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La costa degli schiavi – Torkild Hansen

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Quella volta ero appunto nel magazzino [dice Isert] per affari, e mi indicarono quello che rivolevano indietro e quello che intendevano cedere in cambio. E poiché quest’ultimo era un uomo giovane e bello, molto più giovane di suo padre, lo scambio venne subito concesso. L’infelice fu portato fuori in catene. Dio! Anche il trafficante più duro di cuore si sarebbe commosso, se fosse stato presente alla scena, quando il figlio riconobbe suo padre in catene. Gli si gettò al collo piangendo lacrime di gratitudine e di felicità, perché aveva la fortuna di liberare il proprio padre. Aprirono le catene, le tolsero all’uno e vi rinchiusero l’altro, che era calmissimo, e pregava il padre di non rattristarsi per la sua sorte.

La costa degli schiavi – Thorkild Hansen


La costa degli schiavi (1967) è il primo libro della trilogia dedicata alla tratta degli schiavi danese da parte di Thorkild Hansen, autore ingiustamente non sufficientemente conosciuto. Infatti, Hansen anche in questo libro dimostra di essere uno dei maggiori scrittori del XX secolo. Si può discutere sul fatto che la sua prosa, piana e senza orpelli letterari di alto rilievo, sia appunto troppo lineare per poter parlare di genio della letteratura. Ma non tutto nasce dall’uso della lingua, pure assai potente. E’ infatti difficile trovare libri pervasi da una implacabile ironia, dall’inizio alla fine. Per esempio, nel celeberrimo e celebratissimo Il gattopardo Tommasi di Lampedusa inizia con una prosa dominata da un sano distacco, da una contemplazione ironica della società patriarcale e aristocratica della Sicilia. Ma poi scivola in uno stile decadente, fino alla fine in cui tutto si annichila. Hansen no. Hansen resiste sino all’ultimo, coerentemente con lo stile che ha scelto. Quindi, anche solo per questo, andrebbe apprezzato. Ma poi Hansen aveva altra scelta?

Le isole degli schiavi – Torkild Hansen

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Consigliamo – il capolavoro di Hansen Arabia Felix


Le isole degli schiavi è un reportage storico di Thorkild Hansen. Esso si inserisce come terzo volume nella trilogia degli schiavi che l’autore ha dedicato alla storia della tratta degli schiavi della civile Danimarca (Le coste degli schiavi e Le navi degli schiavi sono gli altri due volumi dedicati alla ʽpeculiare istituzioneʼ). Nel primo libro, Hansen considera la storia della tratta in Africa, nel secondo analizza il trasporto mentre nel terzo si concentra nella storia delle tre isole danesi: Saint John, Saint Croix e Saint Thomas.

Più che di un romanzo storico si tratta di un reportage storico. Ammesso che tale categorizzazione abbia un senso. Infatti, a parte qualche raro inciso in cui Hansen parla dell’attualità e del suo viaggio nelle isole (in cui egli accidentalmente dice di effettuare rilievi e misurazioni), di cui riporta alcuni disegni di ottima qualità; a parte queste considerazioni quasi accidentali tutto il libro ricorda molto più un lavoro di storia che non un romanzo storico.

Arabia Felix – Torkild Hansen

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Altro del genio di Hansen? Jens Munk o La costa degli schiavi!


Duecento anni più tardi, quando noi stessi siamo la prova che il calcolo era giusto, non facciamo più programmi a così lungo termine, forse perché, in fondo, non siamo più capaci di credere davvero a una posterità possibile. La minaccia di una distruzione atomica è diventata quasi una specie di pretesto dentro di noi per liberaci del fastidioso pensiero del futuro. Non si cerca più di procurarsi la fama né per sé né per gli altri, ci si attiene al giorno per giorno, rifiutato l’arte e la parte non distruttiva della scienza, e provocando con ciò, nel piccolo, una distruzione pari a quella di cui la bomba è l’immagine su vasta scala. Se, inaspettatamente, il nostro tempo dovesse subire l’opposta sventura di essere ricordato fra duecento anni, lo sarebbe unicamente per quello strano, quasi storico zelo che ha messo nel farsi dimenticare. Il futuro è già cominciato, si dice, ma non è vero. Il futuro è già passato.

 Thorkild Hansen

Arabia felix è un libro difficile da inserire in una categoria, cosa che spesso opprime gli scrittori dei cataloghi librari. Questa è un’opera che resiste ad una sua categorizzazione. Non è un romanzo, perché i personaggi non sono mai considerati dal loro personale punto di vista e il fatto stesso che si offra la ricostruzione di un fatto storico con tale dovizia di particolari è già di per sé un fatto peculiare. Per essere un libro di storia mancano le fonti e l’assetticità degli specialisti, nonostante la mole di studi a cui Hansen fa riferimento direttamente o indirettamente. Non è neppure un libro di sociologia o di storia della sociologia perché porta solo pochi dati. Allo stesso tempo, però, offre spaccati di vita quotidiana, di analisi psicologiche, sociologiche e, soprattutto, storiche. Ma, ancora, potrebbe anche essere un libro di filosofia, perché condensa in sé un’intera visione del mondo e, in particolare, di filosofia della storia. Ma non ci sono argomenti, non ci sono esplicite tesi, ipotesi e deduzioni.

Il capitano Jens Munk – Torkild Hansen

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La maggior parte dei sognatori si rivelano dei buoni perdenti, statene pur certi. Aspirano alle stelle e ti ringraziano se porgi loro una pietra.

