Operazione Lam Son 719
1971. Vietnamizzazione all’esordio: un costoso passo falso
Tratto dall’articolo pubblicato sul mensile Storia & Battaglie n.248, ottobre 2023, Luca Poggiali editore, Vicchio (Firenze)
Prologo:
L’operazione Lam Son 719, che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una puntata offensiva sudvietnamita in Laos, per tagliare le linee di rifornimento nordvietnamite dirette al Sud lungo la Pista di Ho Chi Minh, riveste una particolare importanza nello svolgimento della guerra del Vietnam, per diversi motivi. Anzitutto è stata la prima importante operazione offensiva terrestre avviata nella seconda fase della guerra del Vietnam, a ritiro americano già in fase avanzata e coinvolgimento cambogiano in fase altrettanto avanzata. Poi perché sarebbe stato il primo vero test sul campo del cosiddetto processo di “vietnamizzazione” del conflitto, cioè con l’esercito sudvietnamita a farsi carico delle operazioni di combattimento, lasciando progressivamente agli americani solo l’appoggio aereo (anch’esso comunque in diminuzione), il supporto logistico e una presenza di consiglieri sempre più limitati al ruolo di ufficiali di collegamento con l’aviazione tattica americana, per guidarne da terra gli interventi a favore dei sudvietnamiti. Il risultato non fu proprio quello atteso, come vedremo.
L’8 dicembre 1970, in seguito ad una richiesta degli Stati Maggiori Riuniti americani, fu tenuta una riunione segretissima al quartier generale del MACV (Military Assistance Command, Vietnam, come si chiamava il comando americano) a Saigon, per discutere la possibilità di un attacco dell’ARVN (Army of the Republic of Vietnam, l’esercito sudvietnamita) attraverso il confine col Laos sud-orientale. Secondo il generale Creighton W. Abrams, all’epoca comandante americano in Vietnam (aveva preso il posto del criticatissimo Westmoreland), la spinta principale per l’offensiva venne dall’allora colonnello Alexander M. Haig (poi generale, capo dello staff della Casa Bianca sotto Nixon e Ford, quindi comandante supremo della NATO in Europa e infine segretario di Stato), che all’epoca era un assistente del consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger. Il MACV, il comando americano a Saigon, aveva avuto notizie allarmanti di una crescita dell’attività logistica nordvietnamita nel Laos sud-orientale, ma era riluttante a lasciare che l’ARVN affrontasse da solo l’esercito nordvietnamita. Le conclusioni del gruppo di lavoro furono inviate agli Stati Maggiori Riuniti a Washington. Per metà dicembre, anche il presidente Nixon era diventato molto interessato a possibili azioni offensive in Laos e si era impegnato a convincere Abrams e i membri della sua amministrazione della efficacia di un attacco oltre confine.
Ecco una sintetica cronologia degli avvenimenti, riportata giorno per giorno, in base agli avvenimenti significativi.
23.12.1970. Il presidente Nixon approva, in linea di principio, l’operazione “Lam Son 719” (cioè l’incursione, da condursi a cura delle forze sudvietnamite, in territorio laotiano per bloccare la pista di Ho Chi Minh).
30.1-6.3.1971. Operazione “Dewey Canyon II”, lanciata nelle province di Quang Tri, di Khe Sanh e nella Valle di A Shau (MR I Military Region I) a supporto della prossima “Lam Son 719”, prevista per febbraio (cfr. 8.2.) con l’attacco sudvietnamita nel sud del Laos. Gli americani schierano la 1a brigata della 5a div. meccanizzata, reparti della 101a div. aviotrasportata (airmobile) e il 2°/17° cavalleria (ricognizione aerea) per un totale di 9.000 uomini, più reparti sudvietnamiti per 20.000 uomini, contro unità nordvietnamite. Non essendo autorizzate a seguire l’ARVN nel Laos, le forze USA conducono solo operazioni di aeromobilità (elitrasporti d’assalto a favore delle truppe ARVN e aviorifornimenti) e supporto aerotattico e coi B-52. La “Dewey Canyon II” terminerà il 6 marzo.
