Introduzione:
Il presente articolo si premura di dimostrare, sulla scorta di studi di linguistica italiana del meridione come quelli dell’esimio Lausberg in termini di lucanistica, come il dialetto impiegato nella realtà lucana del nord, nel presente caso nella zona del melfitano, abbia subito un progressivo allontanamento da uno stato di maggiore unitarietà linguistica ad uno stato di distacco. Per il presente studio viene impiegata la testimonianza scritta fornita dal romanzo La Nonna Sabella di Pasquale Festa Campanile (edizione Bompiani, 1983), il quale trascrive fedelmente monologhi dialettali in un panorama sincronicamente collocabile nel primo ventennio del ‘900. La finalità di dimostrazione sarà ottenuta tramite un’analitica comparazione delle trascrizioni dialettali del romanzo con la trasposizione a dialetto della contemporaneità tramite l’ausilio delle qualità di ortoepia di una parlante lucana, nata a Melfi e cresciuta nella limitrofa Rapolla.
Il presente studio si concentra in particolar modo sull’evoluzione del vocalismo, prendendo in esame inizialmente le differenze fondamentali del vocalismo siciliano con il vocalismo lucano, ed il soggiacente ma al contempo sorprendentemente indipendente vocalismo della zona di Lausberg[1], e successivamente concentrandosi sull’analisi delle evoluzioni diacroniche di questi sistemi vocalici. Si prenderanno in esame con egual attenzione analitica il consonantismo, per esaminare l’evoluzione dei nessi consonantici, ed infine il contesto storico, politico e sociale e la rispettiva influenza sul panorama linguistico. Al fine di rendere quest’analisi proficua, è necessario sottolineare come il legame tra la linguistica, la storia, la politica e la sociologia sia ineluttabilmente inscindibile, niuno trarrebbe profitto da uno studio che avesse come fondamento l’isolamento della linguistica da qualsivoglia contesto circostante. Pertanto, sarà premura del presente studio spiegare come abbiano agito le influenze di tali caratteri sul panorama della linguistica.
Fondamenti di linguistica italiana meridionale:
In maniera preliminare, è fondamentale essere a conoscenza della realtà linguistica del vocalismo nelle zone d’analisi, in particolare il vocalismo siciliano, il vocalismo italiano ed il vocalismo della zona di Lausberg. Fondamentalmente, ognuno dei sopracitati vocalismi deriva da un sistema latino decavocalico[2] a distinzione quantitativa, evolutosi foneticamente in una moltitudine di vocalismi romanzi a distinzione qualitativa. Si tratta in ogni caso di una distinzione che, nell’oralità, si perse sin dal V d.C. (Herman, 1998:5-26).
Il vocalismo romanzo non gode di univocità nel panorama, ma di una frammentazione che, seppur poco accentuata nel sistema, produce enormi differenze tra le lingue. Quanto è fondamentale apprendere è la realtà del vocalismo panromanzo[3], siciliano e sardo. Proseguendo con ordine, il sistema panromanzo si presenta come eptavocalico, rispettando la confluenza delle vocali rispettivamente palatale e velare [e], [o] latine brevi in vocali aperte nel sistema. Questo sistema vocalico permette la creazione di coppie minime (è il caso della distinzione settentrionale tra pésca e pèsca). Il sistema siciliano si presenta, con grande probabilità, come un’evoluzione del sistema panromanzo (Loporcaro 2013:79-80) e prevede una forte chiusura vocalica con in [i], [u] con la sola eccezione delle vocali latine brevi [e], [o] che confluiscono nella rispettiva aperta. Ciò implica dunque esiti del tipo TĒLA > tila; MŪRU > muru. Infine, il sistema sardo presenta una confusione in evoluzione di vocali latine brevi e lunghe, senza reale distinzione se non a causa del fenomeno di metafonesi[4], senza dunque creare coppie minime (Beltrami 2017:148-149). Appurati i sistemi vocalici sopra spiegati, è importante aver chiaro che il sistema vocalico sardo si riproduce in maniera identica nella cosiddetta Zona di Lausberg, una zona a sud del fiume Agri, fra Basilicata e Calabria. A nord della Zona di Lausberg, il cosiddetto avamposto, il sistema vocalico che si è imposto è quello balcanico, che combina il vocalismo panromanzo per le vocali anteriori (o palatali) e il sistema sardo per le vocali posteriori (o velari). L’avamposto confuse le varianti lunga e breve di [u] latina, facendo confluire anche Ĭ in [e] assieme a Ĕ,Ē (Lausberg 1939:105).
