisce l’Io-narrante della storia. Le autorità si mossero con una certa lentezza, ma finirono per circondare l’area circostante, quando i marziani uccisero alcune persone con un temibilissimo raggio incandescente, una sorta di laser iperconcentrato. Ma era solo l’inizio della bufera. I marziani attesero qualche giorno, durante i quali arrivarono altri cilindri e altri marchingegni. Questi esseri vennero descritti come dei grossi cerebri con due occhi neri di fronte e un grosso orecchio nel retro e, alla base, avevano otto lunghi tentacoli. La loro consistenza doveva essere molliccia e svolgevano comunicazioni mediante la telepatia. Essi erano intelligenze superiori, paragonabili agli esseri umani alla differenza che intercorre tra un uomo e una formica.

Preso possesso delle loro macchine da guerra, i marziani danno una dimostrazione della loro potenza, e della conseguente impotenza dell’esercito umano: il paesino fortificato, nel quale vive il protagonista, è lo scenario per il primo scontro tra le due specie. Gli umani tentano di distruggere le macchine, dei giganteschi tripodi, con l’artiglieria pesante, ma il raggio ardente, sparato da un tubo sotto la testa del tripode, fa esplodere praticamente tutto. Questi marchingegni di trenta metri non erano solo armati del potente laser, ma anche di un tubo dal quale partiva un terribile proiettile alla cui detonazione veniva rilasciato un gas venefico di capacità distruttiva impareggiabile. Laser e gas venefici distrussero quell’inadatto contingente umano e fu il principio della distruzione del circondario.

Londra fu invasa qualche giorno dopo. Il protagonista cede la scena al fratello, il quale vive l’esperienza della scoperta indiretta, del panico e dell’esodo, fino all’imbarco su una nave per la Francia. Fa in tempo anche a vedere il titanico scontro tra un tripode e una corazzata, titanico come il celebre capodoglio contro il calamaro gigante: la corazzata era contro tre tripodi e ne distrugge uno con un gran colpo dei suoi potenti cannoni, ma viene disintegrata dagli altri due.

Ritornando al protagonista, egli racconta della sua convivenza in una casa con un prete, un essere timoroso e, ormai, privo di ragione. I due vivono di provviste, rintanati, come in una prigione, a stretto contatto con i marziani che, fuori dalla casa, trasformavano il pianeta Terra in un nuovo e più grande Pianeta Rosso. La descrizione della prigionia e convivenza con il prete rimane una delle scene più vivide e inquietanti dell’intero libro, difficile dimenticare, infatti, la lunga proboscide occhiuta che i marziani usano per sondare la casa.

La popolazione umana era stata soggiogata ma i marziani non volevano la loro totale morte, ma solo il terrore e il panico: essi si cibavano, infatti, del sangue degli altri animali, come il protagonista scopre con raccapriccio da una fessura della casa. I tripodi possedevano una cesta dietro la testa, nella quale finivano gli uomini che sarebbero serviti da pasto. Pregevole, in tal senso, è la descrizione del personaggio che, un tempo importante, viene divorato con soddisfazione dai marziani che non facevano molte distinzioni tra lord e uomini.

Dopo un drammatico colpo di scena, il protagonista assiste alla fine del prete e anch’egli stava per vincere alla follia, quando i marziani lasciano il posto per procedere oltre. Alla loro partenza lasciano solo un mondo rosso: essi spargevano i semi delle loro piante, tutte di colori scarlatti. Il paesaggio è alienante e il Nostro è ormai convinto di essere uno dei pochi superstiti, quando incontra un artigliere che aveva conosciuto, al principio delle sue peripezie. Costui spiega come la razza umana dovrà impegnarsi per sottostare ai marziani, per apprenderne gli usi e costumi. Al principio sarebbe stata una sudditanza, ma poi la resistenza si sarebbe armata, apprendendo la tecnologia aliena. Il terrore più profondo si sparse quando si scoprì che i marziani avevano iniziato la costruzione di una macchina capace di volare, incontrastabile per i miseri velivoli umani del tempo.

Il protagonista, ormai del tutto pronto a farla finita per la disperazione, giunge a Londra, una città deserta, morta, spettrale. Quando vede le gigantesche macchine marziane, di cui una era capace di volare, si spinge verso di loro. Ma era tutto immobile. Ci volle un po’ per scoprire che i marziani erano in fin di vita, morenti. La guerra era finita!