8.2.1971. Scatta l’Operazione “Lam Son 719”. Attacco sudvietnamita verso il Laos meridionale con la 1a divisione di fanteria, la 1a brigata corazzata, unità rangers, paracadutisti e successivamente marines, in totale inizialmente 17.000 uomini, agli ordini del generale Hoàng Xuân Lãm, comandante della prima zona tattica (la più settentrionale del paese). Appoggio aereo assicurato da parte di gruppi della 1st Air Division della VNAF (Viet Namese Air Force, l’aeronautica sudvietnamita). L’attacco, partente dall’area della base di Khe Sanh, con l’occasione rioccupata e riallestita, è mirato alla conquista e distruzione del nodo logistico di Tchepone, nella BA 604 (Base Area 604, base logistica nordvietnamita in territorio laotiano), crocevia fondamentale per lo smistamento del traffico di rifornimenti nordvietnamiti sulla “pista di Ho Chi Minh”. Al nemico erano noti i piani d’attacco, quindi manca la sorpresa operativa: già dal 26 gennaio era stato intercettato un radiomessaggio nordvietnamita in cui si dava per certo un attacco nemico teso a interrompere il proprio sistema di rifornimenti, ordinando quindi lo stato di allerta, la raccomandazione di colpire duramente il nemico e di intensificare la vigilanza. A tutto ciò si aggiunge una notevole superiorità numerica nordvietnamita, non prevista dai pianificatori sudvietnamiti e americani.
Schieramento iniziale nordvietnamita (Fronte Strada N°9-Laos Meridionale, anche “Fronte B5”, agli ordini del magg. gen. Le Trong Tan): reparti delle divisioni 2a, 304a, 308a, 320a e 324a più le unità di fanteria, difesa antiaerea e supporti tattici del 559° Gruppo (“Trasporti”), tra cui tre battaglioni corazzati, in totale 60.000 uomini più 5.000 del Pathet Lao. La rapida reazione nordvietnamita provoca il primo scontro diretto della guerra tra corazzati sudvietnamiti e nordvietnamiti: circa quattro miglia all’interno del Laos, 17 carri leggeri M-41 della 1a brigata corazzata ARVN (accompagnata da due battaglioni di paracadutisti e 2 reggimenti di cavalleria corazzata) mettono fuori combattimento 22 carri nordvietnamiti (6 carri medi T-54 e 16 carri leggeri PT-76) contro la perdita di 5 M-41 e 25 trasporti truppe blindati. L’avanzata sudvietnamita si arresta a Ban Dong, pochi chilometri oltre il confine laotiano, sulla Strada N° 9 trasformata in un pantano dal maltempo. Contrattacchi concentrati di fanteria e corazzati nordvietnamiti causeranno il blocco e il fallimento dell’offensiva. Un ordine segreto di Van Thieu ha preventivamente imposto (all’insaputa degli alleati americani) l’interruzione dell’offensiva al raggiungimento di una soglia di perdite di 3.000 tra morti e feriti. Una volta raggiunto questo livello di perdite la ritirata sarà ordinata senza alcun coordinamento né intesa operativa con gli americani. Un assalto eliportato sudvietnamita nei pressi di Tchepone avrà un valore esclusivamente simbolico (cfr. 6.3). Entro fine marzo le truppe sudvietnamite si ritireranno sotto il fuoco nemico subendo gravi perdite. 7.682 tra morti (1.764) feriti e dispersi. I nordvietnamiti subiranno perdite imprecisate, dovute soprattutto agli attacchi aerei americani, valutate intorno ai 20.000 tra morti (10.000), feriti e dispersi. A Washington, l’operazione era stata caldeggiata dal generale Abrams e dal presidente dei JCS amm. Thomas Moorer, contro il parere di Westmoreland (CSM dell’esercito e precedentemente capo del MACV in Vietnam), come mezzo sicuro per interdire per almeno due anni il flusso logistico nordvietnamita diretto al Sud.