Premessi dunque tutti i fondamenti di vocalismo italiano meridionale necessari allo svolgimento e comprensione del presente lavoro, di seguito una sommaria esplicazione dei principali fenomeni linguistici meridionali. Le peculiarità linguistiche appartenenti allo spettro cosiddetto meridionale sono quelle che si presentano al disotto dell’isoglossa Roma-Ancona (D’Achille 2019:30, figura 4). Tratti tipicamente meridionali sono, ad esempio, una realizzazione difforme dalla pronuncia emendata delle vocali, nei dialetti del profondo sud Italia le vocali intermedie toniche sono univocamente aperte. Si assiste ad una sonorizzazione dell’occlusiva in posizione post-nasale, che diviene un’affricata palatale [g] o un’occlusiva palatale [c] (è il caso di bianco > biango, anche > anghe). Tipicamente meridionale, e di reminiscenza spagnola poiché tipico delle lingue iberoromanze, è la realizzazione della fricativa sibilante alveolare come sorda in posizione intervocalica (è il caso di rosa > [‘ro:.sa], a differenza del settentrionale [‘ro:.za]). Molto diffusa è la chiusura vocalica della vocale finale in una vocale centrale [Ə] (Masini 2010:28-29). È invece un fenomeno di vocalismo tipicamente siciliano la presenza di i, u toniche, rispettivamente da E, O lunghe fuori metafonesi (cfr. Caratù 2009). La riduzione dell’affricata palatale sonora in approssimante semiconsonante è tratto risalente al medioevo, già in Cielo d’Alcamo, Rosa Fresca Aulentissima (vv.69, 103, 112). Interessante è il tratto tipicamente meridionale, seppur non univoco, del rotacismo in pronuncia, tale fenomeno è pienamente riscontrato nel napoletano ma è assente in dialetto lucano (es. Madonna > nap. Maronn ma m.luc. Madonn).
La realtà storico-culturale del Mezzogiorno italiano:
Come asserito nelle premesse introduttive al presente articolo, sarebbe alquanto impossibile effettuare uno studio di profitto senza tener conto della realtà storica, sociologica e culturale del sud Italia. Volendo tracciare un percorso storico unitario riguardo le dominazioni del sud Italia, è necessario risalire al regno degli Altavilla, che nel 1071 fondarono la Gran Contea di Sicilia dove prima era instaurato il califfato arabo. Il massimo splendore culturale del regno si ottenne con Federico II di Svevia (Hohenstaufen), lo stupor mundi, perno fondamentale della fiorente scuola siciliana. Durante il periodo di governo di Federico II il regno si estendeva dall’altezza della Campania e del Molise sino all’intera isola Siciliana. Questo sommario profilo storico del sud Italia ha la mira di lasciar intendere come l’unione culturale di un regno che comprendeva tutte le regioni a cui si fa riferimento con l’accezione di Sud Italia abbia immancabilmente causato un’unitarietà linguistica conseguente. Difatti, tutti i testi della Scuola Siciliana che giunsero a Firenze vennero prontamente tradotti, con l’adozione del sistema vocalico fiorentino[5]. Sono a noi giunti in lingua originale alcuni componimenti di Stefano Protonotaro, tra cui il celebre Pir meu cori alligrari.
