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Gli Stoici – Felicità come armonia dell’anima

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Gli stoici sono stati i grandi avversari dell’epicureismo e rivendicarono la loro preferibilità rispetto all’altra corrente filosofica concorrente. Tuttavia, essi condividevano la stessa idea della filosofia che, prima di tutto, doveva essere una via per la felicità umana. Non solo, dunque, condividono la stessa visione della ricerca filosofica, ma convergevano anche sul risultato: gli stoici concepiscono la felicità come atarassia, ovvero sospensione completa e definitiva dai mali del mondo. Infine, gli stoici, come pure gli epicurei, ponevano al centro l’individualità dell’uomo e non la società o la natura. Essi fornirono una elaborata teoria della fisica e anche una dettagliata analisi logico-epistemologica, ma subordinarono queste alla comprensione dell’obiettivo finale, ovvero l’etica e la felicità umana, proprio come abbiamo visto per Epicuro. Nonostante queste concordanze, le differenze tra le due posizioni non possono essere più nette, pur facendo parte dello stesso frame concettuale di natura classicamente greca.

In queste pagine non ci addentreremo nella posizione di uno stoico in particolare, ma ci concentreremo sulla visione complessiva dei filosofi che rivendicavano l’appartenenza a questa corrente. Infatti, mentre la filosofia epicurea era saldamente ancorata agli scritti di Epicuro, le cui tesi dovevano essere accettate a priori da chi partecipava al Giardino, gli stoici misero in discussione gli assunti dei maestri e ci fu una rimarchevole evoluzione interna. Eppure si può legittimamente parlare di “filosofia stoica”, considerandone gli aspetti comuni, mai sostanzialmente alterati. Pur non essendo questo il luogo di riproporre l’intera filosofia stoica, bisogna però inquadrare alcuni aspetti fondamentali della loro dottrina.

Per prima cosa, bisogna chiarire a grandi linee quale fosse la filosofia della natura degli stoici perché essi considerano la felicità umana come il risultato del giusto sviluppo della stessa natura umana, tratto, questo, proprio di gran parte della filosofia greca e della filosofia di Aristotele. La natura è una combinazione di sostanza e forma, in cui la forma è impensabile senza la sostanza, e viceversa. L’insieme delle cose, concepite in questa unità di forma e sostanza, determina il cosmo. Non si tratta, dunque, di una teoria atomista. Inoltre, l’evoluzione della natura non avviene per caso ma tutto avviene per una precisa ragione, il logos.

Il logos è il principio originario e ordinatore di tutto l’universo, parola e concetto parzialmente ripreso da Eraclito, un filosofo presocratico che ha rivestito una peculiare importanza nella storia della filosofia già a partire da Platone. Il logos, o “ragione”, diremmo forse in termini vagamente imprecisi ma più moderni, è il principio ordinante di tutto il cosmo ed è, per ciò stesso, unico. Esiste un ordine all’interno dell’evoluzione del cosmo e quest’ordine non ammette alternative. Infatti, la ragione interna al cosmo è l’espressione dell’ordinamento migliore possibile e, per questo, gli stoici sostengono che sia unico. In molti passi, gli stoici parlano di “divinità perfetta” per intendere il “cosmo ordinato”, proprio perché c’è un principio di ragione interno alla natura, che tutto ordina e tutto predispone.

Cosmo si dice in tre sensi: dio stesso che trae il suo carattere proprio dalla sostanza universale, e cioè è immortale e ingenerato, demiurgo e ordinatore, che ciclicamente consuma in sé tutta la sostanza e di nuovo da sé la genera. [In secondo luogo] dicono che il cosmo è lo stesso ordine; in terzo luogo che è la prima cosa insieme. (Diogene Laerzio)

Questo ci conduce ad una seconda considerazione di primaria importanza.

Come abbiamo detto, il cosmo è formato dall’unione ordinata di tutte le cose, che sono unità perfetta e inscindibile di forma e sostanza. Da questo si può agilmente dedurre che non solo tutto avviene secondo necessità (cioè secondo il logos o ragione), ma che pure le azioni umane dipendono da un preciso destino. Gli stoici, dunque, rigettano l’atomismo indeterministico di Epicuro sino alle estreme conseguenze. La filosofia epicurea aveva scacciato la possibilità del destino proprio per far spazio alla possibilità di una via sempre aperta alla felicità, mentre gli stoici perseguono la strada diametralmente opposta: esiste un destino e questo è anche il migliore possibile perché determinato dall’unico logos, incarnato nella perfezione del dio-natura. Inoltre, se Epicuro parla di “dei” al plurale, per gli stoici è più significativo parlare di un “dio” al singolare proprio perché esiste un solo cosmo ordinato in un solo modo, che è anche il più razionale. Questa visione metafisica, così dominata dalla visione di una ragione, sarà ispiratrice di molta della riflessione filosofica della natura anche nel periodo moderno. Sino a qui, dunque, ci siamo intrattenuti nel parlare della visione metafisica di sfondo. E’ ora giunto il momento di fare un passo successivo, intermedio, per chiarire la consistenza della “natura umana” e il suo ruolo all’interno del cosmo.