La guerra dei mondi è, forse, il libro di fantascienza che ha riscritto l’immaginazione di un pianeta. In esso si trovano tutte le fantasie legate all’extraterrestre che dominano, tutt’oggi, la mente di molte persone. Per avere un’idea del successo del mondo immaginario di Wells, basti pensare alla “storia degli effetti”: Orson Welles inscena La guerra dei mondi alla radio, imponendo il terrore in tutti gli Stati Uniti; fu girato un film negli anni ’50 e un secondo molto recente. Da solo, il seguito della trasmissione di Orson Welles, uno dei più grandi geni dell’arte contemporanea, basterebbe a motivare la fama de La guerra dei mondi, giacché moltissimi film e trasmissioni radio ne riparlarono, ora per spiegare le conseguenze sociologiche dell’impatto della trasmissione, ora per citarla come evento centrale del periodo (pensiamo al film di Woody Allen Radio days e, come questo, tanti altri esempi). Nei Simpson, fortunata serie televisiva, nelle puntate Horror i marziani sono disegnati in modo quasi identico a come li aveva immaginati Wells e con le stesse caratterizzazioni ufologiche.

Siano consapevoli o no, quasi tutti i discorsi che vertono attorno agli UFO sono variamente ripresi dall’incredibile e sorprendente fantasia di Wells: telepatia, ipertecnologia, quoziente intellettivo irreale, giusto per citare qualche esempio. Ma anche l’idea che i marziani sono evolutivamente più avanti della razza umana è un’idea di Wells, come la loro maggiore potenza tecnologica:

Ma se non indossavano indumenti, la loro grande superiorità sugli uomini, tuttavia, riguardava le altre aggiunte artificiali alle loro risorse fisiche. Noi uomini, con tutti i nostri mezzi di trasporto, aerei e terrestri, i nostri cannoni, i nostri accessori di tutti i generi, siamo proprio all’inizio dell’evoluzione che i marziani hanno già percorsa. essi sono diventati praticamente dei puri cervelli, che secondo le proprie necessità rivestono diversi corpi, esattamente come gli uomini indossano vari abiti, e prendono un veicolo quando hanno fretta o un ombrello se piove.[1]

In questo passo scopriamo come la fantasia di Wells sia approdata all’idea che l’entità mentale diventi talmente predominante da potersi scegliere da sé il corpo che, di volta in volta, predilige. Su questa base, diventano comprensibili le descrizioni dello scrittore degli incredibili e mastodontici marchingegni, descritti in tutto e per tutto come esseri animati. In un passo viene esplicitamente osservato come sembrino più animati gli artefatti dell’individuo-marziano stesso. In altri termini, il corpo del marziano è un meccanismo simbionte con il cerebro, costituito dal marziano stesso. Così, l’immagine trasmessa è quella di una dispersione del corpo, o di una mente estesa che fatica a rimanere avvinghiata a quella carcassa, ormai obsoleta, che è ancora la sua alcova. Ma i marziani, più avanti di noi, se ne sono quasi disfati: essi sono, ormai, puri esseri pensanti, il cui rivestimento corporeo è minimo, rispetto alla grandezza del loro cerebro.

Dapprima, come ho detto, l’uomo meccanico non fece l’impressione di una macchina, ma di una creatura simile ad un granchio, coperta di una corazza scintillante nella quale il marziano che la controllava – i cui delicati tentacoli azionavano quei movimenti – pareva essere semplicemente l’equivalente della parte cerebrale del granchio. Poi notai la somiglianza tra questa corazza bruna e il cuoio, e gli altri corpi che strisciavano dall’altra parte, e l’autentica natura di questo abile operaio mi apparve nella sua vera luce.[2]

La società avanzata rifugge dai sistemi naturali per la progenie. Come un lento movimento razionalizzatore degli impulsi naturali sembra volerli avvinghiare per distruggerli, così è stato già operato dai marziani perché la loro specie si è evoluto senza la riproduzione sessuata:

…per quanto possa sembrare prodigioso a un mondo sessuato, i marziani erano assolutamente privi di sesso e, di conseguenza, ignoravano le nostre tumultuose emozioni. Un piccolo marziano, non ci può essere alcun dubbio, nacque realmente sulla terra durante la guerra, e fu trovato attaccato al suo genitore, parzialmente germogliato, proprio come germogliano i bulbi di un giovane giglio, o alcuni tipi di protozoi.[3]

