Introduzione:
Pur non di meno valutando l’importanza della festa degli innamorati, di celebrazione ricorrente il 14 febbraio in onore di San Valentino[1], l’occhio di passion filologica non potrà mancar di notare come il medesimo giorno sia anche ricorrenza della sottoscrizione del patto di alleanza difensiva, conosciuto come Serments de Strasbourg (Giuramenti di Strasburgo), tra Lodovico il Germanico e Carlo il Calvo, figli dell’imperatore Lodovico il Pio (778-840), contro il fratello imperatore Lotario I. Il documento in questione, di datazione 14 febbraio 842 ma attestato unicamente dal posteriore ms. lat. 9768 BnF, di cui di seguito si propone la sinossi filologica, è riconosciuto come il primo documento cancelleresco di lingua romanza. La presente pillola linguistica si premura di presentare il documento dapprima sotto un punto di vista filologico e successivamente analizzando la patina linguistica che lo contraddistingue, dimostrandone l’importanza nella diffusione della lingua romanza di riferimento. Volendo dare un taglio romanzo alla presente pillola linguistica si andrà ad analizzare la varietà francese antica riportata nel giuramento di Lodovico il Germanico.
Il manoscritto latino 9768 BnF – una sinossi filologica:
I giuramenti di Strasburgo sono stati sottoscritti il 14 febbraio 842 a Strasburgo tra i due fratelli Lodovico il Germanico e Carlo il Calvo, alla presenza dei rispettivi eserciti che a loro volta han giurato. Trattasi di un giuramento bilingue, tenutosi ognuno nella lingua dell’altro, pertanto Lodovico giurò in francese antico[2] e Carlo il Calvo giurò in antico germanico. Le formule sono riportare con minuziosa fedeltà della patina linguistica dallo storico Nithard, abate laico di Saint-Riquier e autore dell’Historiae[3] o De dissentionibus filiorum Ludovici Pii, cugino dei due sovrani poiché figlio di Angilberto il Poeta e di Berta, figlia illegittima di Carlo Magno. La decisione di vergare il manoscritto originale riportando le formule rimanendo fedele alle varietà volgari[4] appare piuttosto insolita nel panorama cancelleresco del tempo, in cui la predilezione era per l’univocità della lingua latina, pur nel caso in cui la formula fosse effettivamente pronunciata in volgare. A sostegno di ciò, la filologa Meneghetti (in Meneghetti 2017:157, nota 3) propone l’esempio delle Adnuntiationes di Coblenza, redatte nell’ottobre del medesimo anno e che sancirono un ulteriore patto tra i due fratelli, trattasi di formule pronunciate in volgare ma riportate interamente in latino. Pertanto la decisione di Nitardo di rendere la lingua volgare in maniera fedele ha permesso di trasmettere una preziosissima testimonianza, prima tra le tante, di queste varietà linguistiche. Ma si tratta, in egual misura, anche di una scelta di vigore non indifferente, una presa di posizione linguistica che, affiancata da una conoscenza giuridica ottimale, ne contempla tanto il potenziale quanto i rischi del caso legati allo sdegno dell’opinione pubblica riguardo tale scelta. Non vi sono difatti notevoli precedenti tramandati, vale la pena di citare, come unico documento che presumibilmente Nitardo conosceva, il De barbarismo di Giuliano di Toledo (VIII sec.), in cui viene citata la lingua gallica e la cui unica trasmissione è in accompagnamento alla grammatica di Paolo Diacono nel ms. Vaticano Palatino lat. 1746 al f.77r (cfr. Villa 2002:20).