Gli stoici riprendono l’idea di Aristotele secondo cui la conoscenza della natura umana è fondamentale per fornire una solida strada per la felicità. C’è di più. Come anche per Aristotele, e gran parte della filosofia greca, gli stoici credono che la felicità umana sia la conseguenza della piena attuazione della natura umana. Come dice eloquentemente Seneca nel suo scritto La felicità (De vita beata): “Il nostro maestro è la natura, è lei che la ragione guarda e consulta”. Tuttavia, come il lettore presto scoprirà, gli stoici propongono una teoria assai differente rispetto a quella aristotelica.

La natura umana è una parte del cosmo. Ogni cosa si colloca nel cosmo in modo peculiare, in base all’ordine che essa assume rispetto all’ordine posto dal logos. Ogni cosa si sforza, come può, di esistere, di rimanere intatta e di accrescere la propria forza. Queste caratteristiche non sono solamente comuni al regno animale, ma contraddistinguono tutte le cose a vario grado. Tutte le cose, dunque, hanno un loro istinto, un istinto di conservazione, che indirizzano verso il compimento del loro meglio. Nel caso del mondo inerme, ovvero non animale, il principio di accondiscendenza nei confronti della propria natura è guidato interamente dal logos, mentre nel caso del regno animato, animale e umano, sono gli esseri stessi che adottano questo istinto come principio guida nella cernita tra possibilità alternative. Questo principio è chiamato oikeiosis che si può tradurre come “attrazione”. L’idea, infatti, è che gli esseri sono attratti verso ciò che fa il loro bene e tendono ad escludere ciò che fa loro male. Quindi, gli esseri tendono per natura ad accondiscendere la loro stessa costituzione. Tuttavia, l’essere umano ha una sua peculiare natura e, quindi, ha un suo modo del tutto specifico di accondiscendere al suo istinto di conservazione. Vediamo perché.

Gli stoici riaffermano il principio aristotelico secondo cui gli esseri umani sono prima di tutto e soprattutto esseri razionali. La razionalità umana è una parte del più ampio logos della natura, che gli uomini accondiscendono spontaneamente. Quindi, l’istinto vitale creato dalla natura è, nel caso dell’uomo, un istinto che indirizza gli esseri umani verso il compimento della loro stessa razionalità. Gli uomini si avvalgono così del logos per stabilire cosa massimizza la loro esistenza e cosa no. Così, gli stoici parlano di “beni” come di tutte le cose che agevolano o aumentano la capacità dell’uomo di sopravvivere e parlano di “mali” come di tutto ciò che ostacola il giusto sviluppo degli esseri umani. E adesso siamo in grado di far emergere i nessi tra i vari concetti presentati.

La natura umana è dominata dalla razionalità, dal logos. Il logos umano è parte del logos unico, che domina l’intero cosmo. Per tale ragione, l’istinto dell’uomo tende ad accondiscendere la sua stessa razionalità sopra ogni altra alternativa. Quindi, il logos umano indirizza l’uomo a riconoscere la propria razionalità come forma di suprema perfezione. Non c’è niente di superiore alla razionalità, giacché ogni bene dipende da essa e l’uomo è in grado di acquisire ogni bene solo grazie ad essa. Quindi l’uomo che arriva a riconoscere il supremo primato della ragione, arriva anche a riconoscere che nulla al di fuori di essa è altrettanto valevole. Abbiamo visto che il logos umano è interno ad ogni uomo, quindi l’uomo di ragione scopre che non ha bisogno di nulla che non sia già dentro di sé (la propria ragione). Così ci dice Seneca con il suo consueto vigore:

Non dobbiamo lasciarci corrompere né dominare dal mondo che ci circonda, dobbiamo fare assegnamento soltanto su noi stessi, affidarci alle nostre personali capacità, risoluti sia nella fortuna che nella malasorte; dobbiamo, insomma essere noi gli artefici della nostra vita e della nostra condotta. (Seneca, La felicità)

Questa è la forma di autarchia nella declinazione stoica: l’uomo è bastevole a sé stesso perché nulla di meglio trova fuori di sé. Non solo, dunque, l’uomo di ragione, cioè il saggio, è un autarchico, ma raggiunge la suprema indipendenza dai rivolgimenti del mondo e, quindi, diventa imperturbabile. Per usare una parola già incontrata in queste pagine, egli vive nell’atarassia che è la suprema forma di felicità umana. E infatti così Seneca: “…si può dire felice anche chi, servendosi della ragione, si è liberato dai desideri e dai timori”.

