Introduzione
Il presente articolo, nato sulla base di un sentimento di appartenenza ad una terra stupenda e sconosciuta quale la Basilicata, si propone di presentare rapidamente i maggiori esponenti della poesia lucana, analizzando alcuni versi che esaltano il carattere poetico di questa regione. Sarà dunque mia premura con questo lavoro, in prima istanza, porre in risalto il valore di una letteratura che mai ha goduto di grande fama, ma il cui potenziale è tale da annoverarla tra i massimi esponenti poetici italiani e successivamente fornire un breve e tecnico excursus sugli aspetti linguistici fono-morfologici della parlata dialettale di questa regione.
A chiunque abbia conoscenze dell’ambiente letterario classico, verrà spontanea l’associazione al territorio lucano del poeta Quinto Orazio Flacco, nato a Venosa, al tempo colonia romana situata in posizione strategica tra il territorio della Lucania ed il territorio dell’Apulia, l’8 dicembre del 65 d.C., ma trasferitosi in giovane età a Roma per seguire il padre. Negli scritti di Orazio, tra cui si ricordano Epodi, Satire, Odi ed il Carmen secolare, la memoria del territorio lucano non traspare mai con grande chiarezza. La poetica di Orazio, spesso collocata nella dimensione disforica del suo celebre carpe diem quam minimum credula postero, non lascia intendere un senso di forte sentimentalismo d’appartenenza per un territorio che al tempo non godeva di indipendenza alcuna, ma era solamente una delle tanti possedimenti romani. Tuttavia, è sicuramente motivo di grande orgoglio per la città di Venosa l’aver dato i natali al grande poeta, di cui tutt’oggi ne è vivamente celebrata la memoria.
L’attaccamento alla terra d’origine, che sfocia con violenza poetica in una meravigliosa e disforica dimensione d’amore in versi per l’ambiente circostante, diviene un sentimento di pressante realtà nella poetica del novecento. Con la diffusione dei sentimenti di patriottismo, anche estremizzato, da cui ogni poeta si lascia trasportare, per quanto scientemente, emerge anche una dimensione di volontà di lotta e protezione dell’Italia meridionale, sempre più emarginata da un settentrione industrializzato, unica punta di diamante agli occhi degli esponenti politici. E quando la politica tace sulle realtà del sud-Italia, diviene compito dei poeti render noto assieme la meraviglia e la tragicità della situazione.
Il nome prediletto che si associa alla poetica del sud-Italia, ed in particolar modo della Basilicata, è Rocco Scotellaro, di cui l’intera regione fa gran vanto per la sua ammirevole attività di scrittura in elogio ad una terra sempre più dimenticata. Nato a Tricarico il 19 aprile 1923, Rocco Scotellaro fu poeta, scrittore e politico, attivo nel Partito Socialista Italiano per la battaglia ai latifondisti in Basilicata in favore dell’occupazione delle terre incolte.
La poetica di Rocco Scotellaro è strettamente legata all’ambiente pastorale e contadino, la realtà in cui era immerso sin dall’infanzia, la massima ispirazione di un amore immortale per cui combatterà per tutta la vita. È del 1940, dunque parte della sua fase poetica adolescenziale, il componimento Lucania,
«M’accompagna lo zirlìo dei grilli
e il suono del campano al collo
d’un’inquieta capretta. .
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d’argento
e là; nell’ombra delle nubi sperduto
giace in frantumi un paesetto lucano»[1]
poesia versoliberista anisosillabica, portavoce della realtà contadina e dell’intrinseca meraviglia della sua quotidianità. La descrizione, ancorata ad un disforico realismo paesaggistico, eleva ad una massima dimensione poetica la visione dell’ambiente lucano.
