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Des fames, des dez et de taverne (ms. Paris, BnF, fr. 25545, f. 4r) – Elementi per una nuova edizione critica

Des fames, des dez et de taverne (ms. Paris, BnF, fr. 25545, f. 4r)

Introduzione e status quaestionis:

Passando in rassegna i manoscritti di recueil della letteratura medievale oitanica si trovano, anche in codici di primario interesse critico, testi che non hanno goduto di attenzione filologica e linguistica, e lungo sarebbe discorrere se ciò sia a buon diritto o meno. Diversi sono i testi le cui edizioni critiche sono di vecchia data, ma ciò spesso perché insuperate, o completamente assenti.[1] Un caso interessante proviene dal ms. Paris, Bibliothèque Nationale de France, 25545 (siglato I),[2] codice membranaceo (217×145 mm.) della prima metà del XIV sec., vergato in gotica francese:[3] alla carta 4ra-rb si trova un testo in versi piuttosto peculiare. Il titolo, adottato anche dagli editori, è Des fames, des dez et de taverne (lett. “Sulle donne, sui dadi e sulla taverna”)[4] e conta 74 versi in quartine. I versi mischiano lingua antico-francese in apertura di verso e latino in chiusura di verso e in coda alle quartine. Questo carattere miscellaneo complica la definizione precisa della metrica del testo, che è di contro identificabile per i versi interamente latini.

Il testo, tràdito unicamente dal ms. I, ha visto una messa in edizione prima da parte di Étienne Barbazan (1808: 485-488) e successivamente ad opera di Veikko Väänänen (1946). È stato inoltre oggetto di studio da parte di Victor Le Clerc (1856: 494) e Otto Müller (1919: 88) che ne trascrive le prime tre strofe. L’edizione di Väänänen è da ritenersi felicemente insuperata, in quanto prosegue da uno sforzo di ricerca marcatamente filologico, con presentazione del contesto, trascrizione e accurata esegesi in commento dello stesso e delle sue caratteristiche strutturali. L’intento di tracciare gli elementi per una nuova edizione critica mirano pertanto non a sostituire il lavoro di Väänänen, quanto piuttosto ad ampliarne gli orizzonti sulla scorta delle nuove prospettive filologiche sviluppate in oltre settantacinque anni dall’edizione.

 

Le prospettive di una nuova edizione critica:

Il carattere della tradizione manoscritta, ridotta a un unico esemplare, annulla la necessità di un processo marcatamente lachmanniano di ricostruzione tramite collatio, costruzione dello stemma e valutazione delle varianti. Il testo del ms. I non è chiaramente da intendersi come monolitico: una nuova edizione critica, partendo da un’operazione paleografica svolta sul testimone, mira ad apportare eventuali correzioni richieste sulla base della bontà delle lezioni tràdite, nonché a valutare il lavoro svolto dai precedenti editori. La ricostruzione andrebbe pertanto a smarcarsi da un lavoro ancorato alle lezioni, lasciando maggior spazio a un intervento, chiaramente sapiente e razionale, dell’editore in caso di lezioni evidentemente corrotte.

Compiuta la messa in edizione del testo, con tutte le operazioni filologiche del caso, una nuova edizione critica si propone di portare al pubblico una traduzione in lingua italiana, che ad oggi ancora manca. Lo status quaestionis non vede alcuna traduzione approntata, dunque la strutturazione di un’edizione può vagliare l’ipotesi di una traduzione anche in lingua inglese, di modo da ampliare ostensibilmente il pubblico di riferimento. La traduzione andrebbe a basarsi sui principi di rispetto della forma poetica di partenza: si intende pertanto un attaccamento etimologicamente fedele al vocabolario dell’anonimo autore, o copista, ma senza per questo trascurare l’estetica del testo tradotto. La forza della traduzione va a fondarsi sull’unione tra l’attenta considerazione linguistica del testo di partenza e la cura stilistica del testo di arrivo. La scelta di apportare una traduzione permetterebbe anche di portare un attento esame della facies linguistica, già presente nell’edizione di Väänänen ma ampliabile e perfettibile.

Ulteriormente, l’edizione critica apre alla possibilità di una considerazione in termini di filologia materiale: ampliando l’orizzonte di esame del testo, estendendo l’interesse all’intero codice, permette una valutazione ad ampio spettro circa il processo di mise en recueil, un campo che ad oggi vede notevole espansione nella ricerca filologica. Si intende pertanto valutare il modo in cui il testo si inserisce nella cornice di un recueil del primo XIV sec., e il modo in cui si rapporta agli altri testi del manoscritto. Tali valutazioni, congiuntamente a un esame delle mani che hanno vergato il codice e della sua provenienza, permettono di delineare il progetto antistante la realizzazione del manoscritto, ossia gli intenti dei copisti, gli orizzonti d’attesa di riferimento, e il pubblico idealmente immaginato come destinatario. Ciò sarebbe chiaramente subordinato a un’identificazione del genere del testo, contribuendo peraltro a delineare chiaramente le categorie testuali di una data sincronia storica.

La tematica del testo offre, infine, la possibilità di trattare ampliamente, con corredi antologici, il topos della taverna nella letteratura romanza del Medioevo. Lo status quaestionis consta già di numerosi e importanti contributi a riguardo,[5] ma si ritiene ben opportuno corredare l’edizione della considerazione di un topos così ampiamente esperito dagli autori: già Valerio Marziale, nell’epigramma XCIV, libro VI, l’ambiente dell’osteria («Sic etiam in stabulo semper, sic cenat in agro.», v. 3) per parodiare, in maniera pungente, i frequentatori abituali.[6] Sempre nell’ambito della latinitas, il tema della taverna è trattato nel carme CXCVI dei celebri Carmina Burana, eloquentemente intitolato In taberna quando sumus.