L’unitarietà politica del sud Italia ha subito una bipartizione con la separazione tra Regno di Napoli e Regno di Sicilia. Il Regno di Napoli, sotto il controllo dei Borboni, vide una forte influenza spagnola, il che portò all’adizione linguistica di numerosi iberismi, parole, espressioni e costruzioni grammaticali legate al mondo iberico (cfr. Di Massa S., La Basilicata Esiste, per Scuola Filosofica). Il territorio tornò in una situazione di unità con la formazione del Regno delle due Sicilie, con Ferdinando I di Borbone-Due Sicilie come primo monarca, dal 1816 sino all’Unità politica d’Italia (cfr. Canavero 2019:8).
Il carattere di forte unitarietà che per secoli ha dominato il sud Italia non ha permesso li sviluppo variegato e frammentato di codici linguistici dialettali, come avvenuto nel settentrione e nel centro Italia. Questa premessa è fondamentale ad intendere come il dialetto impiegato nel romanzo di Festa Campanile presenti dei tratti di vocalismo e consonantismo molto prossimi ai rispettivi vocalismo e consonantismo siciliani. Dopo l’Unità d’Italia e la demarcazione politico-culturale delle varie regioni, il dialetto lucano, così come ogni dialetto regionale, ha avviato un lungo e faticoso processo di indipendentismo e modernizzazione linguistica, sviluppando delle peculiarità proprie e dissimili dal siciliano, pur rimanendo in qualche modo interconnesso con la realtà linguistica meridionale di cui sopra si è parlato. Il progresso è tutt’ora in atto, sincronicamente il dialetto lucano presenta una forte frammentarietà interna, con variazioni vocaliche tra paesini della medesima regione (senza tener conto della meravigliosa e peculiare presenza della lingua arbëreshë, parlata dalla minoranza albanese presente nella città di Barile). Osservando la realtà linguistica su arco diacronico, è fortemente auspicabile un’ulteriore indipendenza linguistica, coadiuvata dai processi in atto di svuotamento dei paesini campagnoli in favore delle grandi città. Considerata la forte presenza di lucani, nel corso della storia contemporanea[6], in varie regioni d’Italia, ed in tutto il mondo (nell’arco diacronico 1871-1911 sono emigrati ben 361’326 lucani; Strazza, 2008 per A.S.E.I.), è inoltre auspicabile che il dialetto parlato si vada pian piano conformando con i tratti centro-settentrionali d’Italia vista l’azione esercitata dai codici linguistici dialettali su parlanti nativi lucani stabilmente residenti nel nord o centro Italia, quasi un’azione di sostrato che tende lentamente all’uniformazione linguistica.
Il caso linguistico di La Nonna Sabella
Quanto si prende in esame, al fine di dimostrare la tesi sopra esposta, è il caso linguistico del romanzo La Nonna Sabella, di Pasquale Festa Campanile, edizione Bompiani del 1983. Sommariamente, il romanzo racconta la vita di Sabella, di famiglia nobile, innamorata e decisa a sposare, pur contro la volontà paterna, il socialista Pasquale. Il romanzo presenta un magistrale processo di evoluzione psicologica del personaggio, che pur conserva i propri tratti caratteriali, essenzialmente contrastanti, di tirannia e manipolazione (cfr. postfazione al romanzo di Michele Russo). Il romanzo è ambientato negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, offrendo una panoramica sulla questione meridionale, non tralasciando fenomeni quali il brigantaggio, tramite la presenza di Carmine Crocco, e la politica socialista, con l’ascesa al parlamento di Francesco Saverio Nitti, originario di Melfi.