E’ molto interessante scoprire che gli esseri umani hanno la tendenza a fantasticare sulle cose più impensabili, pensando di dimostrare il futuro, come se fosse un teorema di geometria e scambiano le loro opinioni per consolidate conoscenze. Così, se c’è qualcuno che crede che i futurologi, con tutte le loro assurde teorie, siano un risultato aberrato della scienza contemporanea (del XX e XXI secolo), sono costretti a ricredersi:

E’ notevole osservare che un certo scrittore tra letterario e scientifico, che scrisse molto tempo prima dell’invasione dei marziani, previde per l’uomo una struttura finale non dissimile dalla condizione attuale su Marte. La sua profezia, ricordo, apparve nel novembre o nel dicembre del 1893, in una pubblicazione cessata da tempo…[4]

Che questo passo sia verace o solo il frutto della fantasia, non ha molta importanza giacché ancora c’è chi crede che l’evoluzione sia improntata dall’uso degli arti o delle funzioni e non viceversa e chi, in nome di ciò, sia arrivato a giustificare cose analoghe a quelle riportate nella citazione.

La costruzione di un mondo semplice, affondato nella provincia del londinese, una delle zone più pacifiche del pianeta al tempo di Wells, fa da contrasto a quella che sarà la rovina, la distruzione e l’impotenza. Il mondo inizia a diventare troppo piccolo per la fantasia umana e, al contempo, diventa angoscioso il principio di vuoto nel quale l’uomo lotta contro l’altro, non per migliorare il mondo ma per conquistarlo. Si fa largo, così, dentro la coscienza dell’uomo contemporaneo l’idea che ci siano delle forze esterne distruttive, mostruose e incomprensibili, sebbene del tutto frutto della sua fantasia. Wells assume questa trasmigrazione dell’oscuro fantastico, principio precedentemente difeso e assecondato dalla religione, per trasformarlo in immagini che possano dare vita ad un nuovo universo dell’inquieto, dell’angosciante: la razza malefica extraterrestre. La guerra dei mondi è la storia di un incubo del quale si ha talmente paura che si fa fatica a volerne uscire, come da quei sogni lugubri troppo intensi, che ancora ci angosciano al loro termine, come testimonia l’inquietante finale, nel quale il protagonista osserva la città londinese come se fosse piena di spettri.

L’aspetto che più colpisce nella narrativa wellsiana è, probabilmente, la strabiliante perizia nella descrizione della psicologia umana, sia individuale sia di massa. Sono stupefacenti le scene dell’esodo di Londra, nel suo drammatico epilogo tra lo scontro titanico tra i tripodi e la corazzata:

Ma, per quanto varia, quella folla aveva alcune caratteristiche in comune. erano la stanchezza su quei visi e la paura in agguato alle loro spalle. Un tumulto in fondo alla strada, un litigio per un posto su un carro, faceva affrettare il passo a tutti; anche  un uomo tanto sgomento ed esausto da sentire le ginocchia piegarsi, per un momento era invaso da una rinnovata energia. Il caldo e la polvere avevano già snervato quella moltitudine. La pelle di tutti i visi era arida, le labbra nere e screpolate. Tutti erano assetati, stanchi, e con i piedi coperti di vescicche. In quella confusione di grida, si udivano dispute, rimproveri, lamenti di stanchezza e di impotenza; la maggior parte di quelle voci erano rauche e deboli. Su tutte quelle un ritornello instancabile: – Largo! Largo! Arrivano i marziani![5]

Come sono perfette le descrizioni minuziose delle reazioni psicologiche del protagonista, narrate in uno stile naturalistico asciutto ma capace di restituire, nella pur neutralità, i sentimenti di un uomo posto in condizione estrema. Già in questo inquieto esordio della coscienza contemporanea, fatta di dispersione e di poca sicurezza nella capacità di sé stessi, con il conseguente odio verso il proprio Io, fanno capolino due aspetti che domineranno la scena narrativa successiva: il vedersi vivere e l’alienazione estrema. Il vedersi-vivere, idea rivendicata come nucleo narrativo caldo di alcuni scrittori maggiori come il sopravvalutato Pirandello, è presente in modo esplicito nel romanzo wellsiano:

Forse sono un uomo stravagante. Non so fino a che punto ciò che provo sia condiviso da altri. A volte soffro del più strano senso di distacco da me stesso e dal mondo che mi circonda; mi sembra di osservare tutto dall’esterno, da un punto inconcepibilmente remoto, fuori del tempo e dello spazio, fuori della tragica tensione di tutto. Questa sensazione, quella notte, fu molto forte. Era un altro aspetto del mio sogno.[6]

