Scopri Intelligence & Interview di Scuola Filosofica!
Iscriviti alla Newsletter!
Consigliamo l’immortale Lord Jim
Il fumo di Londra del 1884 ammanta le strade e i palazzi sono circondati da una nebbia crepuscolare e un’epoca, l’epoca dell’Inghilterra vittoriana, con tutti quei ideali razzisti, sessisti, fintamente liberali, qualche volta belli ma fatiscenti, urlati ma non più creduti, non più credibili. “Uomo normale”, l’identikit perfetto per celare qualunque mistero. Verloc ha tutte le carte in regola per apparire una totale nullità, l’uomo più comune per eccellenza. Egli ha una moglie, Winnie, il piccolo cognato, Stivie, e la madre di Winnie, tutti a carico. Sembra che Verloc viva delle magre vendite dell’ambiguo negozio gestito a metà tra lui stesso e Winnie la cui merce proviene da Parigi e annovera nel listino gli articoli più disparati ma tutti non molto ricercati dalla gente “per bene”. Così l’attività di Verloc sembra essere unicamente quella di sussistere grazie ad un negozietto di terzo ordine con una clientela di infimo grado, circoscritta ai peggiori individui che l’umanità sa creare sì in abbondanza. Verloc, però, è anche attivo nel movimento rivoluzionario. Ma dietro questa apparente normalità, in cui gli incontri con i “compagni di lotta” non fa altro che celare la nuda realtà che è smorta ed inerte, si staglia un secondo personaggio: Verloc, l’agente segreto. Nessuno lo sa, ma Verloc è investito di una carica governativa da un tal Vladimir, un russo dell’ambasciata londinese. Gli viene affidato un compito: deve compiere un atto terroristico che sconvolga l’ordine borghese, prestabilito dal liberalismo inglese e sedimentato nei secoli. Non alle chiese, nessuno ci crede più, né direttamente al governo, non sufficientemente degno di stima: la scienza, ecco l’unica cosa che tutti sono disposti ancora a seguire. E allora sia il simbolo della scienza concreta, il meridiano di Greenwich ad essere devastato così da gettare nello scompiglio le coscienze. Verloc porterà a termine il suo compito, forse. Ma senz’altro le conseguenze delle sue azioni lo porteranno a dissolvere le sue identità.
L’agente segreto è un romanzo storico nel quale la vicenda fondamentale è un fatto realmente accaduto: il tentato atto terroristico del 1884. Conrad riflette a lungo sull’attentato e pubblica il romanzo dieci anni dopo. Pare che gli venne difficile riuscire ad immaginare come si svolse la dinamica dell’esplosione vera e propria, tra il piazzamento dell’ordigno e il suo incredibile epilogo. La cornice storica è rilevante, forse, per coloro che sono amanti del romanzo storico tuttavia essa è e rimane solamente una cornice. L’elemento storico è ben poco “storico”, lontano nel passato, se si pensa che Conrad ha scritto da un punto di vista di uomo contemporaneo. Inoltre, la Storia, la vicenda umana nel suo complesso generale, l’evoluzione sociale e l’afflato umanamente cosmico è del tutto assente nel romanzo di Conrad che è, come in tutti i lavori dell’autore, incentrato su una vicenda profondamente singolare, umana e, in un certo senso, soggettiva. È l’individuo ad essere al centro della storia, della vicenda: il libro è, sì, circostanziato ma sempre con un punto di vista profondamente individualista. Pensiamo a Tolstoj in Guerra e Pace, per non citare l’italianissimo Manzoni, o al Turgenev di Padri e figli se non vogliamo rifarci direttamente a Omero, maestro insigne di epica e di racconto storico, e paragoniamo le opere a quella di Conrad: ci rendiamo immediatamente conto della distanza che li separa. La Storia, per Conrad, è una somma di individui e non una massa magnifica che porta con sé la forza della natura stessa fatta umana: è l’universo umano intero a smuovere gli eventi in Guerra e pace e i singoli sono dei semplici solisti nell’orchestra.
L’individuo di Conrad è quell’occidentale infiacchito da sé stesso, incapace di smuovere il mondo. La dimensione storico-politica è del tutto impensabile: l’uomo è irrimediabilmente solo nella sua storia che, generalmente, è una storia ambigua di miseria e piccolezza in cui l’eroe non è altro che una variante possibile ma mai del tutto piena e, semmai, massimamente ambigua. L’individuo sommo è combattuto tra la sua totale nullità di fronte alla forza della natura e l’inerzia della Storia.
L’agente segreto è un libro che racconta la vicenda di una serie di uomini tra i quali Verloc è solo uno dei diversi. L’attenzione è focalizzata sul punto di vista differenziato per ciascuno dei vari personaggi dai quali sorge il senso di un’umanità impotente, incapace di andare oltre la miseria della grettezza della vita quotidiana e, qualora vi provi, vi ripiomba miserabilmente con un tonfo simbolico: un fallimento reiterato. L’occidente ha inscatolato i vari individui relegandoli ad una fissità unica, invalicabile nella sua solida certezza.