La realtà contadina della Basilicata è stata da sempre teatro di scontri contro lo sfruttamento e per il conseguimento di migliori condizioni di vita e lavoro. Una ragione da sempre votata principalmente allo sfruttamento delle terre per l’agricoltura, ha conosciuto fenomeni di terrorismo quali il brigantaggio,[2] contro cui la politica ha lungamente combattuto, ma che hanno indelebilmente segnato la coscienza di chi ha combattuto per risollevarsi. Lo spirito contadino di lotta contro lo sfruttamento è fulcro della nuova poetica di Rocco Scotellaro, con versi che esaltano lo spirito rivoltoso dei contadini in una coltre poetica di cui il realismo di Scotellaro è meravigliosamente ornato. Di seguito i versi di È fatto giorno:
«Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova.»[3]
Versi che, in relazione alla dimensione di concretezza disforica di Scotellaro, incitano a tenere alto lo spirito di rivolta ed in particolar modo di orgoglio per un futuro immancabilmente migliore. Una dimensione contadina che nei suoi versi, paradossalmente, perde ogni carica negativa di sfruttamento per abbracciare un poetico senso di libertà legato all’attaccamento alla terra, che è quanto basta per rendere il tutto un motivo di grande orgoglio,
«Ho perduto la schiavitù contadina,
non mi farò più un bicchiere contento,
ho perduto la mia libertà»
scrisse in Passaggio alla città (1951). L’impegno di Scotellaro per le lotte contadine oltrepassa attivamente il confine del verso per concretizzarsi nell’azione politica. Come già specificato, fu attivo politicamente per la realtà contadina tramite l’azione del Partito Socialista Italiano, e tale impegno si riflette anche sulla prosa di Scotellaro, dalla ricezione ben minore rispetto ai versi ma dall’ammirevole maestria di ricerca, che vede il suo punto massimo nella ricerca sociologica Contadini del Sud (1950).
I magistrali versi di Rocco Scotellaro, che restituiscono all’ambiente lucano la dignità che merita, elevando a meraviglia persino una situazione tanto difficile quanto la realtà contadina. Il sentimento di appartenenza alla terra trova nelle sue parole la massima espressione, sempre e solo a testa alta Scotellaro rappresentò la propria terra, con sconfinato amore ed occhi di un poeta sempre pronto ad innamorarsi da capo delle proprie campagne.
L’essenza di tale sentimento non passò di certo inosservata, la poesia di Scotellaro, che pur risente in numerosi punti della poetica montaliana, fu ampiamente apprezzata dallo scrittore Carlo Levi, confinato nelle terre lucane per le proprie posizioni antifasciste ed il cui amore per quella terra si narra nell’opera Cristo si è fermato a Eboli. Decisiva fu la spinta di Levi alla valorizzazione dei versi di Scotellaro, tanto che vennero inseriti nella raccolta Specchio di Mondadori, assieme ad autori magistrali del panorama letterario italiano quali Giuseppe Ungaretti e Andrea Zanzotto.
La realtà della Basilicata è spesso oggetto di polemica e dibattito in particolar modo da chi la vive nel profondo, una terra sacra per la meraviglia che offre, dove la vita raggiunge il massimo piacere auspicabile. La Basilicata offre a chi ha l’audacia di viverla una realtà senza tempo, perché annullato dal silenzio e dalla pace che in tarda sera lascia spazio alle risate di gente che vive d’amore, che solo conosce la fratellanza, una terra dove non sei mai straniero perché subito amico di tutti.
Ma d’altro canto, la Basilicata pare una terra dimenticata, persino dimentica da Cristo come racconta ironicamente Carlo Levi, e dunque una terra in cui il futuro di un giovane è estremamente difficile, se non addirittura impossibile, un futuro costretto a bagnarsi delle calde lacrime d’addio quando si lascia la propria casa, un sentimento di dolorosa emigrazione forzata. Ebbene, ciò è esattamente il sentimento condensato nella malinconia poetica di Leonardo Sinisgalli, poeta, saggista e critico lucano nato a Montemurro, un piccolo paesino in provincia di Potenza, il 9 marzo 1908. Uomo di grande cultura scientifica, denominano il poeta ingegnere, fu costretto a lasciare la propria terra per costruirsi un futuro, una scelta il cui dolore è ampiamente riflesso nei suoi versi,
«Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granturco, granofino)
e il vino non è squillante
(menta dell’Agri, basilico del Basento)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.»[4]
tratto dalla poesia Lucania, trasmette magistralmente il sentimento di malinconia per le piccole cose che costituiscono la meraviglia della terra lucana, abbandonata alla ricerca di un futuro prosperoso, un sentimento oggi più che mai comune a numerosissimi giovani.[5](2)
Il sentimento di Sinisgalli è interamente condiviso dal magistrale poeta Giovanni Pascoli il quale, chiamato ad insegnare a Matera, scriverà in una lettera un elogio alla terra lucana, lamentandosi però del poco che ha da offrire, in termini anche di agevolezza di vita.