Diversi altri autori hanno affrontato la tematica, ne è un esempio il Boccaccio del Decameron (cfr. III, 5; VI, 10; X, 6), e un caso di grande interesse da analizzare nell’ambito dell’edizione critica è quello del sonetto Tre cose solamente mi so ‘n grado del poeta senese Cecco Angiolieri. Si coglie immediatamente la vicinanza dei due testi, quantomeno nella tematica trattata: entrambi gli esperimenti poetici mettono in rima i tre elementi che sono la donna, il gioco d’azzardo e la taverna. I due testi sono pressoché coevi, e la datazione rimane una questione dibattuta. Sebbene non sussistano elementi sufficienti a dimostrare, o quantomeno a postulare con relativa certezza, che Cecco Angiolieri avesse conoscenza del testo bilingue, o contrariamente che l’anonimo autore avesse conoscenza del sonetto del senese, vale la pena di analizzare consonanze e dissonanze, alla ricerca di un plausibile modello comune che funga da archetipo dei due testi.

 

 

Bibliografia:

Barbazan 1808 = Étienne Barbazan, Fabliaux et contes des poètes françois des XIe, XIIe, XIIIe, XIVe et XVe siècles, tirés des meilleurs auterus, éd. par Martin Méon, Paris, Warée, 1808.

Cecco Angiolieri, Rime = Cecco Angiolieri, Gigi Cavalli (curatela di), Rime, Milano, BUR, 1979.

Curtius 2022 = Ernst Robert Curtius, Roberto Antonelli (curatela di), Letteratura europea e Medio Evo latino, Macerata, Quodlibet, 2022 (1° ed. 1948).

Di Massa 2024 = Simone Di Massa, Le Dit du Chevalier tort: saggio di edizione critica [Tesi di Laurea Triennale], Milano, Università degli Studi di Milano, 2024.

Dolgorukova 2022 = Natalia Dolgorukova, In taberna quando sumus. Chronotope de la taverne dans les textes des XIIe-XIVe siècles, in Littérature urbaine- Donnée culturelle médiévale ou concept de l’histoire littéraire?, Classiques Garnier, 2022, n. 48, pp. 245-266

FEW = Walter von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, version 2002, digitalizzato da ATILF-CNRS, Université de Nancy, online all’url < https://lecteur-few.atilf.fr/index.php/>.

Le Clerc 1856 = Victor Le Cler, Poésies Historiques, in Histoire littéraire de la France, Parigi, Firmin Didot et Treuttel et Wurz, tomo XXIII, 1856.

Müller 1919 = Otto Müller, Das lateinische Einschiebsel in der französischen Literatur des Mittelalters, Zurigo, 1919.

NRCF = Nouveau Recueil Complet des Fabliaux (NRCF), publié par Willem Noomen et Nico van den Boogaard, Assen, Van Gorcum, 1983-1998, 10 voll.

Valerio Marziale, Epigrammi = Valerio Marziale, Giuseppe Norcio (curatela di), Epigrammi, Torino, UTET, 2006.

Väänänen 1946 = Veikko Väänänen, Des Fames, des dez et de la taverne. Poème satirique du XIIIe siecle mélant français et latin, in Neuphilologishe Mitteilungen 47/3 (1946), pp. 104-113.

 

 

[1] Fa da esempio il dit Du Chevalier tort, di tradizione manoscritta quadri-testimoniale, e la cui prima edizione critica di stampo neo-lachmanniano, curata da Simone Di Massa come progetto di tesi, è del 2024.

[2] Si adotta la sigla stabilita dal NRCF (cfr. in bibliografia).

[3] Per i dettagli filologici sul manoscritto si rimanda alla scheda della Section romane, notice de Paris, Bibliothèque Nationale de France, Manuscrit fr. 25545 del database Jonas-IRHT/CNRS, online all’url <https://jonas.irht.cnrs.fr/manuscrit/45943>.

[4] La scelta di rendere Dez con dadi risponde all’idea che la forma, dal lat. popolare DATUM (cfr. carta Dado del Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, curato da Ottorino Painigiani, online all’url <https://www.etimo.it/?term=dado>), corrisponda a una resa antico-francese, essendo datato il testo al XIII sec., dell’attuale francese dés, con una sibilante il posizione finale che si frappone, quantomeno congetturalmente, tra un’articolazione di affricata dentale sonora e di sibilante alveolare sorda. È tuttavia opportuno tenere conto della definizione che si trova in FEW Ø (cfr. FEW), ossia instrument: sebbene etimologicamente il collegamento sia problematico, il sostantivo, di carattere piuttosto generale, andrebbe a indicare metonimicamente la musica, propria peraltro dell’ambiente di taverna.

[5] Cfr. Dolgorukova 2022, in cui si fa riferimento anche al testo Des fames, des dez et de taverne.

[6] Marziale fa riferimento a Calpeziano, il quale, ovunque si trovi a cenare, è solito farlo usando vasellame d’oro, sebbene non ne possegga, in  verità, alcuno e siano tutti presi in prestito (« […] Non habet immo suum» v. 4).


Simone Di Massa

Disse il linguista Noam Chomsky che nella vita "è importante imparare a stupirsi dei fatti semplici", ciò è esattamente quanto i miei lavori di linguistica, filologia e letteratura cercano di apportare a SF, il culto degli studi e della ricerca e la meraviglia della semplicità, fino alla minima parola poetica. Studioso di Lettere Moderne a Milano, da sempre vivo con l'ambizione di tenere alti i valori sacri del mondo delle lettere, donando con i miei lavori quanto il panorama letterario ha donato a me, apportando alla mia vita nuovi colori e la consapevolezza che la totalità non è che un insieme di dissonanze.

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