Il manoscritto originale non è pervenuto, le formule dei Giuramenti sono riportate da un manoscritto vergato oltre un secolo dopo, sul finire del X secolo. Trattasi del manoscritto lat. 9768 della Biblioteca Nazionale di Francia (Dipartimento dei Manoscritti), sebbene questo risulti mutilo in quanto la seconda parte, smembrata dal lat. 9768 tra i secoli XVIII-XIX, costituisce l’attuale ms. Vaticano Reginese lat. 1964. Il manoscritto, in lingua latina, è vergato da due mani distanti nel tempo, la prima che verga le prime cinque parti alla fine del sec. X, con la peculiarità di trascrivere il contoide approssimante labiovelare sonoro con il corrispettivo grafema /w/ quando maiuscolo ed in posizione iniziale di parola, impiegando invece, per il corrispettivo fonema, il grafema geminato di vocoide anteriore alto /u/ (es. in f.28v Willelmo ma in f.13r Lodhuuic). Il sesto taccuino è invece vergato da mano del sec. XI. Il manoscritto è corredato di numerose note di mani da collocarsi nei secoli XVI-XVII, probabilmente da attribuire ai proprietari del manoscritto, tra cui Pithou, Petau e Besly (cfr. Lauer 1905:xxxvi). Il manoscritto non presenta peculiarità nei capilettera, i quali sono trascritti in inchiostro nero ed in dimensione maggiore al resto del testo, vergato in minuscola tarda-carolina. Graficamente si può notare, come di norma, la resa del contoide fricativo labiodentale sonoro /v/ con il grafema di vocoide posteriore alto /u/ (es. saluament, saluarai, saluar), la resa del contoide sibilante alveolare /s/ con grafema simile al contoide fricativo labiodentale sordo /f/, con asta che non scende sotto il livello del testo, ed infine la resa della congiunzione latina et tramite il logogramma di legatura e-t, ossia &, con la sola eccezione della posizione ad inizio frase (del tipo si faz& ma Et ab ludher). Il tipo di legatura del manoscritto è una legatura italiana del XVIII secolo in pergamena naturale bianca ingiallita, da stabilire al 1760 circa per la presenza dei risguardi e dell’iscrizione VITTORI.
I primi 18 fogli sono dedicati ai quattro libri del De dissentionibus filiorum Ludovici Pii di Nitardo, con indicazioni editoriali forse aggiunte da P. Pithou. Si narra dapprima del contesto regale di Luigi, nel liber I, seguono gli eventi della dinastia carolingia nel periodo 841-843 compresi i Giuramenti di Strasburgo, nei libri II-III, e si conclude nel liber IV con le conseguenze del patto. La sezione è mutila, il f.18 è ridotto a cinque righe mentre il f.19r è mancante. Tra le annotazioni aggiunte, forse da Pithou, vi sono “Flodoardus” barrato, “Nithardus Angilbertus” al f.1 e “Frodoardus” al f.19v[5].
Il volgare di Ludovico il Germanico – una sinossi linguistica:
Volendo concentrare l’attenzione sulla formula testimone della Romana lingua, ossia del volgare francese antico impiegato da Lodovico il Germanico per giurare, di seguito si riporta la trascrizione della formula:
“Pro d(e)o amur & p(ro) ch(rist)ian poblo & n(ost)ro co(m)mun / saluament, dist di en auant, in quant d(eu)s / sauir & podir me dunat, si saluarai eo / cist meon fradre karlo, & in adhiuda / & in cad huna cosa, sicu(m) om p(er) dreit son / fradra saluar dift. In o quid il mi altre / si faz&. Et ab ludher nul plaid nu(m)qua(m) / prindrai qui meon uol cist meon fradre / karlo in damno sit.”
Dapprima è fondamentale sottolineare come questa formula, che vede in diretta successione la corrispettiva versione in lingua germanica, sia di per sé unica nel suo genere e prima di precedente alcuno. Di contro, la lingua germanica formulare gode di una tradizione che risale all’inserzione di terminologie antico-germaniche nelle Leges latine e nelle stesure del primo IX secolo della Lex salica[6].