L’aspetto quotidiano della vita di uomini semplici è forte e vivido nel romanzo in cui i personaggi sono anche troppo “mortali”. La loro debolezza è insista in ogni riga sia essa descrittiva del fisico o del pensiero e mette in mostra la straordinaria fermezza dell’autore nel mostrare quanto la realtà possa essere geometricamente dura che genera nei soggetti solo un senso di fiacchezza e incapacità: l’individuo è ridotto alla miseria non dalla condizione economica ma dalla stessa sua convinzione di impotenza, di non-voglia e di irrimediabile noia. Non ci sono distinzioni ideologiche: l’individuo, la natura umana, non ha colori né bandiere e nel suo svolgersi nel mondo non ha neanche troppe chance.
Il messaggio politico, se c’è, non è tanto un netto rifiuto delle ideologie comuniste quanto una rivendicazione dell’individuo rispetto alla società, alla Storia. E’ sempre l’uomo singolo ad agire, a pagare e a vivere. Verloc è il simbolo dell’uomo occidentale, così mediocremente ambiguo, così incapace di aspirare a grandi ideali e così confinato nei suoi piccoli orizzonti, fatti di piccole certezze economiche che servono ad alleggerire la coscienza da doveri ben più universali e importanti che non siano il povero cercare una soddisfazione apparente da quelli che gli ipocriti chiamano “i piccoli piaceri della vita”. Conrad mette in scena proprio questo: l’irrimediabile fissità della miserabile soddisfazione del piccolo uomo che non conta nulla e che non vale niente la cui vita è devoluta all’inerzia del vivere e che sarà condannata alla vacuità più assoluta, giustificata da un ideale che risulta essere “vivi perché c’è spazio al mondo e devi dare da mangiare a quelli più importanti di te”. Non c’è riscatto per il pesce piccolo, ma tutti siamo chiamati all’unico imperativo morale: sopravvivi.
Questa visione storica ma individualistica ricalcata su un netto realismo non solo stilistico ma anche metafisico, espresso da un linguaggio estremamente preciso, non particolarmente arzigogolato e, anzi, piuttosto spedito. L’uso della lingua non è ricco di spennellature ampie come in altri lavori di Conrad (per esempio in Lord Jim) né la sintassi è particolarmente complessa ma non ricade mai nel banale. Lo stile è medio (non mediocre) e si adatta come un guanto a ciò che deve descrivere: in una vicenda di un uomo più che mortale in un mondo poco vitale ed inerte, mosso da una causa ormai troppo remota per destare interesse, l’unica cosa che conta, forse, è la descrizione delle singole vicende, delle singole cosciente ma racchiuse in un manto di definitivo senso di nonsenso etico, di vacuità psicologica e povertà economica.
L’agente segreto è un libro pienamente conradiano i cui temi metafisici trapassano attraverso una trama apparentemente rivolta alla “politica” o alla “vicenda storica”. Ma è chiaro che chi ha interpretato il libro su queste chiavi ne ha divelto il senso più profondo e molto più importante. C’è chi poi ha parlato secondo prefabbricati schemi di cartone che vogliono l’ambiguità ovunque nel Conrad, “quello serio”. Allora diciamola tutta: l’ambiguità è molto poco presente nel seguente romanzo tanto quanto la politica o la vicenda storica. C’è ben poca salvezza nell’universo de L’agente segreto né particolare ambiguità ma solo una adamantina chiarezza: è la narrazione della realtà stessa, trasfigurata in una serie di vicende umane da cui trasparisce tutto “il peso della moltitudine vivente che opprime”, il senso della quantità di vite umane, del terrore dell’infinito e del puntinismo etico, dell’irrilevanza del singolo che, però, è anche l’unico oggetto di interesse perché solo l’individuo ha una vita psichica, soggettiva e orientata verso il mondo.
Si ritiene che sia uno dei capolavori del “Conrad politico” e si può capire quanto questa “etichetta” poco ci piaccia. C’è chi ha bisogno di categorizzare, possibilmente stabilire univocamente delle tappe biografiche per l’arte, piuttosto che parlare chiaramente dell’opera e concentrarsi su di essa: l’uomo, non l’arte, ha un’età biologica. Inoltre, se c’è uno slancio politico, esso è più che altro rivolto all’universale contenuto sociale che ogni opera d’arte, di riflesso, ha. Dunque, un capolavoro di Conrad. Semplicemente questo.
CONRAD J.
L’AGENTE SEGRETO
GIUNTI
EURO 5.90
PAGINE 360 CIRCA.
Be First to Comment