Si tratta di una posizione assai radicale, molto meno indulgente nei confronti delle intuizioni ordinarie sia rispetto all’epicureismo, sia rispetto alla teoria aristotelica, così legata alle nozioni del senso comune. Vediamo di esplicitarne i motivi di questa conclusione. Per gli stoici i piaceri non sono motivanti nella ricerca dell’azione. Così Seneca precisa proprio questo punto: “Ma anche tu – mi dirai – coltivi la virtù unicamente perché speri di ricavarne un piacere. Ebbene, tanto per cominciare, il fatto che la virtù procuri un piacere non significa che la si cerchi per questo: il piacere è solo un’aggiunta, non la meta del nostro sforzo: lo conseguiremo, ma mirando ad un altro fine, che è appunto la virtù”. Questo argomento sarà ampiamente riutilizzato dai filosofi critici dell’edonismo e anche da Immanuel Kant, come avremo modo di vedere.

L’assunto di Epicuro, secondo cui tutti gli uomini devono massimizzare il piacere e minimizzare il dolore, è al limite concepibile, come se fosse assurdo. Infatti, gli stoici pensano che la felicità sia il risultato della totale indipendenza dell’individuo dai cambiamenti del mondo e i piaceri non facilitano in alcun modo tale libertà. Non solo, ma gli stoici non accettano l’idea che l’assenza di dolore è già piacere perché, anche se fosse vero, non è assolutamente rilevante, come visto. Ciò che conta, per conseguire alla reale felicità, è la perfetta autarchia, conseguenza della piena attuazione della natura razionale degli esseri umani, che essi chiamano “virtù”. La virtù per gli stoici non è altro che la capacità dell’uomo di seguire l’unico logos che dischiude la conoscenza di ciò che conduce alla vera felicità, cioè all’autarchia e, quindi, all’atarassia. Un grande filosofo stoico, Epitteto, trae le estreme conseguenze senza esitazioni, qui nell’illustre traduzione di Giacomo Leopardi:

Se tu vuoi che la moglie, i figliuoli e gli amici tuoi vivano sempre, tu sei pazzo. Perocché tu vuoi che dipenda da te quello che non è in tuo potere, e che quello che è d’altri sia tuo. Parimenti se tu vuoi che il tuo servo non commetta errore, tu sei sciocco. (…) Ma se tu vuoi non desiderare cosa che poi non ti venga ottenuta, questo sì che lo puoi. Per tanto industriati di ottenere questo che tu puoi.

Il passo evidenzia, appunto, le estreme conseguenze: non ha senso desiderare l’impossibile, quindi lascia che la tua ragione prenda il sopravvento sulle inclinazioni spontanee del tuo pensiero irrazionale. Il saggio stoico, dunque, è un essere capace di accettare con piena serenità i rivolgimenti del destino. Questa operazione cognitiva non è svolta con sforzo perché il saggio segue il logos, che è ragione, e quindi vede i principi ultimi della realtà, che indirizzano verso l’unica evoluzione del mondo possibile, che è anche la migliore. La ragione, dunque, negli stoici è dominante a tal punto che essa è in grado di vincere ogni male, ogni pregiudizio e riesce a far acquisire una condizione imperturbabile e permanente a colui che la conosce e la persegue. Quindi, la felicità umana, secondo gli stoici, non è altro che questo.

Gli stoici sembrano parlare a tutti gli uomini delle epoche storiche più tormentate dai patemi dell’incertezza perché, al contrario di Epicuro, forniscono una visione del mondo che è, invece, estremamente dominata dalla certezza. La felicità è la certezza di far parte del destino più razionale possibile. Una volta che l’uomo scopre questa verità e ne segue tutti i rivoli e meandri, allora è libero dalla paura perché è libero da ogni emozione che non sia il risultato dell’applicazione della razionalità. Si tratta di una filosofia che ha una sua carica utopica, per altro ben evidenziata da quasi tutti i critici. Ma forse proprio per questo si tratta di una teoria che ha affascinato e continua ad affascinare chi si sente così schiavo dei rivolgimenti incontrollabili del tempo, una condizione tutt’altro esclusiva dell’epoca contemporanea.


Giangiuseppe Pili

Giangiuseppe Pili è Ph.D. in filosofia e scienze della mente (2017). E' il fondatore di Scuola Filosofica in cui è editore, redatore e autore. Dalla data di fondazione del portale nel 2009, per SF ha scritto oltre 800 post. Egli è autore di numerosi saggi e articoli in riviste internazionali su tematiche legate all'intelligence, sicurezza e guerra. In lingua italiana ha pubblicato numerosi libri. Scacchista per passione. ---- ENGLISH PRESENTATION ------------------------------------------------- Giangiuseppe Pili - PhD philosophy and sciences of the mind (2017). He is an expert in intelligence and international security, war and philosophy. He is the founder of Scuola Filosofica (Philosophical School). He is a prolific author nationally and internationally. He is a passionate chess player and (back in the days!) amateurish movie maker.

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