L’elemento del “vedersi vivere” non è riducibile a questo frammento, per altro, piuttosto chiaro. E’, invece, il punto di vista narrativo adottato da Wells per descrivere i suoi personaggi, che sono opposti alle descrizioni di un James, laddove, invece, si è del tutto immersi in prima persona alle vicende dei personaggi stessi (in tal senso, si possono leggere le pregevoli pagine di Giro di vite). In La guerra dei mondi c’è sempre un aspetto allucinato e allucinante, che è difficile da cogliere, senza la rilevazione della centralità del vedersi-vivere: tutto il romanzo è descritto mediante gli occhi attoniti di chi racconta in modo razionale, distaccato ciò che prova in sé. Così si assiste allo svolgimento indiretto dei fatti, dei fatti di una potenza e dimensione spropositati, che pure rifluiscono in una coscienza che è incapace di essere parte degli eventi in modo immediato, ma solo in modo indiretto. La conseguenza di ciò è, appunto, l’estraniazione dal mondo e dall’idea della prevedibilità di esso. Paradossalmente, la coscienza contemporanea mal tollera l’idea che la realtà sia costituita da leggi che non costituiscono una morale: la prevedibilità, la reiterabilità rendono la vita dell’uomo insopportabile e essenzialmente inumana. Per questo le persone trovano molti fatti quotidiani come se fossero fuori dall’ordinario e riconoscono nell’elemento estraneo un fatto divertente, prova ne è il recente amore per i video insoliti reperibili su vari canali e, in modo più elevato, nelle poetiche filmiche di Tarantino (Pulp fiction, I bastardi senza gloria) e dei Fratelli Cohen (Il grinta, Il grande Lebowsky in particolare). Gli uomini contemporanei sono immersi in una realtà chiusa, che li rende ciechi di fronte alle frontiere della conoscenza e dell’immaginazione. La coscienza inquieta, così, li condanna a trovar refrigerio in una scissione tra il sé e l’accadimento naturale, rilevato nella coscienza dall’insieme delle loro percezioni. Wells coglie tutto ciò e lo restituisce con semplicità e grande acutezza nell’assimetria del mondo agreste londinese, fatto di piccole e rassicuranti certezze, distrutto, divelto e devastato dalle più oscene creazioni dell’intelligenza. Il mondo crolla su se stesso, collassa perché la coscienza stessa  è sprofondata in sé stessa.

Questa analisi vuole proporre La guerra dei mondi come uno dei libri più densi di rimandi e significati che non deve sfuggire alle osservazioni del lettore. Tuttavia, ci sono anche altre sfaccettature rilevanti, in particolare, la descrizione di alcuni personaggi centrali: l’artigliere, lo scienziato, il prete, l’intellettuale e l’uomo normale. L’artigliere costituisce l’elemento istituzionale, da un lato, e militare, dall’altro. Egli rappresenta l’ordinario prolungamento della normalità-istituzionale nella sua espressione di massima rigidità e, al contempo, rappresenta una figura sociale importante, specie nel mondo militarista vittoriano. In generale, l’esercito risulta impotente di fronte alla capacità dei marziani. Come pure risulta impotente la scienza sia a predire l’aggressione marziana sia a sconfiggerla. Essa, in fondo, compare solo come una capacità umana tra le altre, incapace di dare salvezza in tutti i sensi. Come è incapace di dare salvezza, sotto altri aspetti, la religione. Wells è ben poco tenero nei confronti del prete, il quale, piuttosto, rappresenta l’incapacità delle credenze del passato di fronte alle sfide della contemporaneità, laddove, ormai, semplici ideologie alla buona, ancora troppo imbevute di superstizione e di antiche leggende, non costituiscono più una risposta neppure per chi dovrebbe difenderle. L’intellettuale, che è poi il protagonista, non riesce a trovare risposte all’oblio e alla distruzione operata dai marziani. Sul piano delle risposte razionali, il dialogo tra l’artigliere e il protagonista, sul finire della seconda parte, risulta decisivo per farci capire come, nel mondo tratteggiato da Wells, l’intellettuale è incapace di trovare delle valide risposte agli interrogativi angosciosi del presente e riesce anche ad abbracciare la posizione di chi, nel momento, è capace di persuaderlo. Ma, a seguito della disillusione, ciò che gli rimane in mano è solo il senso di crollo, di fine. Dunque, istituzioni (artigliere), religione (prete), conoscenza (scienza), intellettualismo (protagonista) sono tutte risposte insufficienti, parziali. La metafora: di fronte all’apocalisse della coscienza nessuno riesce a dare un valida risposta e tutti si affannano inutilmente a inseguire fantasmi. Il sintomo più evidente del fallimento globale è dato proprio dall’abbandono finale del protagonista che, ormai troppo provato, decide di andare incontro alle macchine marziane per metter fine al proprio destino.