L’ambientazione del romanzo permette di identificare un quadro culturale peculiare dell’epoca, dal punto di vista sociologico e politico in primis, ed essenzialmente anche un quadro linguistico, data la presenza di poche, ma sufficienti a compiere un’analisi linguistica, citazioni monologiche e di carattere di filastrocca trasposte in dialetto melfitano sincronico dell’epoca. Il carattere di queste filastrocche è essenzialmente popolare, senza strutturazione metrica o retorica alcuna; si registra un prevalente rispetto della costruzione sintagmatica classica dell’italiano moderno, secondo la formula SVO, Soggetto-Verbo-Complemento (mutata nel tempo da una più antica e affermata costruzione SOV; cfr. Banfi, Grandi 2021:193). Tramite la collaborazione di una parlante originaria di Melfi, si presenta di seguito l’analisi linguistica evolutiva dei fenomeni di vocalismo e consonantismo, in direzione della dimostrazione di un continuo, e tutt’ora in atto, processo di allontanamento dal codice linguistico dialettale siciliano.
Prima di passare all’analisi di grammatica storica delle frasi, è interessante porre uno sguardo sulla scelta dell’onomastica da parte di P. F. Campanile. È opportuna la segnalazione del conservatorismo linguistico, nel cognome di famiglia dell’avvocato Guantario, della liquida rotante alveolare [r] in un suffisso derivato da -ARIUM (cfr. Fabiano 2009:146), da interpretarsi di conseguenza come una scelta linguistica di conservazione finalizzata all’accrescimento dell’importanza della personalità descritta. Si delinea chiaramente una netta demarcazione tra il cognome Guantario, foneticamente latineggiante e per tanto portatore di sentita riverenza, e il cognome Campanile, linguisticamente popolareggiante (per quanto, ad esempio, sia cognome del celebre scrittore Achille Campanile, 1899), di ampia diffusione in Campania.
Di seguito l’analisi di evoluzione fonetica delle frasi presenti nel romanzo. La traduzione italiana delle frasi è posta in nota ad ogni frase.
Frase I[7]: “Tu, sunno, sunno, nù venì all’appiedi. Tu, sunno, sunno, nù venì all’appiedi. Vini a cavallu a nu cavallu rossu, la sella d’oru e la briglia a lu mussu. (…) Vini a cavallu a nu cavallu ianche, la sella d’oru e la briglia galante” (Campanile, 1983:150)
Trasposta in dialetto contemporaneo come: “To sunn sunn non venì all’appid, vin a cavadd, sopƏ nu cavadd rossƏ, la sella d’orƏ a la breglƏ a u moss, vin a cavadd, vin sopr nu cavadd jang, la sella d’orƏ e la breglƏ galantƏ”
Volendo partire dai fenomeni di vocalismo, quanto dapprima appare evidente è una tendenza alla semplificazione dei dittonghi vocalici in direzione di sincope con apertura vocalica (appiedi > appid). Quasi univoca è l’apocope della vocale finale, che in dialetto originale appariva vicina al vocalismo siciliano, e nella forma moderna cade completamente o si riduce ad una vocale centrale [Ə]. La vocale soggetta a massima conservazione è la palatale [a], anch’essa talvolta soggetta a caduta, e la vocale tematica finale corrispondente all’imperativo (nu venì > non venì). Interessante è la precoce evoluzione in dialetto meridionale dell’occlusiva bilabiale sonora [b] in una semiconsonante approssimante jod, tutt’oggi presente con la forma ianche > jang. Si discosta totalmente dal vocalismo siciliano invece l’evoluzione della vocale finale, apocopata nella forma lucana moderna rispetto al siciliano che mantiene la terminazione in vocale velare alta [u].