16.2. Operazione “Desert Rats”, proposta dalla CIA, mirata a bloccare un importante tratto della “pista di Ho Chi Minh” 25 miglia a sud-ovest di Tchepone. Forze laotiane impegnate: GM (Groupement Mobile) 33, su 4 battaglioni irregolari, destinati ad essere eliportati in zona, con l’intenzione di non opporre più di tanta resistenza ad un eventuale ritorno offensivo del 48° rgt. NVA (unità nordvietnamita nell’area). Questa operazione era stata concepita essenzialmente a scopo diversivo, per favorire la contemporanea operazione “Lam Son 719”. 16.2: infiltrazione via elicottero, in seguito alla quale il GM 33 riesce ad interdire efficacemente tratti di “pista” a sud di Muong Phine fino a metà marzo. Le forze laotiane proseguono l’azione verso Muong Phine (che raggiungono il 20.2) fino al crocevia tra le Routes 9 e 23, ad ovest di Tchepone. Il 20.3 un contrattacco nordvietnamita disperde le forze irregolari laotiane, determinando la fine dell’operazione. I laotiani, avendo subito modeste perdite, si ritirano ordinatamente.
6.3. Truppe sudvietnamite eliportate (2° e 3° btg. del 2° rgt. ARVN, trasportati da 120 elicotteri nella maggiore operazione elicotteristica della guerra) occupano per breve tempo il nodo logistico di Tchepone, nell’ambito della “Lam Son 719” (cfr. 8.2), ma lo abbandonano ben presto, sotto la pressione delle truppe nordvietnamite, decisamente superiori per numero. Nelle tre settimane successive di rotta verso il confine sudvietnamita, l’ARVN conterà perdite pari a poco meno della metà della forza impiegata (7.500 tra morti – 1.764 – feriti e dispersi). I nordvietnamiti registreranno nel ciclo di operazioni circa 20.000 perdite tra morti (da 3.000 a 10.000 secondo le stime), feriti e dispersi.
6.4. Termine ufficiale dell’operazione “Lam Son 719” (cfr. 8.2 e 6.3). Le forze americane a supporto tattico e logistico dell’ARVN hanno perso sette aerei (6 dell’USAF e 1 dell’US Navy), 107 elicotteri più 618 danneggiati, 176 morti, 1.042 feriti e 42 dispersi. 54 carri leggeri M-41 sudvietnamiti sono andati perduti, distrutti o in buona parte abbandonati.
Il risultato dell’operazione, come si vede da quanto riportato sopra, fu un mezzo disastro. Malgrado perdite umane numericamente più elevate da parte nordvietnamita (perdite dovute però in gran parte agli attacchi aerei americani), nessun obiettivo dell’operazione poté essere raggiunto o almeno mantenuto per un tempo ragionevole per poter dichiarare quanto meno un successo tattico utile a livello psicologico e propagandistico. O meglio, Van Thieu dichiarò pubblicamente proprio questo in un proclama alle truppe, e Nixon per parte sua dichiarò che l’operazione era la dimostrazione che la vietnamizzazione era stata un successo. Nonostante si fosse registrata la distruzione di numerosi depositi logistici nordvietnamiti (per quanto in grandissima parte per gli attacchi aerei americani), il bilancio in realtà fu ben lungi dall’essere almeno un onorevole pareggio. L’esercito di Saigon fu rapidamente messo in crisi e costretto ad una ritirata che in alcune circostanze si trasformò in una rotta. Per di più, ad essere impegnate e ad esserne uscite semidistrutte erano state alcune delle migliori unità sudvietnamite. In tutto ciò, va sottolineato che i piloti di elicottero americani, che in questo caso non dovevano trasportare, o portare in salvo, propri connazionali, si prodigarono con grande slancio, spirito di sacrificio e perdite pesanti, per soccorrere gli alleati sudvietnamiti.