Quel che è comune ai membri di questa categoria è il fatto che tutto ciò che ne sappiamo sono il nome e la data di morte. Non si sono ancora presentati al mondo, che già sono costretti a tacere, è come se la storia si fosse interessata a loro solo al momento di liberarsene. Giusto il tempo di un nome e una tomba.

Thorkild Hansen

Jens Munk. Un nome che non dirà niente a nessuno e verrà probabilmente associato al più celebre pittore. Ma con il pittore Jens Munk non c’entra niente ed è vissuto un paio di secoli prima di lui. Si tratta di un marinaio, di un capitano che è degno di essere ricordato per il suo tentativo di trovare il passaggio a nordovest, famosa via che avrebbe dovuto realmente congiungere via mare il vecchio continente con le Indie, quelle vere. Probabilmente presto si formerà spontaneamente un “passaggio”, proprio ora, che disponiamo di rompighiaccio, ma all’epoca non c’era nessuna strada aperta per l’oriente attraverso i ghiacci. Ma bisognava scoprirlo. E Jens Munk era andato in quelle terre inospitali proprio per questo. Ma Jens Munk non è solo un marinaio, non è solo un capitano e non è solo il figlio della sfortuna. Egli ha una lunga storia, fatta di buona e, soprattutto, cattiva sorte. Egli è il figlio di Erik Munk, un nobile, un uomo che riuscì a distinguersi per la brutalità perpetrata ai danni della popolazione sua suddita e, soprattutto, riuscì a rendersi inviso a gran parte della nobiltà danese, motivo per il quale i suoi avversari riuscirono a condannarlo, a spogliarlo di ogni bene, a recluderlo nella più terribile delle prigioni e a condannare la sua famiglia ad una vita di interminabile frustrazione. Sì, perché è dalla capitolazione di Erik Munk e la sua perdita del titolo nobiliare, non trasmesso ai figli, che nasceranno gran parte delle disavventure del figlio più piccolo, Jens.

La nave degli schiavi – Torkild Hansen

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Consigliamo – il capolavoro di Hansen Arabia Felix


Vivere è incontrarsi e tornare a dividersi

Hansen

La nave degli schiavi è il secondo libro della trilogia sulla schiavitù scritto da Thorkild Hansen. Non si tratta di un libro di storia ma di un libro sulla storia, su una delle vicende più inumane di tutta l’umanità. L’opera ha una struttura bipartita, che alterna ai resoconti narrativi storicamente antecedenti alla contemporaneità, il reportage sul viaggio compiuto dall’autore sulla stessa linea che veniva compiuta dalle navi negriere danesi. Come l’autore ripercorre ogni singolo miglio, viene narrato ogni avvenimento di quanto capitava nelle navi-galere danesi, in tutto simili alle altre, che trasportavano il “carico vivo”, come veniva chiamato allora, dalle coste dell’Africa centro-occidentale alle Indie Occidentali, cioè l’America.

Il cortigiano e l’eretico – Matthew Stewart

Stewart, Mattew; (2006), Il cortigiano e l’eretico, Milano: Feltrinelli.

Stewart M., Il cortigiano e l’eretico, Feltrinelli, Milano, 2007.


Il cortigiano e l’eretico è un saggio di Mattew Stewart, ph.d. in filosofia e indipendent researcher. Si tratta di un’opera che unisce vari generi, dal reportage storico alla biografia intellettuale. Il testo ricostruisce la storia dell’incontro tra due dei maggiori filosofi del XVIII secolo, ovvero Baruch Spinoza (1632-1677) e Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716).

La meritocrazia – Ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la mediocrità

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Quante volte siamo stati a discutere sul fatto che in Italia manca la meritocrazia? E visto che il nostro immaginario è piuttosto limitato nella fantasia, si sogna immediatamente che un territorio abitato da esseri umani ammetta questa fantomatica proprietà tale che tanto più ci si allontana dall’Italia e tanto più questo ideale di meritocrazia esiste nella realtà. Quindi in Francia si è meritocratici abbastanza ma non troppo, come in Germania e in Inghilterra (già casualmente geograficamente più lontane). Per non parlare del Belgio e dell’Olanda, luoghi di spiccata attitudine meritocratica, dove si ha quel che si vuole, comprese le donne e i narcotici, purché si paghino le casse dello stato. Mentre in “America” si è meritocratici al massimo grado. Cioè in USA e in Canada. Già perché casualmente il merito è il merito dei ricchi. Infatti l’equazione della meritocrazia in funzione della distanza geografica funziona solo se l’ago della bussola è puntato verso il nord. Ma non troppo, visto che in Lapponia e al polo nord, pure abitati, non ci interessano.

L’incredibile storia di Olaudah Vassa Equiano, o Gustav Vassa, detto l’Africano

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Consigliamo – La nave degli schiavi di Torkild Hansen


L’incredibile storia di Olaudah Vassa Equiano, o Gustav Vassa, detto l’Africano è la storia autobiografica di uno schiavo liberato, Gustav Vassa. Gustav Vassa era nato libero in una tribù dell’Africa centrale attorno alla metà del settecento. La sua infanzia è vissuta nel suo paese natale fino a quando una tribù africana rivale non lo rapisce, insieme alla sorella, per rivenderlo ai bianchi come schiavo. Come lo stesso autore ci dice, la pratica di rapimento era piuttosto usuale dalle sue parti, non solo per trarre schiavi per sé, ma anche per rivenderli. Gustav tiene a sottolineare come anche il peggiore dei trattamenti riservati agli schiavi nelle tribù africane non è neppure lontanamente paragonabile a quello riservato agli schiavi delle indie occidentali: costoro venivano semplicemente distinti dagli “uomini liberi”, avevano un’ala delle abitazioni riservata a loro e gli era proibito mangiare con gli uomini liberi.

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