Venendo al consonantismo, il primo fenomeno chiaramente mutato è la trasformazione della consonante liquidale laterale alveolare sonora geminata [l] posta in immediata antecedenza alla vocale finale, soggetta ad apocope, in una cacuminale geminata [ḍḍ], del tipo CABALLUS > cavallu (con conservazione della vocale velare finale, tipico del siciliano) > cavaḍḍ. Lausberg riferisce che si tratta di una forma essenzialmente univoca nell’Italiano meridionale, con semplici eccezioni nella cosiddetta Zona di Lausberg (cfr. Lausberg 1939:136). Non sono da considerarsi pertinenti gli esempi di parole quali stella, diffusa nella sua forma letteraria, e compresente, con maggior civiltà, alla forma con cacuminale anche nella zona del Materano (cfr. Festa 1914), e la parola sella, presente nel testo preso in analisi, anch’essa presente ella sua forma letteraria, penetrata persino nel greco otrantino, e le cui forme con cacuminale potrebbero essere adattamenti secondari. Tendenzialmente, l’esito ll > ḍḍ è univoco del territorio con alcune eccezioni, ad esempio in caso di funzione di raccordo tra elementi di un composto o a seguito di formazione tramite raddoppiamento fonosintattico.
È interessante notare, successivamente, come il consonantismo sia rimasto per questo testo pressoché invariato, chiaramente è da sottolineare l’azione di sonorizzazione del contoide occlusivo palatale sordo [c] nella forma antica ianche, evolutosi in occlusiva velare sonora [g] con la forma jang tramite l’azione di jod iniziale di parola. Lausberg asserisce che tutti i suoni vocalici non immediatamente preceduti da contoidi, siano prodotti tramite l’apposizione di un suono parassitario jod più o meno forte, udibile con maggior chiarezza davanti a vocali toniche, che funziona tanto come suono prostetico quanto in epentesi ed epitesi. L’aferesi dell’occlusiva bilabiale sonora [b] è stato dunque, già ad inizio secolo, soppiantato dal suono prostetico di jod che ha successivamente agito come agente palatalizzante o sonorizzante.
Frase II[8]: “Lu sunno m’ha promesso ca venia, mo’ m’ha gabbato e sta ‘mmiezzo alla via. Ninna, ninna, ninna vole, fallo addurmì sante Nicole. Sante Nicole, dimme che è stato, chistu figlio nun s’è addormentato. Duormi tu, figlio, e puozzi avè fortuna, puozzi gì in alto quanto vaje la luna” (Campanile, 1983:151)
Trasposta in dialetto contemporaneo come: “U sunn m’ha promess ca vnej, mo m’ha gabbatƏ, sta ‘n mizz a la vej, ninna, ninna, ninna volƏ, fall’addormƏ San NicolƏ, San NicolƏ dimmƏ ch’è statƏ, chistu feglƏ non s’è addormeutƏ, durm to, feglƏ, e poss avè forteunƏ, poss’andà autƏ quant vaj la leunƏ”
La presente frase mostra, in termini di vocalismo, una situazione di evoluzione ben più marcata e distanziata dal siciliano rispetto alla precedente. Si noti in partenza la tendenziale apocope delle vocali finali, spesso soppiantate da una vocale centrale [Ə] come appoggio dolce al contoide precedente. Interessante è la forma vnej (< VENIĒBAT), in dialetto antico evolutosi come venia[9]. Escludendo una possibile azione di evoluzione fonetica da parte della semiconsonante jod, è plausibile supporre che la forma moderna sia nata dalla metatesi vocalica nella parola, che avrebbe prodotto la forma metatetica *vneia, a cui sarebbe seguita l’apocope della vocale finale [a] lasciando la forma vnej. Il medesimo processo non sarebbe tuttavia ascrivibile alla forma leun < luna, la cui formazione sarebbe da attribuire ad apocope della vocale finale e dittongazione spontanea della vocale [u], lo stesso identico processo che avrebbe portato all’evoluzione fortuna > forteunƏ. Inoltre, la pronuncia odierna di mattino e luna è unificata nell’intero panorama medievale secondo la tripartizione per isoglosse (cfr. Carosella 2009:81-83)
Si noti successivamente la progressiva chiusura vocalica dei vocoidi, tendenzialmente i tonici, come nella forma addurmì > addormƏ, figlio > feglƏ, nel caso di apocope con chistu > chist, che tuttavia si mantiene invariato in siciliano, e la semplificazione dei dittonghi di vocali velari, nei casi duormi > durm, puozzi > pozz.