Non c’è dubbio che l’avvio di un’operazione in condizioni (impreviste) di inferiorità numerica rispetto al nemico, nonché in mancanza di sorpresa operativa, erano delle ottime premesse per un insuccesso. Indubbiamente la determinazione e la reattività dei nordvietnamiti fu un fattore decisivo per l’esito infausto dell’offensiva. Corre però l’obbligo di segnalare come, anche in questo caso, lo scollamento tra il livello politico più alto (e per di più, su questo piano, lo scoordinamento tra Saigon e Washington) e il livello operativo sul campo sia stato l’elemento determinante nel minare alla base l’operazione e le sue possibilità di riuscita.
Il sistema politico e di fedeltà personale, che determinava le promozioni e il mantenimento delle posizioni di comando di gran parte degli alti gradi sudvietnamiti, ebbe il suo grave impatto negativo anche in questa circostanza. Il tenente generale Lê Nguyên Khang, comandante dei Marines sudvietnamiti (una delle travi portanti dell’operazione), era un protetto del vicepresidente Nguyễn Cao Kỳ, storico rivale politico del presidente Van Thieu. Khang by-passava di fatto il comandante designato dell’operazione, generale Hoàng Xuân Lãm, che era viceversa appoggiato proprio dal presidente Văn Thiệu. La stessa situazione si verificava con il tenente generale Dư Quốc Đống, comandante della divisione aviotrasportata, altro cardine dell’offensiva. Dopo l’inizio dell’operazione, entrambi rimasero a Saigon, delegando il comando sul campo ad ufficiali in sottordine, piuttosto che dover prendere ordini da Lãm. Ci si può immaginare quali fossero le conseguenze per un’efficace azione sul campo. Noi italiani abbiamo visto nella battaglia navale di Lissa, nel 1866, quanto fosse esiziale avere dei comandanti (Albini e Vacca, in quel caso) che non riconoscevano affatto l’autorità del comandante designato in mare (Persano).
Per finire, le unità operative sudvietnamite non vennero informate del loro coinvolgimento fino al 17 gennaio. La divisione aviotrasportata non ricevette piani dettagliati prima del 2 febbraio 1971, meno di una settimana prima dell’inizio della campagna. Questi ritardi furono particolarmente dannosi perché molte unità, specie dei paracadutisti e dei marines, avevano fino ad allora sostanzialmente operato con battaglioni indipendenti, al più brigate, ma non avevano alcuna esperienza o serio addestramento ad operazioni congiunte, combinate e coordinate con unità in azione in aree adiacenti. Nel complesso la pianificazione dell’operazione fu affrettata, danneggiata da eccessive restrizioni dovute alla segretezza, tanto che ufficiali-chiave vennero tenuti fuori dalle riunioni operative (senza che comunque, come abbiamo visto, la riservatezza fosse assicurata) e per giunta, come troppo spesso accadeva in Vietnam, condotta separatamente da sudvietnamiti e americani, a compartimenti stagni.
Una considerazione finale: i militari nordvietnamiti di ogni grado (a partire dal comandante della “Strada 559” cioè di tutte le forze NVA sulla “Pista di Ho Chi Minh” e del flusso logistico annesso, colonnello, poi generale Dong Sy Nguyen) si domandavano durante la guerra (con malcelato timore) e si domandarono dopo (con meraviglia) come mai gli americani non avessero mai mandato delle truppe a bloccare anche solo un piccolo tratto della “Pista di Hi Chi Minh”, in Laos. I bombardamenti aerei, su strade seminascoste nella giungla, non potevano avere alcun effetto decisivo. Quando i sudvietnamiti tentarono la mossa, per l’appunto con la Lam Son 719, per conto proprio (anche se come abbiamo visto la decisione e le pressioni per la sua implementazione furono americane), nel 1971, era ormai troppo tardi: le dimensioni, le ramificazioni e le varianti della “Pista” ormai erano tali che anche se l’operazione Lam Son 719 non fosse stata il tragico fiasco che fu, sarebbe cambiato ben poco.