Il senso di appartenenza alla terra, che accomuna l’intero panorama della poesia lucana, assolutamente sconfinato e ridotto nel presente articolo al poetico essenziale, è quanto maggiormente traspare dalle liriche di Albino Pierro, nato a Tursi il 19 novembre 1916. È noto in particolar modo per le sue opere poetiche in difesa di un dialetto destinato inesorabilmente a scomparire, il dialetto tursitano, sottoposto ad una strenua difesa nelle sue poesie. Pierro stesso scrisse a riguardo:
«Quella di Tursi, il mio paese in provincia di Matera,
era una delle tante parlate destinate a scomparire.
Ho dovuto cercare il modo di fissare sulla carta i suoni della mia gente.»[6]
Di grande suggestione sono le poesie, spesso relativamente brevi, nelle quali si decanta magistralmente il senso di amichevole inclusione che il panorama contadino dei paesini della Basilicata ha da offrire a chi viene a visitare. In particolare,
«Se le campane di Pasqua
son parole di Cristo
che han disfatto la morte,
questa parlata fresca di paese
getta il suo bando e dice:
“venite qui,
vi ho dischiuso le porte”»[7]
Versi della poesia La terra del ricordo (titolo originale in tursitano ‘A terra d’u ricorde’), un caloroso e poetico invito a giungere in visita nei paesini lucani, con l’aspettativa, concretizzata dall’esternazione, di vivace ed allegro carattere, che l’io poetico offre in chiusura di lirica, di trovare grande accoglienza. Ed il medesimo sentimento traspare dai seguenti versi,
«Il gallo ha cantato.
Che aspetti?
Esci di fuori e salta:
già nelle strade
di questo paesello c’è un sole
che guarisce i ciechi.»[8]
Una poesia che presenta il paesello lucano in termini quasi sacrali, attribuendole la capacità di guarire i ciechi, quasi a voler indicare l’effetto miracolo che quei luoghi possono avere sui visitatori. Un amore sterminato dunque è quello che caratterizza i versi di Pierro, per due volte molto vicino alla vittoria del premio Nobel per la letteratura, amore per la propria terra e voglia di condividere la magia lucana con chiunque, diffondendo un senso di inclusione e fratellanza di cui, da sempre, in Lucania si fa grande vanto.
In ultima istanza, mi preme presentare a mio sostegno un autore lucano contemporaneo, il giornalista e poeta Mario Trufelli, nato a Tricarico il 5 luglio 1929. La lodevole bibliografia di Trufelli, fin troppo suggestiva per esser ridotta in questo spazio, è per mia premura rappresentata dalla lirica Siamo Più Soli, della sua unica raccolta di poesie L’erbavento (1952-66).
«Hanno smesso di cantare i carcerati
attenti scrutano la sera dalle gabbie.
Ora tu sai tutto il dolore è nostro
dei braccianti spersi nelle strade
che s’addormono con mani ingentilite.
Ora la terra ci riporta un grido
come l’ombra dei morti intorno a noi.
Cominciano le veglie nelle case
e noi ridiamo, Rocco, della nostra sorte
come una volta e sempre
con le tazze di vino e i contadini.
Siamo più soli adesso,ognuno alla sua posta
e il cielo ci rincorre nei sentieri
batte la terra che ti tiene il cuore.»[9]
Una poesia in dedica a Rocco Scotellaro ed alle sue battaglie in sostegno della situazione contadina della Basilicata, una lirica dal tono amareggiato per la rassegnazione a cui si è oramai ridotti, e di scuse per la fine che inesorabilmente si avvicina, ma pur sempre intrisa dello spirito tipico lucano, che mai potrà essere soppresso, e vive nel simbolismo delle tazze di vino e dei contadini, a simboleggiare che la situazione, pur difficile, non ammette resa, e la lotta e lo spirito lucano sempre vivranno, dalle generazioni che furono a quelle che saranno il volto poetico e meravigliosamente quotidiano delle terre lucane.
In conclusione, è mia premura invitare caldamente chiunque legga questo articolo a visitare la Basilicata, a viverla in ogni suo piccolo simbolo di quotidianità, ricercando la magia nelle infinite distese di campi o nei sassi che, in religioso silenzio, raccontano storie di una terra immortale, troppo spesso dimenticata, ma che vive nei versi dei suoi poeti e negli occhi di chi, ammaliato e con gli occhi lucidi, rimane fermo e zitto ad ammirarla.