Vi è poi un’interessante evoluzione lessicale da segnalare. Nel dialetto a.luc. si impiega la forma gire, verbo difettivo, derivato dal latino IRE, di raro impiego nella modernità, attestato anticamente in Dante e Petrarca (cfr. Dante, Inf. X, v.134; Petrarca, Canzoniere, Sonetto XXI, v.11). Nella versione in m.luc. si impiega invece la forma andare, derivato da ADITARE, frequentativo del lat. ADIRE (secondo l’interpretazione di Muratori), o altrimenti da AMBULARE o AMBARE (secondo l’interpretazione di Wulff e G. Paris). Il m.luc. ha dunque abbandonato la forma antica in favore della moderna, dove invece il siciliano ha mantenuto iri < IRE.
Frase III[10]: “M’agghia scurdà la vita triste, m’agghia scurdà li tristi pinziri, cu l’ultimo bicchiri” (Campanile 1983:153-54)
Trasposta in dialetto contemporaneo come: “m’aggia scurdà la vita trest, m’aggia scurdà i tristi pnzirƏ co l’otm bcchirƏ”.
Decisamente particolare l’evoluzione fonetica di questa frase. Sul lato del vocalismo si nota la chiusura del vocoide velare alto [u] in favore del vocoide velare medio-alto [o] nei casi cu > co e ultimo > otm.
Sul lato del consonantismo, il primo fenomeno interessante è la palatalizzazione dell’occlusiva velare sorda [g] geminata in direzione dell’affricata palatale [ʤ], mentre nel siciliano moderno si è sviluppata una semiconsonante jod che ha dato vita alla forma aju.
Frase IV[11]: “Venghe a cantà, e vui siti curcati, la luna fa lu giri e vui durmiti. Mo la mattina quanno vi alzati lu specchi vui pigghiati e vi mirati: non vi mirati cchiù, ca bella siti. Pigghiati lu vacili e vi lavati, non vi lavati cchiù, ca janca siti” (Campanile 1983:177)
Trasposta in dialetto contemporaneo come: “veng a cantà e voi v sejtƏ curcatƏ, la leunƏ facƏ u gejrƏ e voi durmejtƏ, ma la matejnƏ quann v’auzatƏ veuj pigliatƏ u specchj e v guardatƏ, nun v guardatƏ cchiò ca sit bell, pigliat u vacilƏ e v lavatƏ, nun v lavatƏ cchiò ca sit jang.”
Dal lato del vocalismo prosegue la chiusura dei vocoidi, allontanandosi dalle varianti aperte siciliane, come nel caso di siti > sejtƏ, giri > gejrƏ, alzati > auzatƏ, vui > veuj, cchiù > cchiò. Nelle forme siciliane imperative si è mantenuta la -i epitetica, che nel m.luc. è stata oggetto di apocope o trasformazione in vocoide centrale.
Dal lato del consonantismo, è interessante notare come il siciliano moderno abbia mantenuto la forma pigghiate, qui presente come pigghiati, con l’occlusiva velare [g] geminata, mentre il m.luc. si è mosso in direzione panromanza adottando il nesso di laterale palatale con la forma pigliatƏ.
Si noti il fenomeno di raddoppiamento fonosintattico dell’occlusiva velare sorda [k], con la forma cchiù. Sulla scorta di Lausberg (cfr. Lausberg 1939:159) è risaputo che il fenomeno è diffuso, seppur con altre modalità non di molto dissimili dalla presente, anche nella Lucania del sud, in Calabria e in Puglia. In questo caso l’agente raddoppiante cambia con l’evoluzione, passa da essere la vocale –i dell’imperativo ad essere la vocale centrale [Ə], non facendo tuttavia mutare il fenomeno. Il raddoppiamento fonosintattico è senza dubbio uno dei tratti fondamentali dell’Italiano meridionale.