Ai comandanti nordvietnamiti che facevano queste ovvie considerazioni sfuggiva il fatto che gli Stati Uniti, al contrario del Nord Vietnam, dovevano rendere conto delle proprie azioni ad un’opinione pubblica interna ed internazionale, ad una stampa sempre più critica, e ai consessi internazionali come l’ONU: una vera e propria operazione “stabile” e di presidio permanente, per quanto su una porzione di territorio limitata, in un paese formalmente neutrale come il Laos sarebbe stata inaccettabile per il costo politico e il coro di critiche che si sarebbe immediatamente scatenato a tutti i livelli. L’unico contrasto parziale furono le operazioni di guerriglia, svolte sotto l’egida della CIA nella cosiddetta “guerra segreta”. Il Nord Vietnam, che non giocava secondo queste regole, non aveva viceversa nessuna remora e non soffriva di nessuna conseguenza politica nel violare sistematicamente, da lustri, apertamente, la neutralità e la sovranità sia del Laos che della Cambogia, prendendo letteralmente possesso di amplissime parti del territorio di questi paesi, per garantire l’afflusso continuo e indisturbato di rimpiazzi, rifornimenti e rinforzi di ogni genere al sud, dove si svolgeva la lotta decisiva.
Corre l’obbligo di dire che invece, l’anno successivo, il 1972, di fronte alla triplice “Offensiva di Pasqua” nordvietnamita, il tono e la tenuta dell’ARVN sarebbero stati molto diversi, sia pure in un contesto tattico di difensiva-controffensiva (mentre la Lam Son 719 avrebbe voluto essere una fulminea puntata offensiva). Il valore e la tenacia, sia pure, in prospettiva storica, inutili, dei soldati sudvietnamiti, si dimostrarono allora appieno, per quanto i comandi sudvietnamiti evidenziarono ancora, in troppi casi, una fibra morale non all’altezza della durezza dell’impegno.
Unità impegnate sui fronti contrapposti (NVA – esercito nordvietnamita, contro ARVN – sudvietnamiti e alleati americani):
NVA: un battaglione del 202° reggimento carri; 304a divisione; 308a divisione; 320a divisione; 324a Divisione di fanteria (per un certo periodo nota come 324B, poi indicata sempre dalla storiografia nordvietnamita ufficiale solo come 324); 968a divisione di fanteria.
ARVN (esercito sudvietnamita): 1a divisione di fanteria; Divisione Aviotrasportata; Divisione Marines; 1a brigata corazzata, 1° gruppo Rangers
Laos: GM (Groupement Mobile) 30 e GM 33. Unità di guerriglieri irregolari organizzati e supportati dalla CIA per la “guerra segreta” nel Laos.
USA: 101a divisione aviotrasportata e in genere unità del XXIV Corpo d’armata (principalmente supporto elicotteristico e supporto di fuoco. L’appoggio “sul terreno” ci fu solo in territorio sudvietnamita, non nella “zona calda” del Laos dove avvennero gli scontri decisivi).
Bibliografia:
Cosmas, Graham A., e Murray, Lt. Col. Terrence P., US Marines in Vietnam – Vietnamization and Redeployment, 1970-1971, History and Museums Division, Headquarters, U.S. Marine Corps, Washington, D.C. 1986
Giorgi, Alessandro: Cronaca della Guerra del Vietnam 1961-1975, Luca Poggiali Editore, Vicchio, 2016.
Ha Mai Viet, Steel and Blood – South Vietnamese Armor and the War for Southeast Asia, Naval Institute Press, Annapolis 2008
Nguyen Duy Hinh, magg. gen. ARVN, Lam Son 719 (serie “Indochina Monographs”), US Army Center of Military History, Washington, D.C. 1979
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