Venendo dunque alle peculiarità linguistiche di questa varietà di francese antico, ancor non ben inquadrata nella propria realtà geolinguistica, si noti dapprima un vistoso ancoraggio al latino, segno di una demarcazione non ancora netta tra la lingua latina, prediletta per le stesure storiografiche e giuridiche, e la neoformata lingua volgare. Questo ancoraggio è dimostrato da alcuni elementi puramente latini, tra cui il pro ad incipit di formula, per cui ben poco regge l’ipotesi che la particella pro sia una forma metatetica di por, vista la consistente attestazione di pro nei formulari, il nu(m)qua(m) puramente latino e la formula conclusiva in damno sit, anch’essa puramente latina. Non meno sorprendente è l’assenza totale di articoli o articoloidi alcuni, puro ancoraggio alla sintassi latina considerando che forme primitive di articoli si ritrovano tanto nell’appendice parodico alla Lex Salica trasmessa dal ms. Weissenburg 97 della Biblioteca di Wolfenbüttel, databile al 751-768 (in passaggi come ad illo botiliario frangant lo cabo) quanto nella sequenza di Sant’Eulalia datata 878-882 (ms. 151 della Biblioteca di Valenciennes, f.141v; in passaggi come Voldrent la faire diaule seruir).
Sono relativamente pochi gli elementi di evoluzione che possono suggerire una collocazione precisa, difatti nel tempo si sono alternate ipotesi varie a riguardo. Dapprima si è pensato ad una collocazione nel Meridione occidentale, in forza di elementi fonetico-lessematici quali il mantenimento di a tonica in sillaba libera (in forme quali fradre e salvament), assenza di dittongazioni in direzione di una monottongazione anche piuttosto peculiare (con forme quali savir, podir e dunat in cui si è verificata una chiusura vocalica del tipo e > i e o > u; fa eccezione la forma dreit < DIRECTUS, in cui si ha l’evoluzione E > ei), il mantenimento di -a atona in posizione finale di parola, anche con esiti incerti (si attesta sia fradre che fradra) e soprattutto la forma ab (< APUD), tipicamente occitanica. Successivamente, con l’avanzamento dell’ipotesi pittavina, si vengono a sottolineare alcune incongruenze con la patina occitanica, tra cui la forma savir che si discosta ampiamente dall’occitanico saber. A fronte di vari studi condotti da illustri personalità nel campo della filologia, è accettata come autoritaria l’ipotesi che la patina sia quella della regione del Poitou (cfr. Castellani 1980; Avalle 1966), contro l’isolata posizione[7] di Gaston Paris ipotizzante il piccardo come patina di riferimento (cfr. Paris 1886:83-84).
Conclusione:
Gli elementi presi in esame sembrano effettivamente convergere verso la teoria di Castellani, sostenuta da Avalle tra i tanti, di una patina attribuibile alla realtà pittavina della Francia, ciò tuttavia a fronte delle numerose difficoltà che questo testo presenta visto il suo stato di arretratezza linguistica e di attaccamento all’uso latino. Ciò che rimane innegabile è il fascino esercitato da questo documento e dalle problematicità filologico-linguistiche, che per risoluzione e giusto onore necessiterebbero ben più della presente pillola. Si rimanda per approfondimenti ai magistrali lavori di Castellani, confidando nel fatto che il 14 febbraio sarà ad infinitum dedicato, pur in minima parte, a celebrare l’avvio della tradizione scritta di una lingua che ha prodotto vari tra i maggiori capolavori della storia della letteratura.