Conclusa la trattazione riguardo i maggiori esponenti letterari lucani, è mia premura fornire un excursus tecnico, relativamente breve, sulla storia linguistica della Basilicata, analizzando come i sostrati abbiano contribuito alla formazione del dialetto tutt’oggi parlato e quali siano le peculiarità in termini fono-morfologici ed in rapporto con altre varietà romanze.
Nel corso della sua storia la Basilicata ha visto l’alternarsi di dominazioni ben diverse tra loro: la costa meridionale, bagnata dallo Ionio, è stata a lungo colonia greca; successivamente è stata dominio romano a partire dal 272 a.C., il che ha consentito la romanizzazione del territorio. Si sono alternati poi il dominio normanno (da cui il celebre Castello Normanno di Melfi), spagnolo e Borbone. L’annessione al regno d’Italia è avvenuta con le spedizioni garibaldine a seguito dello sbarco a Marsala. Linguisticamente dunque le influenze che hanno portato alla varietà dialettale lucana sono molteplici, di seguito un brevissimo excursus.
Il dominio greco ha introdotto in lucano principalmente lessico toponomastico, ne sono un esempio i nomi Metaponto, dal greco (metá (tón) pónton), e Nova Siri, dal nome della colonia greca di Siris.
Il dominio spagnolo ha chiaramente creato una situazione che, linguisticamente ,si definisce influsso di superstrato, ossia il momento in cui una lingua viene a contatto con un’altra lingua già radicata, attuando un’influenza ma senza soppiantarla. La parola spagnola sòtano, tradotta in italiano come “seminterrato”, procede dal latino SUBTULUM ed ha prodotto la forma iberoromanza tramite alcuni effetti di evoluzione fonetica, come l’assimilazione del nesso di occlusiva bilabiale sonora /b/ e fricativa dentale sorda /t/, con la caduta della bilabiale e la non-geminazione della dentale (ossia caduta della /b/ che tuttavia non sfocia in un raddoppiamento della /t/), tipico delle iberoromanze che raramente ammette una geminazione (e tendenzialmente riguarda la rotante /r/, come nel caso di barrio), è interessante notale come la liquida laterale /l/ si sia evoluta in una nasale alveolare /n/, non unico nel suo genere, e sicuramente influenzato dal suffisso -ano. La parola si è trasmessa in forma quasi identica nel dialetto lucano della zona nord-est del Potentino, con la forma sut’tan, geminando la dentale e con effetto di anafonesi, ossia elevazione vocalica, della vocale velare. Altro esempio di influsso spagnolo è la disposizione, in posizione pro-nomen, della particella a per indicare una persona; per meglio intendere, in spagnolo si ha “He visto a Marco”, e il corrispettivo lucano risulta essere “agg vist a Marco”, nonostante questo fenomeno sia tipicamente dialettale meridionale.
Dal punto di vista romanistico, è interessante notare come la zona della Basilicata denominata Zona di Lausberg, a sud dell’Agri ed in concomitanza tra Basilicata e Calabria, condivida il sistema vocalico romanzo sardo, ossia un sistema a cinque vocali che confonde i gradi di apertura, evitando la formazione di coppie minime, che invece nel sistema panromanzo (proprio anche dell’italiano) questo fenomeno sia assolutamente normale (a puro titolo esemplificativo, la coppia minima settentrionale pésca e pèsca); tuttavia la zona linguistica della Basilicata non gode di un carattere di omogeneità, la zona a nord del fiume Agri prende il nome di vorposten, ossia avamposto della zona di Lausberg, in cui ricorrono, oltre ad un sistema vocalico prettamente panromanzo, anche una serie di fenomeni peculiari, tra cui l’esito della laterale liquida geminata /ll/ in una cacuminale /d/, proprio anche della Calabria, del tipo stella > stedd. Tuttavia, a differenza della non lontana varietà dialettale napoletana, il lucano non è tendenzialmente soggetto ai fenomeni di trasformazione consonantica di betacismo e rotacismo (es. Madonna > nap. Maronn ma luc. Madonn).