Frase V[12]: “A chi agghia scì a dumannà com’è stato. Chi me l’aveva dicere, povera a me” (Campanile, 1983:202)
Trasposta in dialetto contemporaneo come: “: a chi agg scé addumannà cum’è statƏ, chi m l’adda dé poverƏ ammè”.
Il vocalismo non presenta in questo caso notevoli mutamenti. È il consonantismo ad essere maggiormente peculiare. In primis, nuovamente avviene una palatalizzazione della velare [g]. Particolarmente interessanti sono, in ordine, l’evoluzione di a dumannà in direzione della forma m.luc. univerbata e fonosintatticamente raddoppiata addumannà, diffusa tutt’oggi su gran parte del territorio italiano meridionale, e l’evoluzione del passato aveva dicere, che presentava la conservazione della forma estesa latina (< DICERE), in adda dé, con peculiare evoluzione della fricativa labiodentale sonora [v] in una dentale sonora [d] geminata. Quest’ultimo fenomeno appare unicamente nel territorio lucano, nel napoletano, ad esempio, la dentale è sostituita dall’affricata palatale sonora geminata.
Conclusione:
Il presente lavoro si è premurato di dimostrare come il dialetto a.luc. presentasse una struttura, principalmente vocalica, essenzialmente prossima a quella siciliana, ciò da imputare anche alla realtà unitaria del sud Italia sino all’Unità d’Italia. La versione m.luc. presenta invece vocali tendenzialmente più chiuse, riduzione dei dittonghi di vocali velari, palatalizzazione dei contoidi e modernizzazione lessicale. Sicuramente il romanzo di P. F. Campanile permette di esplorare una realtà linguistica oggi quasi totalmente persa, e per una totale comprensione del fenomeno è buona pratica affidarsi ai magistrali studi di Heinrich Lausberg.
Bibliografia:
Aprile 2015 = Aprile M., Dalle parole ai dizionari, 2015, Il Mulino, Bologna
Banfi, Grandi 2021 = Banfi E., Grandi N., Lingue d’Europa. Elementi di storia e di tipologia linguistica, nuova edizione 2021, Carocci Editore, Roma, pp. 190-198
Beltrami 2017 = Beltrami P., La Filologia Romanza, 2017, Il Mulino, Bologna
Berruto, Cerruti 2022 = Berruto G., Cerruti M., La linguistica. Un corso introduttivo, Terza edizione, 2022, UTET Università, D Scuola SpA, Milano
Canavero 2019 = Canavero A., Storia Contemporanea, 2019, Pearson, Milano-Torino, p.8
Caratù 2009 = Caratù P., Collocazione storico-linguistica del dialetto di San Marcoin Lamis. Il Dizionario 2006, p. 181, in Università degli Studi di Bari, Linguistica Italiana Meridionale, 2009, Cacucci Editore, Bari
Carosella 2009 = Carosella M., Tra i kapətùnə, i kapəvìrdə, e i martavìllə də Pandànə. Saggio lessicale sulla Laguna di Lesina, p.81-83, in Università degli Studi di Bari, Linguistica Italiana Meridionale, 2009, Cacucci Editore, Bari
D’Achille 2019 = D’Achille P., Breve grammatica storica dell’italiano, 2019, Carocci Editore, Roma, p.30
Fabiano 2009 = Fabiano M., Lessico meridionale nei cognomi di Manfredonia (1700-1740), p. 146, in Università degli Studi di Bari, Linguistica Italiana Meridionale, 2009, Cacucci Editore, Bari
Festa 1914 = Festa G. B., Il dialetto di Matera, 1914, Halle a. S. : Max Niemeyer
Festa Campanile 1983 = Festa Campanile P., La Nonna Sabella, 1983, Tascabili Bompiani, Milano