Elementi bibliografici:
Avalle 1966 = Avalle d. S., Alle origini della letteratura francese. I giuramenti di Strasburgo e la sequenza di Sant’Eulalia, appunti raccolti a cura di Borghi Luciana, Torino, Giappichelli 1966
Beltrami 2017 = Beltrami P., La filologia romanza, Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 184-187
Bensi 2002 = Bensi M., La sezione gallo-romanza dei Giuramenti di Strasburgo, 2002, in Lo Monaco F., Giuramenti di Strasburgo. Riflessioni sui testi e la loro conservazione, Edizioni Sestante, Bergamo University Press, Bergamo, 2002, pp. 75-84
Castellani 1980 = Castellani A., Le problème des Serments de Strasbourg; Castellani A., L’ancien poitevin et les serments de Strasbourg 1955, in Castellani A., Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946-1976), Tomo III, Salerno Editrice, Roma, 1980, pp. 12-89
Lauer 1905 = Lauer P. (éd.), Les Annales de Flodoard publiées d’après les manuscrits, avec une introduction et des notes, Parigi, 1905, p. xxxvi
Lo Monaco 2002 = Lo Monaco F., Giuramenti di Strasburgo. Riflessioni sui testi e la loro conservazione, Edizioni Sestante, Bergamo University Press, Bergamo, 2002
Lo Monaco 2002 = Lo Monaco F., Giurare nelle Historiae di Nithard, 2002, in Lo Monaco F., Giuramenti di Strasburgo. Riflessioni sui testi e la loro conservazione, Edizioni Sestante, Bergamo University Press, Bergamo, 2002, pp. 31-60
Meneghetti 1997 = Meneghetti M. L., Le origini delle letterature medievali romanze, Editori Laterza, Bari, 1997, pp. 156-160
Molinari 2002 = Molinari M. V., Giuramenti di Strasburgo: tradizione germanica e mediolatina, 2002, in Lo Monaco F., Giuramenti di Strasburgo. Riflessioni sui testi e la loro conservazione, Edizioni Sestante, Bergamo University Press, Bergamo, 2002, pp. 61-74
Paris 1886 = Paris G., Les Serments de Strasbourg (Introduction à un commentaire grammatical), in Miscellanea di filologia e linguistica in memoria di Napoleone Caix e Ugo Angelo Canello, Firenze, Le Monnier, 1886, pp. 77-89
Villa 2002 = Villa C., Nithard dalla storia alla leggenda famigliare, 2002, , in Lo Monaco F., Giuramenti di Strasburgo. Riflessioni sui testi e la loro conservazione, Edizioni Sestante, Bergamo University Press, Bergamo, 2002, pp. 11-30
[1] La festa di San Valentino è celebrata in onore del santo martire Valentino da Terni (176-273), decapitato a Roma per la sua attività di predicazione il 14 febbraio 273. Il motivo per cui sia considerato patrono degli innamorati è legato ad alcune vicende attribuitegli riguardo la capacità che ebbe di far tornare l’amore in amare in dissidio.
[2] L’etichetta francese antico, alquanto semplicistica, riflette una complicata rilevazione della realtà della patina linguistica, da taluni identificata come appartenente al centro della Francia, con tratti vagamente appartenenti tanto a varietà settentrionali quanto meridionali, e da talaltri come di richiamo provenzale o antico pittavino (cfr. Meneghetti 1997:156-160; Beltrami 2017:184-187; Castellani 1955:12-89)
[3] L’attività storiografica di Nithard affonda saldamente le radici in storici classici e tardo-classici quali Sallustio, per primo, Gregorio di Tours, autore della celebre Historia Francorum, e Paolo Diacono, autore dell’Historia Langobardorum. Per approfondimenti, cfr. Lo Monaco 2002
[4] Nithard utilizza l’appellativo di Romana lingua per indicare una varietà, impiegata da Carlo II il Calvo, che differisse da quella che era la lingua latina citata nelle Historiae.
[5] Le informazioni sono state estrapolate dalla presentazione filologica del manoscritto del sito ufficiale della BnF, nella sezione Archives et manuscrits, cui si rimanda per ulteriori approfondimenti filologici: https://archivesetmanuscrits.bnf.fr/ark:/12148/cc572968, https://www.bnf.fr/fr.
[6] Cfr. Molinari 2002:67
[7] Cfr. Bensi 2002:80
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