Un’ultima lettura di questo romanzo è quella del contraccolpo del colonialismo e dell’imperialismo. Nel mondo inglese nulla doveva apparire più lontano, in quel periodo nel quale la Francia rappresenta l’alleato contro la più esuberante Germania, di un’invasione di una potenza straniera. L’Inghilterra vittoriana è, forse, il primo paese al mondo nel quale la sicurezza nella propria inviolabilità ha posto i propri cittadini nella condizione di considerare se stessi come in una realtà perfettamente chiusa e impermeabile. Ma fa parte della coscienza contemporanea l’idea che la distruzione sia il risultato finale del malessere che la nostra società cova su se stessa, il malessere mai dissolto dell’odio nei confronti di un mondo incomprensibile che, grazie al percorso iniziato da lontano, abbiamo introiettato dentro di noi: l’odio per se stessi è, forse, uno dei più presenti sentimenti nel nostro mondo civile. Così la guerra non è più una guerra giusta e portata agli altri per imporgli un ordine civile, morale. Adesso la guerra è dentro la nostra società incapace, inetta e inquieta, fatta di uomini mediocri. Le continue parole dei politici dei nostri giorni, fatte di sfiducia verso il singolo, portano solo l’epilogo di un lungo processo culturale e coscienziale.

La guerra è dentro di noi. I marziani sono approdati in Inghilterra, trasformandola in campo da arare e in pascolo. Wells doveva essersi fatto un’idea di ciò che gli inglesi devono aver fatto a molte altre popolazioni: “I marziani risparmiarono il raggio ardente (…) perché non volevano distruggere il territorio, ma soltanto schiacciare e sopraffare con il terrore l’opposizione che avevano suscitata. Quest’ultimo scopo fu certamente raggiunto. Domenica sera segnò la fine dell’opposizione e della resistenza organizzata.”[7] Chi non sapesse da dove è tratta questa citazione, poteva benissimo pensare che fosse ripresa da qualche libro algerino, etiopico o vietnamita, nei quali le descrizioni di uomini di fronte agli attacchi con il Napalm, con i gas  o col fosforo bianco non dovevano essere poi così lontane da questa.

-E’ tutto finito, – disse [l’artigliere] – Loro ne hanno perso uno. Appena uno. Si sono piazzati benissimo e hanno ridotto all’impotenza tutto ciò che di più potente poteva esistere al mondo. Ci hanno calpestati. La morte di quel gigante a Weybridge è stata un caso. E questi sono soltanto i pionieri. Continuano ad arrivarne. Quelle stelle verdi… da cinque o sei giorni non ne ho più viste, ma senza dubbio ogni notte ne cade qualcuna, chi sa dove. Non c’è più niente da fare. Siamo schiavi! Siamo stati battuti.[8]

Più volte vien detto che gli uomini stanno ai marziani come le formiche stanno agli esseri umani. Ma l’idea centrale è quella di portare di fronte al popolo più imperialista della storia la coscienza di chi vive dall’altra parte, di chi è costretto a vedersi distrutto, anche da una tecnologia superiore, che non vuol dire civiltà superiore. Nonostante tutta la loro intelligenza, i marziani non sembrano né buoni né malvagi, sono solo guidati da ottenere il loro scopo, cioè la soddi


sfazione della fame attraverso l’allevamento di esseri umani.

Per un volume di meno di duecento pagine, abbiamo detto tanto. E si potrebbe continuare a lungo su uno dei libri più sorprendenti che si possa incontrare. Sicuramente siamo di fronte ad un straordinario genio della narrativa di ogni tempo, capace di trasportarci in un mondo fantastico e farcelo credere così vivo da chiudere il libro con il sollievo di una calamità scampata che, ormai, appartiene alla nostra storia!


WELLS HERBERT  G.

LA GUERRA DEI MONDI

MURSIA

PAGINE 189.

EURO: 10.30.


[1] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p. 132.

[2] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p. 127.

[3] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p.129.

[4] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p. 130.

[5] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p. 101.

[6] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p. 30.

[7] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p. 91.

[8] Wells H. G. (1897), La guerra dei mondi, Mursia, Milano, p. 156.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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