Herman 1998 = Herman J., La chronologie de la transition: un essai, in La transizione dal latino alle lingue romanze, Atti della Tavola Rotonda di linguistica storica, Università Cà Foscari di Venezia, 14-15 giugno 1996, Tübingen, Niemeyer, pp. 5-26
Lausberg 2019 = Lausberg H., I dialetti della Lucania meridionale (Die Mundarten Sudlukaniens, 1939), a cura e traduzione di Giuseppe Salerno, 2019, Franco Cesati Editore, Firenze
Loporcaro 2013 = Loporcaro M., Profilo linguistico dei dialetti italiani, II edizione, 2013, Laterza, Roma-Bari
Masini 2010 = Masini A., L’italiano contemporaneo e le sue varietà, in Bonomi I., Masini A., Morgana S., Piotti M., Elementi di linguistica italiana, 2010, Carocci Editore, Roma
Pagine web consultate:
Pagina Inizio, Campanile, https://www.paginainizio.com/, https://www.paginainizio.com/significato-cognome/campanile.html
Strazza M., 2008, L’emigrazione lucana in età contemporanea, A.S.E.I., https://www.asei.eu/it/2008/11/lemigrazione-lucana-in-etontemporanea/#_ftn8, https://www.asei.eu/it/
Treccani, gire, https://www.treccani.it/vocabolario/gire/, https://www.treccani.it/
[1] Il termine fa riferimento alla zona sud-occidentale della Basilicata, comprendendo anche il confine con la Calabria. La denominazione deriva dagli studi compiuti dal linguista H. Lausberg (cfr. Lausberg 2019)
[2] Il sistema latino è detto decavocalico in quanto la distinzione è confinata al carattere quantitativo, avendo per ogni vocale la variante rispettivamente lunga o breve. I vocalismi romanzi si caratterizzano invece per distinzione qualitativa, ossia a seconda del tipo di accentuazione.
[3] Il termine panromanzo indica il vocalismo del latino volgare, è il sistema adottato anche dalle lingue italoromanze
[4] Anche detto metafonia, è un fenomeno linguistico di influenza della vocale finale sull’esito della vocale tonica
[5] Questo è l’esatto motivo per cui in alcuni testi le rime risultano imperfette, le cosiddette rime siciliane, sarebbero rime perfette con l’adozione del vocalismo siciliano duecentesco.
[6] Il termine fa riferimento a un arco diacronico che parte dal 1815, con il Congresso di Vienna, e giunge ai giorni nostri
[7] In it. “Tu sonno sonno non venire a piedi. Tu sonno sonno non venire a piedi. Vieni a cavallo, su un cavallo rosso, la sella d’oro e la briglia al muso. Vieni a cavallo, su un cavallo bianco, la sella d’oro e la briglia galante.”
[8] In it. “Il sonno mi ha promesso che veniva, mo mi ha gabbato e sta in mezzo alla via. Ninna, ninna, ninna vuole, fallo addormentare San Nicola. San Nicola, dimmi che è stato, questo figlio non si è addormentato. Dormi tu, figlio, e possa aver fortuna, possa andare in alto quanto va la luna”
[9] È interessante notare come la forma in dialetto antico sia di forma esattamente identica alla forma spagnola
[10] In it. “Mi devo scordare la vita triste, mi devo scordare i tristi pensieri con l’ultimo bicchiere”
[11] In it. “Vengo a cantare, e voi siete coricati, la luna fa il giro e voi dormite. Ma la mattina quando vi alzate prendete lo specchio e vi guardate: non vi guardate più, che siete belli. Pigliate la bacinella e vi lavate, non vi lave più, che siete bianca.”
[12] In it. “A chi devo andare a domandare com’è stato. Chi me lo doveva dire, povera a me.”
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