Ringraziamento speciale: la maggior fonte di ispirazione per la stesura dell’articolo deriva indubbiamente dall’amore per la Basilicata che mia madre, originaria di Melfi (PZ), ha saputo trasmettermi, facendo vivere di natural magia ogni singolo momento passato tra gente che è diventata ben più che una grande famiglia ed una terra che sempre avrà il sapore di casa.
Bibliografia essenziale:
Amanniti 2011 = Niccolò Ammaniti, Io non ho paura, Torino, Einaudi, 2011.
Catozzella 2018 = Giuseppe Catozzella, E tu splendi, Milano, Feltrinelli, 2018.
DeChile.net 2022 = Etimologia de sótano, online all’url « http://etimologias.dechile.net/?so.tano»; «https://www.dechile.net/».
Derobertis 2019 = Roberto Derobertis, È fatto giorno (1954) di Rocco Scotellaro, in Pulplibri, 3 agosto 2019, consultabile online all’url « https://www.pulplibri.it/e-fatto-giorno-1954-di-rocco-scotellaro/»; « https://www.pulplibri.it/».
Lausberg 2019 = Lausberg H., I dialetti della Lucania meridionale (Die Mundarten Sudlukaniens, 1939), a cura e traduzione di Giuseppe Salerno, 2019, Franco Cesati Editore, Firenze.
Levi 1979 = Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Milano, Oscar Mondadori (1° ed. Giulio Einaudi Editore, 1945), 1979.
Lisco 2017 = Antonietta Lisco, Leonardo Sinisgalli: Lucania, in Talenti lucani – Passaggio a Sud, 15 aprile 2017, consultabile online all’url «https://www.talentilucani.it/leonardo-sinisgalli-lucania/»; «https://www.talentilucani.it/».
Pittella 2021 = Gianni Pittella, La storia della nostra terra – IX parte: la Basilicata spagnola, in Gianni Pittella, 19 giugno 2021, consultabile online all’url « https://www.giannipittella.com/storia-della-basilicata/la-storia-della-nostra-terra-ix-parte-la-basilicata-spagnola/ »; « https://www.giannipittella.com/».
Scotellaro 1954 = Rocco Scotellaro, È fatto giorno. 1940-1953, Milano, Mondadori, 1954.
[1] Rocco Scotellaro, Lucania, 1940, in Rocco Scotellaro, È fatto giorno. 1940-1953, Milano, Mondadori, 1954.
[2] Il brigantaggio fu un fenomeno di guerriglia post-unitaria scatenatasi come protesta per i danni arrecati ai proletari dall’annessione al Regno delle Due Sicilie, che vide come maggior protagonista il brigante Carmine Crocco. Per maggiori approfondimenti si rimanda ai seguenti link:
«https://www.parcovulture.it/it/turismo/cultura-e-tradizioni/293-i-rifugi-dei-briganti.html»;
«https://it.wikipedia.org/wiki/Carmine_Crocco».
[3] Scotellaro 1945-47. Cfr. Rocco Scotellaro, È fatto giorno, a cura di Carlo Levi, 1954.
[4] La poesia è tratta da I nuovi Campi Elisi (Milano, Mondadori, 1947).
[5] Si fa presente come il fenomeno di migrazione dei giovani dalla terra lucana abbia contribuito alla diffusione nell’intera penisola di una cultura fino ad allora rimasta a troppi sconosciuta, diffondendo dunque le tradizioni, il che è valido sia per la realtà lucana sia per quanto concerne la letteratura.
[6] La citazione è da ‘A terra d’u ricorde (Roma, Il Nuovo Belli, 1960).
[7] Albino Pierro, ‘A terra d’u ricorde (it. La terra del ricordo); cfr. anche Luciano Nota, Giovanni Gaglio (nota di), Tre poesie di Albino Pierro, nota di Giovanni Gaglio, 18 dicembre 2017, in La presenza di Èrato, online all’url « https://lapresenzadierato.com/2017/12/18/tre-poesie-di-albino-pierro-nota-di-giovanni-gaglio/», « https://lapresenzadierato.com/».
[8] Albino Pierro, Il gallo; cfr. idem.
[9] Mario Trufelli, Siamo più soli; cfr. anche Mario Trufelli – Siamo più soli, in Visita la Lucania (di Rocco di Perna), online all’url « https://www.lucania.one/artistilucani/trufelli/soli.htm»; « https://www.lucania.one/index.php».
Complimenti!